Come è nata la leggenda dei brogli elettorali

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Come è nata la leggenda dei brogli elettorali nel Referendum tra Monarchia e Repubblica
Non vi furono manipolazioni, ma solo un grande pasticcio normativo

di Giovanni Zucconi

Il Referendum tra Monarchia e Repubblica, che si svolse in Italia il 2 giugno 1946, è sempre stato accompagnato dal sospetto che furono organizzati dei brogli elettorali contro i Savoia. Cercheremo di dimostrare come questi, probabilmente, non vi furono, e che i sospetti furono alimentati da una serie di circostanze e da alcuni errori normativi grossolani, che rischiarono di portare l’Italia sull’orlo di una guerra civile. E’ una storia poco conosciuta, e che vale la pena raccontare. Tutto inizia con il Decreto Luogotenenziale numero 151 del 25 giugno 1944 (detto Prima Costituzione Provvisoria), che stabiliva che un’Assemblea Costituente, eletta dal popolo, avrebbe deciso se l’Italia sarebbe rimasta una Monarchia o se sarebbe dovuta diventare una Repubblica. Ma i saggi politici di allora, si resero conto che una decisione così importante non poteva essere delegata a dei semplici rappresentanti, ma che doveva scaturire da una consultazione popolare. Per questo fu emanato un nuovo Decreto, il numero 98 del 16 marzo 1946 (detto Seconda Costituzione Provvisoria), che stabiliva che questa decisione sarebbe stata presa dai tutti gli Italiani chiamati ad esprimersi in un referendum. Questo si sarebbe svolto nello stesso giorno dell’elezione dell’Assemblea Costituente. La decisione presa fu sicuramente molto saggia, ma il nuovo decreto fu redatto forse troppo frettolosamente e, come vedremo, conteneva una svista grossolana. Il Referendum si svolse regolarmente, e dopo 16 giorni (forse troppi per non alimentare sospetti) la Corte di Cassazione proclamò la vittoria della Repubblica con un consistente scarto di circa un milione e mezzo di voti. Tutto bene? Nemmeno per sogno. I Monarchici a questo punto tirarono fuori il loro asso nella manica. Fecero notare come nel Decreto che istituiva il Referendum, si stabiliva che la vittoria per la Repubblica sarebbe stata ratificata solo con la maggioranza dei votanti e non di quella dei soli voti validi, come sarebbe stato più logico e corretto indicare. Questo voleva dire che, secondo il Decreto, i si per la Repubblica, per essere determinanti, sarebbero dovuti essere maggioranza anche conteggiando i voti nulli o non validi. Nel governo si diffuse il panico. Infatti, per come si era svolto il conteggio delle schede elettorali, non si sapeva nemmeno quante fossero le schede bianche o nulle, e quindi, in queste condizioni, non si poteva dire con certezza chi avesse veramente vinto. Nessuno le aveva contate con precisione, e forse nemmeno si sarebbero potute ricontare con esattezza in seguito. Davanti a De Gasperi, che in quel momento era il capo del governo e che secondo il Decreto sarebbe dovuto diventare il Capo dello Stato provvisorio, si prospettava quindi uno scenario da incubo. Bisognava dire agli italiani che si, la Repubblica aveva la maggioranza dei voti, ma che per un cavillo giuridico il Re continuava ad essere nel pieno dei suoi poteri, e che forse bisognava ripetere il Referendum. La questione era comunque controversa. A sostegno dei Repubblicani, c’era un decreto del 23 aprile 1946, e quindi successivo a quello istitutivo, che dava delle indicazioni precise sullo svolgimento del Referendum, specificando, stavolta correttamente, che si doveva verificare la maggioranza dei voti validi e non quella dei votanti. Ma il Re Umberto di Savoia, per fare resistenza, di appellava tenacemente al primo decreto, e non voleva andarsene. Andava presa una decisione difficile. Ripetere il Referendum, infilandosi in uno scenario istituzionale poco dignitoso e con esiti molto incerti, o assumere una posizione dura, facendosi forza del secondo decreto applicativo, e continuare a proclamare la vittoria della Repubblica. Seguendo questa seconda via, ci si avviava però verso uno diretto con la Monarchia e i Monarchici, scivolando pericolosamente verso una guerra civile. De Gasperi, come Presidente del Consiglio, scelse questa seconda strada e fece votare dal Consiglio dei Ministri il passaggio nelle sue mani, senza delega, delle funzioni del Capo dello Stato. Umberto di Savoia si trovò quindi davanti all’alternativa di accettare questa votazione ed andarsene, o scatenare una guerra civile, che molti in quei giorni davano per imminente. Alcuni testimoni, ricordano che De Gasperi disse a Falcone Lucifero, Ministro della Real Casa, che “…domani uno di noi andrà a trovare in prigione l’altro…”. Umberto protesta, definisce quello di De Gasperi un atto eversivo, ma poi accetta la sconfitta e parte per l’esilio. La Repubblica nacque quindi con qualche ombra, che poi alimentò la leggenda dei brogli elettorali che ancora oggi rimane viva. In seguito, non è però chiaro come, vennero ricontate anche tutte le schede bianche e nulle, e si verificò che la Repubblica aveva avuto comunque la maggioranza, anche dei votanti.