VIAGGIO STORICO ALLE ORIGINI EMBRIONALI DEL DIRITTO

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In ordine alla questione di un diritto europeo unitario e coerente, giova esplorare le soluzioni assunte dai primi giuristi e legislatori dell’umanità.

di Antonio Calicchio

E’ notorio che, dal punto di vista giuridico, esiste una disparità storica e culturale nei Paesi europei; si pensi al diritto anglosassone e a quello di origine romanistica per comprendere la centralità di questo argomento, ai fini della fondazione degli “Stati Uniti di Europa”. E non risulta fuori luogo concentrare l’interesse al passato, cioè alle prime culture del Vicino Oriente Antico, per esaminare come i nostri predecessori abbiano affrontato il problema ai primordi della storia dell’umanità. Prima, ancora, del diritto greco di Solone e del diritto romano, i popoli del Vicino Oriente Antico si erano posti, più volte, la questione di un diritto unitario e coerente, che informasse la propria condotta socio-giuridica. 

L’esigenza di fissare delle leggi in particolari composizioni che si possono definire codici venne, da sempre, avvertita dai sovrani mesopotamici come una delle principali attività del “buon governo”, e noi abbiamo appreso, dai testi universitari, che il primo legislatore e giurista fu il sovrano Hammurapi di Babilonia, re della prima dinastia semitica, vissuto intorno alla prima metà del II millennio a.C. Sulla sua stele sono incisi 282 paragrafi di cui si compone il suo codice di leggi, che gli Elamiti avevano portato in trofeo nella loro capitale Susa, dopo il sacco di Babilonia, e che i Francesi hanno riportato a Parigi, alla fine dell’Ottocento, e che può essere visitata al Louvre. Col progresso degli studi assirologici e le scoperte degli ultimi 100/150 anni di scavi in Mesopotamia, si sa che Hammurapi non fu il primo legislatore e giurista del Vicino Oriente Antico. Tale primato spetta ai Sumeri della III dinastia Ur (intorno al 2100 a.C.), 300 anni prima dell’avvento al trono del re semita. Eppure, nell’immaginario collettivo, il diritto sarà sempre una “creazione” di Hammurapi. 

Quello di costui, ben più che essere un vero e proprio codice normativo di leggi, si rivela, piuttosto, come un manifesto politico del buon governo del sovrano regnante, come si arguisce da una delle formulazioni finali dell’epilogo allegato in fondo al testo: “L’oppresso che abbia una contesa venga alla statua che mi rappresenta come re della giustizia, legga la mia stele iscritta, ascolti le mie preziose parole. La mia stele gli chiarisca la sua contesa, veda la legge che lo riguarda, si rallegri il suo cuore e dica: ‘Hammurapi, che è come un padre che ha generato il suo popolo, si è sottomesso alle disposizioni di Marduk, suo signore. Per Marduk ha conseguito la vittoria a Nord e a Sud, ha rallegrato il cuore di Marduk suo signore. Per sempre ha assicurato benessere al popolo e ha reso giustizia nel paese’ “. 

Poco dopo, parlando dei suoi predecessori, il re soggiunge: “Il re che ci sarà nel paese nei giorni futuri osservi le parole di giustizia che sono scritte sulla mia stele, non cambi la legge del paese che io ho promulgato e le sentenze che ho divulgato, non elimini i miei disegni. Se quest’uomo possiede discernimento e ha la forza di provvedere al suo paese presti attenzione alle parole che ho scritto sulla mia stele e questa stele gli mostri la via, la direzione, il diritto che nel paese ho promulgato, le disposizioni che nel paese ho decretato e provveda così all’umanità, eserciti per essa la giustizia ed emani le sentenze, estirpi dal suo paese il cattivo e il malvagio e faccia prosperare il suo popolo”. 

Le parole più ricorrenti, tanto nel prologo, quanto nell’epilogo di questo testo, sono “giustizia” ed “equità”, binomio che comprende tutta la filosofia del buon governo di un re mesopotamico, quella giustizia ed equità fra i cittadini che gli dei avevano previsto come norma di vita. Non a caso, nella predetta stele, egli si fa rappresentare in piedi, ma sempre in atteggiamento umile, mentre riceve le disposizioni che sta emanando da un dio assiso su un trono, che, come dice lui, è il dio Shamash, signore e garante della giustizia nel mondo. 

