“Petrolini il mio maestro”

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Mezzo secolo di luminosa carriera, 130 film all’attivo, Stefano Antonucci ci racconta il segreto del suo successodi Giovanni Zuccon

Non sempre la fama è commisurata al valore dell’artista. La grande notorietà, o l’appartenenza al ristretto mondo delle grandi star conosciute da tutti, è spesso legata ad un singolo episodio artistico. Il valore vero di un attore lo possiamo invece correttamente misurare osservandone la carriera nel suo complesso. E pochi attori possono sfoggiare una carriera ricca come quella di Stefano Antonucci. Solo a scorrere i titoli dei suoi 130 film, o a ricordare gli oltre 90 spot pubblicitari che lo hanno visto protagonista, o a elencare le innumerevoli trasmissioni radiofoniche o televisive (“Indietro tutta” vi dice qualcosa?) alle quali ha partecipato, già ti fa avere un’idea della grande professionalità che ha saputo esprimere in 50 anni vissuti intensamente dal punto di vista lavorativo. Lo abbiamo incontrato alla prima teatrale di “Nell’anno del Signore”, per la regia e l’adattamento di Antonello Avallone, che verrà rappresentato, al Teatro dell’Angelo a Roma, fino al 21 gennaio. Un opera che, pur dovendosi confrontare con il capolavoro assoluto di Luigi Magni, riesce a riproporre, con la stessa forza del film, le atmosfere della Roma papalina e i grandi temi della Libertà e della lotta alla tirannia. Stefano Antonucci, nonostante la tensione che inevitabilmente accompagna l’attesa della prima rappresentazione, ci ha concesso un’intervista che ci ha permesso di conoscerlo meglio.

Lei ha partecipato ad almeno 130 film, e a un numero indefinito di trasmissioni radiofoniche e televisive. Per non parlare degli oltre 90 spot pubblicitari. Il mestiere dell’attore è sicuramente tra quelli più totalizzanti. A che cosa ha dovuto rinunciare della sua vita privata per poter portare avanti il suo sogno di recitare?

“Alle famose ferie. Spesso mi chiedono, quando arrivano i giorni dedicati alle vacanze, dove vado in ferie. Io rispondo sempre: “In ferie ci va chi lavora. Io non ho mai lavorato in vita mia”. Io ho sempre considerato questo mestiere una professione da privilegiati. Una professione per gente fortunata. Infatti mi meraviglia quando dei colleghi, come si dice a Roma, “se la tirano”. Noi dovremmo essere grati al nostro Dio, per la fortuna che abbiamo avuto di fare un lavoro, che è talmente bello e magico, che non può essere considerato un mestiere.”

Di lei si leggono solo giudizi molto lusinghieri da colleghi e registi. Il suo pubblico l’accoglie sempre con affetto e simpatia. Che cosa le è mancato per la consacrazione del grande personaggio in un film importante? In generale, quando manca questo nella carriera di un attore, perché accade?

“Io sono un fatalista, e credo che sia una questione di Karma. Qualcuno mi ha attribuito una responsabilità dovuta probabilmente al mio carattere. Io non sono una persona facile. Io sono una persona che, siccome ama in maniera spasmodica questo mestiere, mi piace intervenire e dire la mia. Ma ho poca pazienza. Per cui, se disgraziatamente succede che il tale regista non capisce la mia esigenza, o non riesce ad entrare in quello che è il mio spirito interpretativo, allora si crea un attrito che io purtroppo non riesco a nascondere, e regolarmente lo esterno. Questo è stato, probabilmente, il mio limite principale.”

Non può essere solo una questione di cattivo carattere.

“Tognazzi diceva sempre che per fare questo mestiere, ci voleva, testualmente, “culo”. Nel senso che bisogna avere la fortuna di imbroccare il personaggio giusto, la commedia giusta o il film giusto. O la fortuna di incontrare il regista che ti sappia capire, che ti sappia valorizzare. Ma bisogna incontrarlo nel momento giusto. Un giorno, dalle parti di Piazza del Popolo, mi fermò Luigi Magni che mi disse: “…tu sei un attore che me fai morì. Me piaci…”. Luigi era un tipo diretto. Eppure, con Gigi Magni non sono riuscito a fare neanche una posa nei suoi film. Delle volte sfugge la possibilità di collaborare con un regista, o con un produttore, perché magari si è impegnati in un’altra cosa. Il grande Giorgio Strehler, dopo avermi visto recitare al Reggio di Parma, mi propose di andare a Milano per fare un provino per lui. Io, purtroppo, avevo già un impegno a Roma e dovetti rifiutare l’offerta. Noi siamo artefici, delle volte, della nostra stessa fortuna.”

