Sembra strano scrivere un articolo sul chiedere aiuto. Purtroppo, però, mi sembra necessario. Quando si vede qualcuno in difficoltà o una persona racconta di essere in difficoltà, viene spontaneo aiutarlo e consigliare di chiedere aiuto. Ma chiedere aiuto non è sempre così semplice. Quando una persona si sente in grave pericolo (per esempio, una persona si trova davanti un cane che lo vuole azzannare), l’organismo ha tre modalità principali di risposta: attacco, fuga, freezing (blocco delle reazioni comportamentali).
L’organismo tende alla sopravvivenza e non alla morte per cui è “programmato” per salvaguardare la propria vita, per la sopravvivenza. Cosa un po’ diversa se si parla ad una difficoltà o malessere psicologici.
Il malessere psicologico è un vero malessere ma, a differenza di quello fisico, non si vede e, per questo motivo, si ha l’illusione che possa passare da solo.
Invece i due malesseri, il fisico e lo psicologico, hanno la medesima dignità e quando arrivano ad un certo limite, necessitano di aiuto. Sempre per il principio di sopravvivenza, il malessere psicologico quando non viene ascoltato, si trasforma.
Per esempio, può prendere la direzione somatica. Questo è un modo alternativo che il “continuum mente-corpo” adotta per dimostrare il suo malessere e, in qualche modo, chiedere aiuto.
Questo potrebbe essere una delle motivazioni delle malattie psicosomatiche. Per esempio, una persona che è in mezzo a dinamiche famigliari litigiose, confusionarie o cariche di tensione inizia a soffrire di forti emicranie.
In questo modo la persona ha trovato il modo per isolarsi. Un altro modo per difendersi da un malessere profondo è irrigidire le proprie difese.
Ognuno ha delle difese naturali che sono automatiche ed inconsce (tipo rimozione, razionalizzazione, idealizzazione, ecc.) attraverso cui filtra il mondo interno ed esterno.
Tendenzialmente le difese sono fluide e morbide ma quando una o più predominano e diventano rigide, è per fare in modo che il malessere rimanga sotto controllo (per esempio: se una persona razionalizza sempre potrebbe significare che necessita di tenere lontano il proprio mondo emotivo).
Un modo un po’ più estremo sono gli atti autolesionistici (per esempio, tagli su alcune parti del corpo, procurarsi il vomito). Il tagliarsi, ad esempio, diventa un modo che la persona ha per venire in contatto con le emozioni primarie con la stessa entità e nello stesso momento ma è anche un modo di esprimere il proprio malessere.
È ovvio che i tagli sono sempre in posti nascosti del corpo (pancia, interno cosce). Capita, però, che la persona inizi a tagliarsi in posti più evidenti, tipo le braccia, oppure che talvolta qualche taglio diventi più profondo da portare la persona a chiamare il 118.
Qui, allora, si passa ad un altro modo di chiedere aiuto, si entra nell’ambito del tentato suicidio o del parasuicidio (sono sinonimi). Qui il malessere ha raggiunto un livello alto e al limite tanto che la persona deve “gridarlo” in questo modo per farsi ascoltare.
Spesso chi arriva al tentato suicidio ha già più volte dimostrato e ha già minacciato che prima o poi farà qualcosa di estremo ma spesso non è stato ascoltato.
In questo modo, arriva una struttura sanitaria (il pronto soccorso) che decreta e certifica lo stato di grave malessere. Ciò succede spesso tra gli adolescenti ma anche tra gli adulti.
L’estrema soluzione, infine, è il bloccare la vita perché è questa l’unica soluzione rimasta.
Molte persona, però in un modo o nell’altro riescono a chiedere aiuto e molte persona trovano altri che ascoltano, accolgono e comprendono il loro malessere.
È importante, infine, lasciarsi aiutare.

Psicologa – Psicoterapeuta