Col che, Hammurapi non rinuncia a quella che, alla nostra disamina, appare una manifestazione di barbarie, ossia la c.d. legge del taglione, il cui principio generale viene riassunto nella espressione “occhio per occhio, dente per dente”. Si conoscevano già, dalla legge biblica, esempi di questa legge ferrea, come: “Sarà sparso il sangue di colui che avrà sparso sangue umano” (Gen. IX 6); “Chi percuote un uomo a morte sia messo a morte” (Es. XXI 12); “La terra non può essere purificata dal sangue in essa versato se non con il sangue di chi l’ha versato” (Num. XXXV 33); “Consegna l’uccisore di tuo fratello, affinché lo mettiamo a morte” (2 Sam. XIV 7).

E Hammurapi ci documenta l’antichità di questo istituto: “Se un uomo causa la perdita di un occhio del figlio di un altro, sia condannato all’accecamento di un occhio”; “Se causa la frattura di un altro, sia condannato a subire un’uguale frattura”; “Se fa cadere un dente di un altro suo pari, sia tolto un suo dente”. 

Se i succitati esempi certificano una autentica severità, non si trascuri che la pena è commisurata allo status sociale del reo, nel senso che venivano comminate pene di diverso grado di rigore secondo che la parte lesa fosse un cittadino a pieno titolo o un uomo appartenente ad un rango socialmente inferiore. 

Una particolare considerazione Hammurapi destina alla serietà e professionalità degli specialisti, cui è richiesta tutta l’attenzione, se non vogliono incorrere in sanzioni severe per negligenza o dolo nell’esercizio delle loro funzioni. 

E così, al giudice viene imposto di non modificare per dolo un giudizio emesso, pena l’espulsione dall’ordine: “Se un giudice ha pronunciato una sentenza apponendo sul documento il sigillo, e in un secondo tempo ha dolosamente mutato questa sentenza, paghi 12 volte il valore del bene trattato nel processo e sia radiato per sempre dall’assemblea dei giudici. Questo giudice non potrà mai più giudicare”.        

Diversa è la situazione del medico, che deve salvaguardare sempre l’integrità fisica del malato: “Se durante un intervento chirurgico un uomo muore o perde un occhio, il chirurgo sia condannato al taglio della mano”.

Lo stesso dicasi, mutatis mutandis, del veterinario: “Se il bue o l’asino muore durante l’intervento, il veterinario deve risarcire la perdita al proprietario con la quinta parte del valore dell’animale”. 

Sei articoli sono dedicati agli architetti e costruttori. Si stabilisce il compenso per chi costruisce una casa, che è di due sicli (poco meno di 20 grammi) di argento, per ogni sar di terreno (= 100 mq) edificato. E poi, seguono le clausole che contemplano le pene a causa di inadempimento o disastro: “Se un costruttore  costruisce una casa poco solida che crolla, provocando la morte del proprietario, sia condannato a morte”; “Se nel crollo muore il figlio del padrone della casa, sia ucciso il figlio del costruttore”; “Se nel crollo muore lo schiavo del padrone della casa, il costruttore risarcisca con un altro schiavo”; “Se nel crollo sono andati distrutti dei beni del proprietario, il costruttore ha l’obbligo di risarcire interamente il danno arrecato e di ricostruire la casa a sue spese”; “Se un costruttore costruisce una casa non a regola d’arte e crolla un muro, deve costruirlo solido a sue spese”. 

Di tutti quanti i “codici” orientali pervenutici, inerenti – per lo più – ad alcuni parziali profili della cultura e della realtà giuridica, quello di Hammurapi, per l’ampiezza del contesto sociale e giuridico oggetto della sua giurisdizione, è quello che si propone come il riflesso più fedele della società coeva. 

Sempre in ambito semitico, sono da evocare il codice di leggi di Eshnunna, scoperto, intorno agli anni 50 del secolo scorso, nel sito di Tell Harmal, le leggi medio-assire (trovate nella biblioteca di Assur) e frammenti della legislazione neo-babilonese.

Per quel che attiene al primo dei codici summenzionati, è da evidenziare la parte che precede le clausole, contenente una tabella ufficiale dei prezzi delle varie merci, mentre le leggi medio-assire mostrano la crudezza di quel popolo: “Se un uomo percuote la moglie di un altro e ne provoca l’aborto, sua moglie deve essere sottoposta allo stesso trattamento. Sia compensata vita per vita. Se la donna muore, l’aggressore sia condannato a morte. Sia compensata vita per vita. Se il marito della donna percossa non ha figli, allora il colpevole deve essere condannato a morte. Se il feto è una femmina, deve essere compensata ugualmente vita per vita”. 

