PERDERE L’AMORE, IL PARERE DELL’ESPERTO

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PERDERE L'AMORE

Perdere l’amore. In una canzone di più 20 anni fa, il cantante raccontava di come ci si può sentire a perdere il proprio partner in età matura, “quando tre i capelli un po’ d’argento li colora”. Nel testo si intendeva la perdita per interruzione della relazione più che per la morte del partner. In questo articolo vorrei parlare di entrambi gli eventi, la morte del partner ed essere lasciati. In entrambi i casi si parla di un evento luttuoso.

Iniziamo dall’interruzione della relazione perché un partner ha lasciato l’altro. In questo periodo della vita, più che in ogni altro periodo, si tende ad ipotizzare che la relazione che si sta vivendo accompagnerà i due partner fino alla fine. C’è una condivisione di progetti pur non trascurando i propri spazi individuali. La sessualità viene vissuta nella sua pienezza e completezza, poiché ormai i vari anatemi educativi e culturali hanno fatto il loro corso e la loro importanza è progressivamente decaduta. Entrambi i partner, infine, sono tendenzialmente realizzati nel lavoro e nella vita sociale e gli eventuali figli, sono abbastanza autonomi. Cosa succede quando, in questo periodo, un partner lascia l’altro? Crolla tutta l’impalcatura, in un attimo è come se ci fosse stato un terremoto, un’esplosione improvvisa. Emergono rabbia, incredulità, dolore (tantissimo) associati ad estrema sfiducia dell’altro “mi ha preso in giro fino ad ora?”, “chi sei? Chi sei stato finora?”, ecc. Chi viene lasciato si sente a pezzetti “mi sento un pugno di coriandoli che in un attimo è stato gettato all’aria e non serve più”.

Qui bisogna, per prima cosa far attraversare il dolore ed avere pazienza di soffrire, accogliere la sofferenza nella sua totalità ma iniziare, in contemporanea, a ricostruire la persona proprio da quei coriandoli, rimettendoli insieme con l’obiettivo di trovare un nuovo “me”.

PERDERE L’AMORE

Parliamo, ora, della morte del coniuge, sempre a circa 50 anni. In questo periodo le persone hanno consolidato la relazione; tendenzialmente il matrimonio ha minimo 10-15 anni fino ad un massimo di 30. Il partner vivente potrebbe avere molta difficoltà a vedersi da solo: per molto tempo è stato la moglie di o il marito di…Il partner vivente ha accompagnato l’altro nella sua malattia, l’ha accudito, curato, ha sofferto con lui/lei e, forse, ha saputo delle cose che non ha mai rivelato all’altro per proteggerlo “io sapevo che gli/le rimaneva poco tempo, ma non l’ho mai detto perché avevo paura si arrendesse prima”. Nel periodo prima della malattia avevano iniziato a vivere un nuovo momento del loro matrimonio, quasi un secondo “fidanzamento”. I figli, o erano già autonomi oppure non c’erano. Cosa succede in questi casi? La persona prova un dolore immenso, pervasivo e sconosciuto; pretende che magicamente il dolore si elimini “non se ne esce”, “di giorno va benone, ho sempre la testa occupata, di sera crollo”. Cosa si fa? Si accoglie il dolore e lo si contestualizza rendendolo naturale e sano e che sarebbe fantascienza non provarlo. Con il tempo, si cerca di far riprendere la vita della persona senza far dimenticare l’altro ma mettendolo in un posto particolare nella mente. Si cerca di far trovare al partner vivente un nuovo senso delle cose.

In entrambi gli eventi, il dolore è incalcolabile e tutto ciò che si fa deve essere fatto con estrema attenzione e rispetto. Mentre nel primo caso si può far leva sulla rabbia, nel secondo caso si può far leva proprio sul partner deceduto. Anche se ogni persona ed ogni vita è diversa dalla vita di ogni altra persona.

Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta Psicologa Giuridico-Forense
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