“Il mio inferno nella cella zero”

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Il mio inferno nella cella zero
Cella, carcere. Richiesta di aiuto.

Pietro Ioia ci racconta l’agghiacciante esperienza nel carcere di Poggioreale dove la magistratura ha smascherato la camera degli orrori

di Dora Scalambretti

Pietro Ioia è stato il primo a denunciare alla Magistratura tutto ciò che accadeva nel Penitenziario di Poggioreale e soprattutto i fatti inerenti alla cella zero, situata al piano terra.

Quando ho telefonato a Pietro per l’intervista, la prima cosa che mi ha colpito, è stato il suo tono pacato con il quale informava e denunciava gli orrori visti e vissuti. Malgrado il tono tranquillo, il suo racconto, le sue parole, le sue affermazioni mi hanno scosso l’anima. Le ingiustizie denunciate mi hanno fatto capire che tutti noi siamo complici e colpevoli dei suoi aguzzini perché, pagando le tasse, ci sentiamo con la coscienza a posto e non ci chiediamo mai che fine fanno i nostri soldi. Pensiamo che vengano utilizzati per l’integrazione sociale dei detenuti ma nessuno è mai andato a controllare se ciò veniva realizzato e così ci siamo trovati a pagare lo stipendio ad aguzzini senza un briciolo di umanità. E’ un fiume in piena Pietro, perché denuncia le violenze della “squadretta” della cella zero, dove ogni sera, sistematicamente, veniva portato, denudato e picchiato un detenuto. E’ grazie a lui che nel 2013 scoppia lo scandalo e viene così chiusa definitivamente. E’ proprio Pietro a denunciare coraggiosamente ciò che ha subito e che altri prima e dopo di lui hanno vissuto. E’ ancora grazie a lui che l’orrore del carcere più affollato d’Europa e il più violento, viene fermato. Fa male sentirlo parlare, denunciare e sapere che, sette individui, messi su due panchine e chiamati la “squadretta”, venivano pagati solo ed esclusivamente per picchiare e massacrare. I nostri soldi usati per massacrare persone inermi e non per integrare. Pietro mi spiega che ci voleva veramente poco per essere pestati e non aveva importanza la motivazione o l’età. Bastava uno sguardo non gradito dalla guardia carceraria. E’ sempre obiettivo Pietro e ci tiene a sottolineare che non tutte le guardie carcerarie sono così e che l’omertà, sia delle guardie che dei carcerati, nasce dalla paura. Non alza i toni neanche quando mi racconta che per due volte ha varcato la soglia della cella zero. E’ lui a chiamarla così perché quella cella, larga due metri e lunga tre, con le pareti sporche di sangue, non ha il numero.

La prima volta che è stato massacrato, lui e un sessantaduenne, è accaduto per un mazzo di carte napoletane. Pietro aveva saputo che l’amico non aveva mai fatto una partita a carte in vita sua, e stava spiegando come si giocava ma una guardia li ha visti e, malgrado Pietro tentò di addossarsi tutta la colpa per evitare che anche l’altro fosse picchiato, la famosa squadretta, massacrò tutti e due. Ogni notte,nella cella zero, priva di telecamere, veniva portato un detenuto per essere torturato e così chi doveva tutelare la legalità diventava in realtà, un fautore della violenza. Pietro mi fa notare che uno dei più grandi problemi del carcere è la mancanza di occupazione del tempo che chiaramente, così non passa mai

Pietro Ioia, oggi, è il Presidente dell’Associazione degli ex detenuti di Poggioreale. Lotta Pietro e lotterà ancora, perché, come lui ci spiega, in ogni carcere c’è la cella zero, con nomi diversi ma con la stessa sistematica violenza. Mi parla dell’affollamento carcerario e mi fa l’esempio proprio di Poggioreale dove si trovano 2642 detenuti contro i 1503 che per legge dovrebbero esserci e di cui, la maggior parte, sono in attesa di giudizio. La promiscuità porta al dilagare delle malattie infettive. Celle che dovrebbero contenere non più di quattro persone arrivano a contenere otto o addirittura dieci detenuti. La carenza sanitaria e dei medicinali è al 90% al collasso. Mi spiega che c’è una pasticca “miracolosa” in carcere, perché qualunque patologia tu abbia, la pasticca è sempre la stessa e non solo, se vieni picchiato e vai in infermeria, vieni accompagnato da una guardia, così non parli e non denunci. Pietro non si ferma soltanto a denunciare le violenze fisiche e psicologiche della detenzione, ma ne denuncia lo stato sociale, perché chi varca le porte della galera per mancanza di lavoro, quando esce torna a delinquere per lo stesso motivo e questo è il fallimento dello stato tutto. A tutt’oggi Pietro ha contatti con il direttore del penitenziario per migliorare la situazione dei detenuti. Intervistato da testate internazionali (francesi, inglesi e canadesi), il film documentario è stato presentato nel 2015 all’Ischia Film Festival; ha partecipato al Convegno “Carcere e Legalità” all’Università di Napoli con studenti magistrati e gente delle istituzioni. Ma Pietro non si ferma, va oltre, dal suo vissuto e di quello dei suoi compagni di cella, nasce uno spettacolo: “Cella Zero” , tratto dagli scritti di Antonio Mocciola. Il regista Vincenzo Borrelli, fa ben rappresentare che lì c’era violenza, punizione e non la rieducazione. Ivan Boragine è il protagonista e rappresenta Pietro, come in un gioco di specchi, perché è proprio Pietro ad interpretare il carnefice. E’ un cazzotto in pieno stomaco perché qui la realtà supera l’immaginazione.

Voglio concludere questa denuncia sociale con le parole del Cappellano di Poggioreale, Don Francesco Esposito che afferma:”Il carcere non è rieducativo ma crea criminalità. Il carcere è una struttura antiumana e anticristiana.”

Ringrazio Raul Garzia per il contatto e soprattutto Pietro Ioia per la sua umile, ma non per questo meno grande persona. Per la sua umanità, per la sua lotta e per la sua vicinanza non solo ai detenuti ma anche alle famiglie che dormono in macchina e passano ore in fila stipati come bestie per un colloquio di al massimo cinquanta minuti. Lo ringrazio perché affianca e sostiene le madri dei morti ammazzati in carcere e lo fa con il cuore e con la mente, perché la sua presenza è costante e concreta.