ROMA: IL CAMERINO DELLA MORTE DI VIA DEL CORSO

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Via del Corso

MISTERIOSE SCOMPARSE NELLA ROMA DEGLI ANNI OTTANTA.

Per gli amanti dello shopping una delle strade più esclusive e conosciute nella Capitale è via del Corso e proprio qui, immerso nel fragore del caos cittadino e durante una delle quotidiane e banali attività come quella di fare compere, il cuore del Centro storico della Capitale si è reso protagonista di un fatto che ha sconvolto la Roma degli anni Ottanta.

“Babilonia” era il nome della boutique di quei tempi: giovani ragazze dalla carnagione bianca entravano nel negozio, notavano qualche capo, chiedevano dove fossero i camerini per provare gli abiti e, ignare, entravano tirando bene gli anelli della tendina dello stanzino. Proprio in quel momento accadeva la tragedia, diventata a quel punto una triste abitudine all’interno dell’esercizio: si apriva una botola sotto ai piedi delle ragazze, che scivolavano venendo inghiottite dal buio totale. Narcotizzate, legate e imbavagliate erano pronte per quel terrificante fenomeno riguardante il traffico criminale, conosciuto con il nome di Tratta delle bianche: la forma più comune del traffico umano, rivolto principalmente alle giovani donne, è lo sfruttamento sessuale, ma possono anche essere destinate al contrabbando di organi, lavoro forzato o “nel migliore dei casi” a facoltosi harem di ricchi uomini arabi. Le statistiche denotano tristemente che la maggior parte di questi carnefici senza scrupoli siano proprio di sesso femminile e, nei casi più estremi, le vittime stesse diventano carnefici.

Il racconto di questi avvenimenti non riguarda solo la città di Roma, ma anche molte altre parti del mondo e diverse sono le versioni tramandate negli anni; tuttavia, il punto che tutte queste storie hanno in comune è proprio il nome dato agli stanzini: “Camerini della morte”.

I negozianti hanno fatto di questa storia metropolitana un vero e proprio punto di forza per l’incremento delle loro vendite, ironizzando per mezzo dello stesso allestimento delle vetrine, come ad esempio esponendo manichini imbavagliati o altri ancora che uscivano fuori da una botola con delle armi in mano e così via. Questo metodo si è rivelato paradossalmente produttivo, come? Basandosi su una sorta di psicologia inversa e cavalcando l’onda della morbosa curiosità che si era andata a creare intorno all’intera faccenda, soprattutto tra gli adolescenti. I genitori, conoscendo le storie che circolavano e vedendo le macabre vetrine allestite, vietavano alle figlie di recarsi in quei negozi per fare acquisti, ma, per la ribellione che è nella natura stessa della fase adolescenziale dei ragazzi, facevano esattamente il contrario.

Molti commercianti hanno affermato che mai nulla del genere fosse accaduto all’interno dei loro negozi e la stessa risposta hanno dato a chiunque entrasse per fare domande sull’attendibilità delle storie; molti hanno sospettato che fosse tutto inventato, forse al fine di alimentare una qualche xenofobia (dal greco ξένος, “straniero” e φόβος, “paura”), dubbio giustificato anche dalle origini dei manichini provocatori, ad esempio vestiti alla maniera araba, ma è tuttavia un tratto che varia in base al luogo in cui la storia è raccontata (in Giappone molte donne vengono ritrovate mutilate e in fin di vita nelle Filippine, che è stato nemico della Nazione insulare in molte occasioni).

Si parla di leggende metropolitane o di storie vere? Ancora oggi rimane un mistero.

Flavia De Michetti