SENTENZA DI PRIMO GRADO.
PARLA MARIO, IL PADRE DEL 23ENNE: «NESSUNO CI RIDARÀ NOSTRO FIGLIO» LA DIFESA: ANDREMO IN APPELLO.
«L’attendevamo questa sentenza e dopo tanti anni possiamo dire che è arrivata ma nessuno ci darà indietro il nostro ragazzo». Mario Papa commenta così l’esito dell’udienza nel tribunale monocratico di Roma che ha inflitto due anni di reclusione all’istruttore di volo per omicidio colposo. Sono passati quasi 5 anni dalla tragedia del giovane cerveterano Daniele Papa, morto sul Tevere a soli 23 anni durante una lezione di volo e per il padre è come se il tempo si fosse fermato.
«Sono parzialmente soddisfatto dell’esito e della condanna stabilita dal giudice. Io lo capisco perché è un ragazzo anche l’istruttore però ha sbagliato e sicuramente doveva chiederci scusa. Invece è sempre fuggito, davanti a noi e anche in tribunale. E tra l’altro so che sta ancora lavorando con una compagnia, la MaltaAir: non è stato ancora sospeso».
L’ex pilota dell’Alitalia ora in pensione ha fatto attenzione ad ogni particolare nelle varie tappe processuali che hanno in qualche modo anticipato la sentenza.
Da quanto emerso è stato quindi confermato l’impianto accusatorio delineato dalla pubblica accusa, nello specifico dal pm Maria Gabriella Chiusolo. Per il magistrato, nella requisitoria finale, l’imputato ha commesso delle manovre definite «anomale».
I problemi dopo che il Diamond Aircroft DA20-C1 prese il volo, iniziarono nella fase del “touch and go”, ovvero la manovra di atterraggio e ripartenza. Nella seconda risalita appunto ci sarebbe stata una perdita di controllo del velivolo dove viaggiavano l’istruttore e Daniele Papa. I tecnici hanno ribadito in aula il concetto della ripartenza troppo rapida del velivolo che si è trovato subito in fase di stallo e poi è precipitato avvitandosi in spirale verso sinistra, prima urtando gli alberi lungo il Tevere e poi inabissandosi nel fiume.
Inoltre i flap, le estensioni delle ali, erano in posizione di atterraggio e non di decollo. Questo dettaglio era emerso tra l’altro sin dalle prime ore. Le parti mobili dell’ala che consentono di aumentare la portanza erano rovesciati. Mario, dalla sua esperienza come pilota, aveva sembra ribadito poi che era l’istruttore ad aver perso il controllo dell’aereo effettuando una autorotazione ad alta velocità col motore dentro. Avrebbe potuto controllarlo secondo il suo giudizio. Daniele poi ha sbattuto la testa ed è finita in modo tragico.
C’è un altro aspetto che ha inciso nella sentenza e che era stato affrontato da ben tre perizie, tra cui non solo quelle disposte dai giudici ma anche quella più indipendente relativa all’Agenzia di Sicurezza di Volo e cioè legata alla stanchezza dell’imputato.
La pubblica accusa in merito ha ricordato come l’istruttore, la mattina del 25 maggio 2020, si fosse svegliato alle 5 e mezza di mattina e avesse guidato la sua moto in autostrada da Martina Franca, in provincia di Taranto, fino alla Capitale per la lezione in programma nel primo pomeriggio nella scuola di volo. La stanchezza per i magistrati ha giocato un ruolo importante nell’incidente drammatico.
La difesa dell’imputato, rappresentata dal legale Tommaso Luppini, dello studio Bongiorno, ha già promesso di presentare ricorso alla Corte d’Appello per dimostrare che il loro assistito non avrebbe commesso errori.
L’iniziativa di Mario. Lontano dalle aule di tribunale, prosegue il progetto “DanyBoy”, l’aereo che gira il mondo in onore del figlio e che fa autografare dagli amici. Dopo una chiacchierata con la casa orologiera Hangar Italy, era nata questa idea originale di acquistare un aeromobile Blackshape Prime – battezzato “DanyBoy” – raccogliendo firme e dediche esclusive per Daniele. Tra un aeroporto e una aviosuperficie, Mario a tutti gli amici che incontra, continua a chiedere di apporre una firma sulla fusoliera. «Portare l’aereo in giro è come portare Daniele, è un modo per tenerlo vivo», è quanto ha detto il padre del giovane cerveterano.