TOMBAROLI E SEPOLCRI IMBIANCATI

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tombarolo

Nel momento in cui si amplifica con esagerata enfasi l’anniversario dell’attribuzione di sito Unesco alle Tombe cervetrane e tarquiniesi, che in vero, stando ai numeri, allo stato mortifero dei pini e cipressi che conducono alla Banditaccia, all’inutile, costosa e da tempo abbandonata nuova struttura, alla miserrima sorte del trenino, non ne ha arrestato la crisi, riporto una serie di considerazioni su quelli che, da anni,vengono utilizzati a giustificazione di incapacità di gestione della Necropoli: i tombaroli!

Tombaròlo: “Chi ricerca e scava abusivamente tombe antiche, protette dalla legge, per asportare da esse oggetti preziosi o comunque d’interesse archeologico da vendere ad amatori e collezionisti e Musei”. (Treccani).

Profanare una tomba è un atto sacrilego, un’azione con cui si compromette, si offende o si annulla il carattere sacro di un luogo. I luoghi in cui riposano i morti, pur sepolti da millenni, andrebbero lasciati a luogo di compianto e meditazione. Così non è stato, così non è per la gran parte dei compianti.

Prendendola alla lontana si può ragionevolmente affermare che la spoliazione delle tombe è sempre esistita, soprattutto come dimostrazione di superiorità militare o religiosa nei confronti degli sconfitti.Erano ruberie non sistematiche, quasi sempre di asportazione di oro o metalli preziosi: il resto o distrutto o lasciato abbandonato. Le tombe a parete, scoperchiate dagli eventi naturali vennero utilizzate come luoghi di eremitaggio, di ex voto o come rifugio per pecore e capre: pratiche che si sono prolungate per alcuni secoli.

Le cose cambiarono nei primi decenni dell’ottocento, quando esplose una vera e propria “febbre da tomba”. Febbre che contagiò solamente gli aristocratici, proprietari di immensi latifondi, o i loro affittuari.Insomma il sacco dell’Etruria avvenne ad opera di non illuminati signorotti che videro nella predazione delle Necropoli un surplus economico. Furono loro, per circa un secolo, ad avere una sorta di esclusiva degli scavi. È a loro imputabile dunque il sacco dell’Etruria.

Un nome per tutti, il più importante e il più notorio: Luciano Bonaparte, il principe tombarolo di Canino. La spinta ulteriore al saccheggio fu l’andare incontro alle potenzialità economiche che i nascenti musei italiani, ed in misura maggiore quelli delle grandi capitali europee, disponevano e misero sul tappeto dell’acquisizione di cultura. Nessuna legge vietava lo scavo e il commercio di tali oggetti: unica forma di controllo ufficiale era la prelazione Vaticana su quanto rintracciato nel suo territorio.

L’industria degli scavi a Vulci andò avanti per decenni.A Cerveteri le cose non funzionavano molto diversamente. Due esempi.
Il primo, l’elenco dei risultati degli scavi ufficiali del decennio d’oro (1831-1841): 27.575 oggetti denunciati.
Il secondo: il viaggio nel 1838 a Cerveteri della scozzese E. Hamilton e del marito, ricchissimo reverendo protestante. Lunghi e polverosi percorsi su carrozze spaccaschine, sali e scendi su tumuli impraticabili, luoghi di soste deprimenti e miseri, furono ripagati dallo svelarsi di un mondo ricco di storia e da innumerevoli acquisti. I due dopo aver visitato assieme al segaligno prete Regolini i tumuli al Sorbo, dove parteciparono al ritrovamento di cocci ed altro buccherame, su consiglio del prete tombarolo fecero visita alla casa del benestante del paese. In meno di un’ora comprarono intere collezioni di scarabei e gemme, anelli d’oro e collane, casse colme di monete romane e greche. Vasi geometrizzanti, una ventina a figure nere e una decina a figure rosse, più un superbo vaso ateniese firmato da Eufronio e Onesimos.

Tanto che il Reverendo rivolgendosi alla moglie commentò: “Basta cara, non possiamo raccogliere tutto”. Se le cose stavano così è evidente che i tombaroli di questo ultimo scorcio di secolo hanno ben minori responsabilità di quante normalmente vengano loro attribuite. Che non vuol dire che i piccoli danni non siano sempre tali.Lo spontaneismo archeologico di massa attribuibile ai tombaroli è cosa relativamente recente: ebbe inizio sul principio degli anni cinquanta per poi esaurirsi (o quasi) nel corso degli anni novanta.

Il termine tombarolo è un neologismo appioppato dai giornalisti agli scavatori delle necropoli etrusche della bassa Maremma. La diffusione dei cocci in tutto il mondo occidentale ha reso tale termine internazionale. L’aggettivo “clandestino” è del post guerra, ed è la solita patacca, essendo i tombaroli a tempo pieno noti a tutti.Oltre ai professionisti dello spido, in quegli anni, squadrette improvvisate, a carattere famigliare e o sodale, tentavano la sorte muovendosi come talpe dalla Banditaccia a Montebadoncino. Fatiche suppletive che potevano andare in buca permettendo l’acquisto della seicento o di rialzare un piano della tanto sospirata casa.