E’ possibile realizzare l’intelligenza artificiale?

0
417
intelligenza artificiale

La civiltà dell’Occidente non è capace di dimostrare che per la scienza è impossibile costruire una intelligenza uguale o superiore a quella umana.

di ANTONIO CALICCHIO

 La scienza vuole realizzare l’intelligenza artificiale, in virtù di due presupposti fondamentali: che si conosca cos’è l’intelligenza e che essa sia realizzabile!

La civiltà dell’Occidente non può dimostrare che per la scienza non è possibile dare vita ad una intelligenza uguale o superiore a quella umana. Tant’è vero che si può affermare come – in avvenire – la scienza possa collegare intelligenze artificiali a corpi con sembianze umane e aumentare le possibilità, materiali e psichiche, dell’uomo, mutandolo in superuomo, avvicinandolo, perfino, a Dio.

Il desiderio dell’uomo di divenire Dio è fra le esigenze più remote e primordiali della umanità (Prometeo, Faust). E la volontà della scienza e della tecnica di incrementare la loro potenza costituisce la manifestazione della volontà di divenire Dio.

Tuttavia, si contesta, al riguardo: ciò che di più alto esiste nell’uomo, potrà essere costruito in laboratorio? Godel ha chiarito che una macchina pensante non potrà mai contenere un fattore primario della intelligenza naturale, vale a dire la “visione” del mondo. Del resto, egli, al fine di salvaguardare l’uomo contro la macchina, utilizza una certa logica e un certo linguaggio, ossia una fusione di linguaggio comune e di linguaggio scientifico. “Ma Godel” – scrive Severino – “non si è mai preoccupato di fondare il valore incontrovertibile dello strumento logico-linguistico da lui usato. Anzi, era proteso nello sforzo di togliere alla (scienza) ogni … illusione di valere come verità epistemica assolutamente garantita”. Pertanto, le sue argomentazioni reggono unicamente nella misura nella quale si accetta e si impiega lo strumento logico-linguistico che ad essa porta. I tutori dell’uomo, del suo spirito, della sua anima, della sua coscienza, che si rifanno a Godel, devono prendere atto che la loro negazione di assimilare intelligenza artificiale e intelligenza umana sorge non su una base indisputabile, ovverosia sull’epistéme, bensì su ipotesi del linguaggio scientifico e che la scienza stessa non ritiene più verità inalterabile ed assoluta.

Pure da questo punto di vista, quindi, non vi sono elementi che presentano l’impossibilità per la scienza di fabbricare oggetti come gli umani o con prestazioni superiori. Non è impossibile che la scienza possa creare oggetti con tratti umani che esistano, scrivano poesie, preghino, riflettano analogamente agli uomini o più di loro. Ma per conoscere cos’è impossibile occorre conoscere cos’è necessario. E la nostra civiltà ha abbandonato la “necessità”, “Ananke”, in greco!

Turing, il precursore della ideazione della intelligenza artificiale, nota che quanto più divengono complesse, tanto più le macchine rivelano sorprese. Al di là di un dato limite di complessità, le macchine potrebbero divenire critiche, cioè filosofiche, poetiche, oranti, amanti. E se si intende rifiutare questa tesi di Turing, allora bisogna dimostrare l’impossibilità della scienza a formare macchine pensanti, altrimenti la realizzazione di una intelligenza artificiale “filosofica” è una vera possibilità per la scienza.

Se si ammette, dunque, che la scienza abbia l’abilità di porre in essere macchine assimilabili alla realtà umana, allora la questione del rapporto macchina/intelligenza va sollevato in modo differente.

Orbene, la scienza è nelle condizioni di comporre macchine intelligenti, al pari dell’uomo o più di lui: è come dire che esse costituiscono parti del tutto, come parti sono i soggetti umani. L’esistenza dell’uomo non solo è coesistenza con gli altri, ma non può prescindere dal resto del tutto, come la terra, le piante, le montagne, il cielo, le stelle, il dolore, la gioia, la nostalgia, ecc. Per tutto qui si intende la totalità di ciò che si mostra e di cui si ha coscienza, nel cui novero, oltre agli uomini, appaiono anche i prodotti della scienza, come le macchine intelligenti, che, in quanto tali, rappresentano, quindi, una parte del tutto. Ma il tutto è la forma primigenia ed essenziale della intelligenza. Donde l’interrogativo: che senso ha asserire che la scienza può generare sia delle parti del tutto, sia la stessa totalità che si mostra? Per comprendere e modificare il mondo, secondo queste due modalità della intelligenza nella civiltà dell’Occidente, è inderogabile che il tutto si manifesti; tale manifestazione del tutto è l’origine di ogni intelligenza.

L’allontanamento della scienza dalla filosofia è anche l’indifferenza della scienza per il tutto che si svela. Quest’ultima può produrre una macchina intelligente, in forza della persuasione che l’intelligenza sia, appunto, una macchina e, dunque, un oggetto particolare, ossia una parte del tutto. E proprio così è stato qualificato l’uomo nella storia della cultura occidentale: egli è o il soggetto umano e sociale, oppure è l’interiorità, distinta dal mondo esterno; nell’un caso e nell’altro, l’uomo è una parte del tutto.

Se si ragiona in questi termini, allora i difensori dell’uomo non possono scorgere confini alle realizzazioni scientifiche. Però, se l’uomo, nella sua natura essenziale, è l’apparire del mondo, allora il nesso scienza/intelligenza deve essere rivisto. Diversamente da ciò cui si rivolge il pensiero che – come quello heideggeriano – concepisce l’apparire del mondo come evento precario, che si mantiene precariamente fuori dal nulla e il cui verificarsi non è inevitabile. Ed invero, la situazione per cui qualcosa possa essere edificata è la sua distinguibilità dal nulla e dall’essere, è, in altre parole, il suo divenire. Ciò che diviene, ciò che è evento, può essere replicato e ricreato. Se il tutto che appare è un evento diveniente, allora non è impossibile che un dispositivo possa determinare il tutto che appare – e, conseguentemente, se stesso, giacché parte del tutto – e che esso dispositivo sia il nucleo della scienza e della tecnica. Non è impossibile, dunque, che il tutto dell’apparire coincida col tutto artificiale e con l’intelligenza artificiale.

Tuttavia, se in Heidegger il trascendentale, che rappresenta l’apparire del tutto dell’essente, è un evento, lo stesso trascendentale non è evento per l’idealismo e la fenomenologia. Però, quando queste due ultime filosofie sostengono l’eternità del trascendentale nei confronti dei suoi contenuti empirici, permangono dentro la separazione epistemica fra eterno e tempo. La stessa cultura contemporanea si affranca e si svincola da questo residuo epistemico, come avviene anche per il pensiero heideggeriano, che considera il trascendentale non come eternità, ma come evento precario.

Pertanto, se il trascendentale viene configurato come evento, allora esso trascendentale può essere messo in rapporto con la scienza e la tecnica che lo suscitano. Vale a dire che rimane aperta la possibilità che la tecno-scienza abbia la capacità di controllare il suo apparire e, dunque, la sua esistenza.