Prima ha citato Ugo Tognazzi, che nel film di Magni aveva la sua stessa parte nella rappresentazione messa in scena da Antonello Avallone. Il film aveva un cast eccezionale. Voi non avete adesso un po’ di soggezione nel mettervi a confronto? Il pubblico farà inevitabilmente dei raffronti

Assolutamente sì. Immagino che ci sarà questo. Ma la storia raccontata da Luigi Magni è talmente straordinaria, che tutto sommato viviamo un po’ di riflesso della sua grandezza. E quindi più che il confronto, speriamo che il pubblico possa apprezzare che la bellezza di questo testo che ha fatto storia.

Pensa che questo testo sia ancora valido e attuale? Il Cardinale Rivarola, che lei porta in scena, diceva che gli Italiani preferiscono più la tranquillità alla Giustizia.

Le cose che ha scritto Gigi Magni non hanno tempo, sono universali. Come l’arte di Ettore Petrolini che non ha collocazione. E’ universale. E’ immortale.”

Petrolini è stato uno dei suoi maestri?

Certamente. Mi vanto di aver realizzato uno spettacolo straordinario, che si chiama “Serenata a Petrolini”, dove io però non interpreto Petrolini. Ritengo che Petrolini sia inarrivabile, inavvicinabile. E’ talmente straordinario che tutti coloro che hanno provato ad imitarlo hanno perso le penne. E stiamo parlando di nomi importanti: Scaccia, Fiorenzo Fiorentini e lo stesso Proietti, con tutto il rispetto e l’affetto che nutro per lui. Petrolini era un’altra cosa. Io quindi mi sono permesso di scrivere “Serenata a Petrolini” come un omaggio al grande artista.  Ho tratto spunto dai vari sketch del varietà italiano dal novecento a oggi, ispirati inevitabilmente all’arte di Petrolini. A Petrolini hanno attinto tutti.”

Il nostro giornale è diffuso soprattutto nel litorale nord di Roma. Ha dei ricordi legati alle nostre zone?

“Assolutamente sì. Quando ero bambino andavo sempre in vacanza a “Adispoli”. A Roma Ladispoli si chiamava così. Ricordo quei giorni con molto piacere… Adesso vado spesso al mare a Santa Marinella o a Santa Severa, perché penso che sia un punto del litorale molto pulito, e dove si può fare un bagno ancora decente. E poi c’è quello straordinario castello di Santa Severa, dove io ho fatto anche uno spettacolo. Non lo dico per piaggeria. Trovo quella spiaggia vicino al castello estremamente affascinante. E’ una delle zone che mi piace frequentare di più l’estate.”

Dei 130 film che ha girato, quale ricorda con maggiore affetto?

“Uno che l’ho particolarmente nel cuore è “La veritaaaà” di Cesare Zavattini. Mi vanto di averlo girato perché questo film è esposto nel Museo Internazionale della Cinematografia di New York. In quel film ho anche un bel ruolo intrigante.”

Lei ha 130 film alle spalle. Davanti?

“Voglio dire una cosa, ma non è una denuncia. Si è perso un po’ il giusto di fare il cinema. Io l’ho sempre considerato uno strumento straordinario per aggregare. Quando arrivavo sul set i registi dicevano: “…mamma mia, è arrivato Antonucci, namose, chiudete…“. Questo perché portavo sempre abbastanza allegria, scherzi e lazzi.  Adesso trovo sempre un po’ di difficoltà a relazionarmi quando arrivo su un set, soprattutto nelle fiction, perché mi sembra di stare al ministero. Purtroppo il fatto di collegare la durata ad un costo, comporta di non avere più tempo per giocare, e quindi diventa una cosa frenetica. Sono arrivato su certi set dove mi hanno detto: “guarda che per fare questa scena abbiamo 25 minuti”. Che vuole dire? Vuole dire che diventa una catena di montaggio. Non è più quello che ho vissuto, e che sono stato fortunatissimo a vivere: il cinema di Magni, di Scola o di Steno.

Ha progetti per il Teatro?

Il teatro è la mia vita. Io ho iniziato nel 1968, e nel 2018, come vede, sono ancora in scena. E spero di continuare. Vorrei raccontarle, se permette, una peculiarità della rappresentazione che tra poco andrò a recitare. Ho l’onore di lavorare, per la prima volta, a fianco di Federico Antonucci, che è mio figlio.”

Bello. Gli facciamo i nostri migliori auguri

“Purtroppo ho provato a dissuaderlo da questo progetto, ma non ci sono riuscito. Ha fatto un provino con Antonello Avallone, che lo ha preso nella sua compagnia. E’ successo e ne sono fiero. Mi funziona oltretutto da paciere. Le dicevo che io sono un po’ fumantino, un po’ irruento. E spesso Federico mi dice “Papà, aspetta, pensa 10 volte prima di parlare”. Questo mi ha aiutato molto, e mi ha permesso di superare bene questo periodo di prove che non sono state semplici. Sono contento di questa esperienza.”