“Se un uomo, o in città o in campagna, di notte o in luogo pubblico, o in un granaio, o durante una festa della città, violenta una ragazza che ancora dimora nella casa paterna e che è ancora vergine o nubile, e nessuno vanta diritti nei riguardi di suo padre, deve sposarla e cedere la propria moglie al padre della ragazza, che la sottoporrà a violenza e la terrà per sé. Se il colpevole non ha moglie, deve sposare e non opprimere la ragazza e pagare a suo padre il triplo del suo prezzo. Se il padre non vuole dargliela in moglie, il colpevole deve pagargli il prezzo triplo della ragazza”. 

In confronto alla severità di Hammurapi e alla crudezza degli Assiri, i Sumeri, nei loro codici, si connotano per una maggiore mitezza delle pene, nonché per una concezione del mondo più rispettosa della persona umana. Ed infatti, benché non soltanto il codice di Ur-Nammu, ma anche quello di Lipit-Eshtar constino di pochi articoli, tuttavia la filosofia che li pervade è connessa agli esposti principi fondamentali. Non è dubbio che l’omicidio viene punito con la condanna a morte, ma è pur vero che a colpe minori corrispondono sanzioni di natura economica. Ad es., quando si legge “se un uomo taglia il piede di un altro, sia condannato a pagare 10 sicli di argento”, ovvero “se un uomo rompe con una bastonata l’osso di un altro, sia condannato a pagare una mina d’argento”, o, ancora, “se un uomo taglia con una coltellata il naso di un altro, sia condannato a pagare 2/3 di mina d’argento”, oppure “se un uomo rompe il dente di un altro, sia condannato a pagare 2 sicli di argento” – paragrafi, questi, desunti dal codice di Ur-Nammu – allora si comprende che si è ben lungi dai principi ispirativi del codice di Hammurapi, che si identificano con la legge del taglione. 

Però, assai più che sottolineare la diversità del diritto sumerico da quello posteriore semitico, occorre precisare, piuttosto, un altro aspetto. Il sovrano, cui, alcuni studiosi, attribuiscono il più antico codice di leggi mesopotamico, è Ur-Nammu – l’odierna critica fa promotore di questa iniziativa suo figlio e successore Shulghi – e qua interviene un elemento primario che si ricollega direttamente all’inizio dell’articolo. Ed invero, la terza dinastia di Ur costituisce, nella storia del Vicino Oriente Antico, il primo vero impero sovranazionale dopo 200 anni di invasioni semitiche e barbare della Mesopotamia; e ciò obbligò i sovrani ad instaurare un sistema di leggi che tenesse in giusto conto le diversità etniche e politiche rappresentate nella sfera geografica da essi dominata. Né è da tralasciare la circostanza che proprio Shulghi è, inoltre, il sovrano che ristruttura l’amministrazione e fonda quella burocrazia tanto efficiente da includere ogni attività socio-economica del nuovo impero. Ed in questa prospettiva, i sovrani di Ur si prefiggono di promulgare delle leggi più indulgenti per i loro sudditi.

D’altra parte, non si trascuri che Shulghi aveva avuto dei precursori proprio nel mondo sumerico, come Urukaghina, ultimo re della prima dinastia di Lagash, che, in forza della sua riforma, nel tentativo di guadagnare il consenso dei sudditi, aveva cercato di restituire ai templi ed ai loro sacerdoti le prerogative che, col tempo, erano divenute appannaggio dello Stato “laico”. Pertanto, l’iniziativa dei sovrani di Ur ricava precedenti in questa cultura propriamente sumerica, che concepisce il mondo come paese organizzato dagli stessi dei, ove non altro deve regnare che l’ordine. 

Preme, altresì, nominare quei popoli che hanno preceduto i Sumeri, rammentando il trattato internazionale fra Ebla e Assur. Malgrado concerna relazioni tra due Stati, nondimeno il compilatore del testo discute, in 19 paragrafi, punti di diritto commerciale, pubblico e privato, oltre che processuale e penale. Questo documento delinea un quadro sovranazionale e non campanilistico della società semitica fiorita intorno al 2500 a.C. Per vero, comparando gli articoli del codice di Hammurapi con quelli corrispondenti del trattato fra Ebla e Assur – come, ad es., quello della deflorazione di una vergine – non si può omettere di puntualizzare l’ampiezza di vedute della società di Ebla rispetto a quelle assira e babilonese dei periodi posteriori.

Ciò che si inferisce dal diritto di Ebla è un massimo rispetto della persona umana, quel rispetto della dignità di ciascun essere vivente, che – auspichiamo – rappresenti sempre il faro che illumina e guida il lavoro dei legislatori e giuristi dell’Europa Unita.