LA PASQUA COME FESTA DEL RISORTO E DEI RISORTI

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“Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”
(S. Giovanni Paolo II)

di ANTONIO CALICCHIO

“Fin qui giunge la storia e da qui ricomincia”.

Con tale espressione, Hegel individua, nell’avvento di Cristo, uno iato profondo nella storia umana.

“Tutta la storia”, afferma Renan, “è inconcepibile senza Cristo”.

E’ l’unico personaggio la cui vita è iniziata ad essere scritta prima che nascesse. “Egli è, insieme, il collegamento dell’Antico e del Nuovo Testamento, poiché anche l’unico contenuto finale dell’Antico Testamento è il Messia”, ribadisce Shelling e prosegue: “Si può dire pure: in una filosofia della rivelazione, si tratta, soltanto e principalmente, di comprendere la persona di Cristo”.

La Sua esistenza coincide con quella dell’uomo stesso; Egli è bensì un personaggio storico, ma è percepito – sempre più – come contemporaneo di ogni uomo, specie di quello sofferente.

“Dio non portò la croce solamente 1900 anni fa, ma la porta oggi, e muore e risorge giorno dopo giorno. Sarebbe una magra consolazione per il mondo se dovesse contare su un Dio storico che morì 2000 anni fa. Non predicate, allora, il dio della storia, ma mostratecelo come vive, oggi, in voi”.

Non sono le esortazioni di un Pontefice o di un vescovo, ma sono le parole di Gandhi.

Oggi, Cristo è uscito dalle chiese per essere accolto da tutti “gli uomini di buona volontà”; adesso, Egli, più che mai, costituisce, cioè la coscienza della umanità, il paradigma delle virtù morali, fratello primogenito di coloro i quali soffrono.

“Cristo … / Fratello che t’immoli / Perennemente per riedificare / Umanamente l’uomo / Santo, Santo che soffri / Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli / Santo, Santo che soffri / Per liberare dalla morte i morti / e sorreggere noi infelici vivi … “, afferma Ungaretti.

Gli scrittori moderni non fanno che parlarci di Lui, della Sua passione, perché prendiamo coscienza che non furono gli uomini di 2000 anni fa a crocifiggerLo, ma è l’umanità tutta ad inchiodarGli mani e piedi.

“La vera questione è la seguente: chi ha ucciso Gesù Cristo … ? Ciascuno indietreggia per l’orrore, pronto a rigettare sull’altro, chiunque altro non ha importanza, purché non sia né lui, né i suoi, la responsabilità del crimine atroce” (Bruckeberger).

Curzio Malaparte punta il dito nei confronti di ciascun uomo che opprime un altro uomo, di coloro i quali si ergono al di sopra degli altri.

“Non posso abbandonare i miei morti, Jimmy … Se tu sapessi che Cristo giace fra loro, fra quei poveri morti, lo abbandoneresti?”.

“Non vorrai darmi ad intendere”, disse Jimmy, “che anche Cristo ha perso la guerra”.

“E’ una vergogna vincere la guerra”, dissi a bassa voce.

Nel 1964, Papa Paolo VI pronunciò, al Calvario, il luogo della morte di Cristo, queste parole:

“Ecco, Signore Gesù, noi siamo venuti come ritornano i rei al luogo del delitto … Noi siamo venuti per riconoscere il misterioso rapporto fra i nostri peccati e la Tua passione: opera nostra, opera Tua. Noi siamo venuti per batterci il petto, per domandarTi perdono … “.

Per secoli, i cristiani si sono ritenuti i soli eredi ed interpreti di Cristo, adorandoLo, più come Dio disincarnato, che servendoLo come uomo fra gli uomini. Ora, numerose persone riconoscono, con Papini, che “il Cristianesimo fu predicato, più che attuato, fu nome, più che sostanza. Per quanto Cristo sia stato ucciso da secoli, noi siamo, in verità, i primi cristiani, abbozzi ed apprendisti cristiani … “.

Ma cosa vuol dire essere cristiani? I discepoli di Cristo, visto che alcuni, non facenti parte del loro gruppo, predicavano in nome del Maestro, vietarono loro di farlo. Ritenevano essere loro i soli ad aver diritto a predicare la dottrina della Buona Novella. Ma Cristo li riprese: “Non vietate. Perché chi non è contro di me, è con me”.

Cristo è soltanto uomo fra gli uomini o è anche uomo-Dio?

Orbene, la ragione non è in grado di dare risposta a siffatto interrogativo, in quanto, come sostiene Kierkegaard, “l’uomo-Dio è il paradosso in senso assoluto … è segno di contraddizione, nega la comunicazione diretta, ed esige la fede”.

Tuttavia, la ragione solamente non può risolvere gli interrogativi e le esigenze dell’uomo: ed infatti, l’uomo necessita della fede per dare una risposta alle sue problematiche esistenziali, e nella persona di Cristo, molti hanno trovato, e seguitano a trovare, il senso della vita, della sofferenza e della morte. Dio stesso, per Pascal, è inconcepibile senza la fede in Cristo:

“Non soltanto conosciamo Dio unicamente per mezzo di Gesù Cristo, ma conosciamo noi stessi unicamente per mezzo di Gesù Cristo. Noi non conosciamo la vita, la morte se non per mezzo di Gesù Cristo. Fuori di Gesù Cristo, non sappiamo che cosa sia la nostra vita o la nostra morte, non sappiamo chi sia Dio e chi siamo noi stessi”.

Questa concezione di Cristo è fatta propria dagli artisti cristiani, che tentano di presentarLo sia come l’uomo dei dolori, sia come l’uomo che, attraverso il dolore, schiude la porta del “regno dei Cieli”. Donde la serenità che, anche nella rappresentazione delle scene più fosche, Gustave Doré riesce a comunicare.

La serenità che è la traduzione poetica della speranza cristiana dell’artista. La croce, la morte non sono l’ultimo atto del dramma della passione; al di là della croce e della morte si intravede la parola di vita eterna: Resurrezione, la quale Resurrezione si celebra con la Pasqua. E, quest’anno, sotto la pesante coltre non soltanto della pandemia, ma anche della guerra, con tutto il loro carico di incertezze e di paure per il futuro della umanità. La Resurrezione ricorda la vittoria della vita sulla morte. Dopo ogni morte, sperimentata nella propria storia personale, familiare, professionale, vi è la vita. La “Passio Christi” è stata atroce e orrenda, da essa si possono attingere la forza e il coraggio per sostenere situazioni difficili e dolorose.

Spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica: “La morte di Cristo è contemporaneamente il sacrificio pasquale che compie la redenzione definitiva degli uomini”. Le liturgie della fine della Quaresima, quindi, non devono essere partecipate come spettatori di una rievocazione di un accadimento storico o, se manca la fede, perfino, considerato leggendario. Ciascuno deve lasciarsi coinvolgere per rinnovare, in esse, l’efficacia del Battesimo, in modo da morire, con Cristo, alla vita del peccato, per risorgere, con Lui, alla vita nuova dell’amore. Ecco perché S. Pio da Pietrelcina esortava: “Siccome Gesù Cristo è risorto immortale alla vita di gloria, così, a dire con lo stesso S. Paolo, dobbiamo noi pure risorgere immortali alla vita di grazia”.

Con le parole di S. Giovanni Paolo II, auguriamo buone feste, nel segno di una S. Pasqua di Resurrezione: “Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”.