Il futuro dell’Europa: Europa e America, figlie della stessa storia

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di Antonio Calicchio

La cultura democratica americana ha una fonte ed una ispirazione europee. Sorge nel sec. XVIII, unitamente all’idea di Europa, quale idea di unità continentale e di organizzazione dei popoli nel clima del cosmopolitismo e dell’illuminismo, ma innestandosi su una tradizione cristiana, che è una tradizione di Res publica christiana.

L’esperienza democratica americana è stata solcata dall’illuminismo in forme che ancora non sono state studiate sino in fondo. E, nel Nuovo Continente, le idee germinate nel corso della Grande Rivoluzione, avrebbero trovato una originalità che avrebbe contraddistinto, nei decenni e nei secoli successivi, la vita politica, culturale ed istituzionale di quei Paesi.

Proprio in America sarebbe nato il primo tentativo di ricercare la libertà integrale e, contemporaneamente, di realizzare trasformazioni socio-economiche. Era proprio l’America il continente insorto contro l’assolutismo e, in particolare, contro il suo peggior frutto, il colonialismo, per instaurare, in sua vece, un sistema popolare positivo, tale da rispettare le prerogative della persona umana, dell’individuo, e nella prospettiva di poteri costituzionali differenziati e bilanciati: in una visione federativa e di solidarietà. Era proprio in America che si sarebbe sviluppata la ricerca di quello che Walt Whitman definiva “accrescimento della felicità e della libertà dell’uomo”.

Certo: America e Europa avrebbero percorso strade parallele. L’America avrebbe ricercato una sua originalità e una sua peculiarità, determinate dallo stesso ambiente e dallo stesso paesaggio, incoraggiate dalle modalità della genesi della nuova federazione, affrancatasi dalla madrepatria.

E’ questo il senso dei riferimenti al Mundus novus, nonché alle Lettere di Amerigo Vespucci che Thomas Jefferson fece per esaltare e valorizzare la fertilità e l’incorruttibilità dell’America. Erano riflessioni volte ad attribuire alla Rivoluzione americana un carattere salvifico e a sottolineare il destino della giovane nazione americana, tesa ad abbandonare alle spalle il disegno espansionistico delle potenze europee. Jefferson si guarda intorno e vede la natura e il cielo americani popolati da piante e uccelli che sembrano invogliare alla libera determinazione individuale: il vero motore della storia americana da alcuni secoli a questa parte.

Lo scenario naturale americano, le grandi distese, l’immensità degli spazi paiono smentire i compromessi mercantili degli Europei: e l’anelito rivoluzionario trova giustificazioni negli stessi scritti dei navigatori europei dell’epoca delle scoperte. Se le colonie, ora indipendenti dalla madrepatria, possono ambire a formare uno Stato ideale, le cui leggi fondamentali non contrastino con la natura, ciò è reso possibile da una realtà ancora incontaminata. E’ così che la Costituzione americana perviene alla rivendicazione del diritto alla felicità, anzi, “dell’incessante ricerca della felicità”, che è la trasposizione della redenzione nell’Eden ritrovato. Questa America, intesa come rigenerazione umana, continuerà ad ispirare l’ideale della Nuova Frontiera, di una sfida che la realtà naturale continuamente porterà alle congetture della ragione.

Se esiste un punto che rappresenta il momento di contatto e di saldatura tra la Rivoluzione francese e quella americana, esso è costituito dall’opera degli Enciclopedisti, i cultori dell’esperienza sistematica che considerano la ragione, l’operatività e il calcolo individuale le modalità mediante cui lo Stato nazionale moderno deve operare. In questo quadro, le Decadi di Pietro Martire d’Anghiera concorrono a rendere più consapevole il contributo dei fondatori della giovane America, dei suoi cantori, come Walt Whitman e Thoreau: appunto, le Decadi che Leone X leggeva ad alta voce, dopo cena, ai cardinali e alla sorella. Quelle Decadi che avrebbero permesso, agli abitanti del nuovo mondo, di identificare le fertili distese americane, le montagne americane, i fiumi americani coi paesaggi mitologici dei Greci e dei Romani. Fu il nuovo mondo, l’incontro con nuove genti e la scoperta di nuovi habitat che animarono la discussione intellettuale in Europa: in Francia, Voltaire si scaglia contro la dottrina dei climi, elaborata dall’abate Corneille de Pauw e, entro certi limiti, da Montesquieu, e confuta la tesi di Buffon circa l’unità di origine della specie umana. L’individuo assume, ora, una rilevanza che la Rivoluzione francese sancisce: la società civile tende a differenziarsi dalla società politica per il grado di organizzazione intermedia che i singoli individui e i gruppi riescono a realizzare. L’individuo, quindi: col suo potenziale naturale, complementare al dispiegarsi dalla società.

Ciò fa sì che per il volterriano Marmontel la libertà degli Indios sia una condizione tutt’altro che felice. E il contratto (che da Hobbes a Rousseau regolamenta i rapporti tra gli individui del consorzio sociale) si fonda sul principio della rinuncia di una parte della libertà naturale per il conseguimento e la garanzia della libertà politica.

L’Europa dei lumi prende coscienza della sua missione, non più solo cristiana. E il mondo al di là ed oltre l’Oceano, diradate le tenebre e il mistero, influenza la letteratura occidentale.

L’America diviene l’ultimo approdo dei fermenti e delle tensioni dei puritani e delle aspettative degli esuli volontari: le componenti dei primi insediamenti di alcuni secoli fa, eppure ancora tanto presenti nella realtà nord-americana.

Nessuna cesura, dunque. Né separazione. Anzi, una eredità dell’Europa operante già alla fine del Settecento, nell’epoca dei padri fondatori e, poi, ancora, nei decenni seguenti. Un rapporto fecondo, mai interrotto, malgrado le tentazioni dello “splendido isolamento”, talvolta affioranti sulle due sponde dell’Oceano. Un rapporto che ha reso a portata di mano l’intuizione di Jean Bodin: “Tous les hommes sont reliés entre eux et participent merveilleusement à la République universelle, comme s’ils ne formaient qu’une seule et meme cité”.  

L’esperienza della Rivoluzione francese, di quella americana, dell’epoca delle nazionalità e dei risorgimenti europei vale, ancora oggi, come monito, nel momento in cui è sotto i nostri occhi una nuova realtà internazionale.

Terminata l’era dei blocchi politici e militari contrapposti, tramontate le utopie collettiviste, svaniti i pericoli della “guerra fredda”, sarebbe l’ultimo degli errori – e, forse, il più grave – quello di riscoprire le antiche suggestioni di una “fortezza Europa” mercantilista ed egoista, contrapposta a una “fortezza America” ripiegata su se stessa, quasi assediata dall’Atlantico e dal Pacifico.

Europa e America sono figlie della stessa storia. E il loro destino futuro non può prescindere da quella comunità di valori e di ideali dalla quale sono nate e si sono sviluppate.

Ogni anno, il 9 maggio, si celebra il giorno europeo, o festa dell’Europa. Questa data ricorda il giorno del 1950, in cui vi fu la presentazione, ad opera di Robert Schuman, del piano di cooperazione economica, ideato da Jean Monnet (c.d. Dichiarazione Schuman), che marca l’avvio del processo d’integrazione europea, con l’obiettivo di una futura unione federale.

La data coincide anche col giorno che segna, de facto, la fine della Seconda guerra mondiale: ed infatti, il 9 maggio è il giorno successivo alla firma della capitolazione nazista, quando furono catturati Hermann Göring e Vidkun Quisling.