Il terrorismo viene da lontano

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In passato si scendeva in piazza contro i regimi repressivi, ora per odio contro le società civilizzate e democratiche. Pesanti riflessi anche nel nostro comprensorio

di Antonio Calicchio

Non è strano definire il terrorismo come fenomeno angosciante del mondo moderno. Lo sarebbe sol che le infinite forme sotto cui esso viene brutalmente proposto non richiamassero alla mente le diverse matrici che ne rendono problematiche e discutibili le manifestazioni. Non passa giorno, nel nostro mondo, in cui non si è rattristati da azioni disumane in cui sono, spesso, coinvolti innocenti e che sembrano non avere altro motivo che quello di acuire le relazioni individuali e sociali, di per sé già tanto tese.

La preoccupazione non concerne tanto la novità del fenomeno, quanto, piuttosto, la maggiore organizzazione, la rapidità, l’efferatezza indiscriminata, l’incredibile ripetitività, le colleganze internazionali, le assurde e pretenziose strategie ricattatorie volte a sovvertire l’ordine costituito o a fomentare rancori e malcontento, non sempre giustificati o giustificabili. In passato, le azioni terroristiche erano sollecitate da volontà di realizzare istituzioni più libere e giuste, contro forme repressive, come nella Russia zarista, nell’Impero austro-ungarico o nella Francia dell’ancien régime.

I congiurati di Cesare erano convinti di stornare, con il loro atto, lo spauracchio della tirannia; l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e della consorte Sofia, a Sarajevo, nel 1914, ad opera dello studente serbo Gavrilo Princip, ebbe moventi nazionalistici e libertari. Il terrorismo attuale, invece, risulta assai più pericoloso e subdolo, in quanto conta su molteplici fattori di malcontento e di ansia, alimentati dal consumismo e da disordini psicofisici della società, nonché sulla collaborazione di potenti organizzazioni internazionali. Il terrorismo dei giorni nostri, dunque, rappresenta un fenomeno di rilievo transnazionale, dal momento che sussiste una forma di fratellanza mondiale dei terroristi che hanno in comune le medesime dottrine e le stesse tecniche, e che si scambiano aiuti per ciò che attiene alle armi e all’addestramento.

Pertanto, quale che sia il segno dell’azione terroristica, lo scopo non può riguardare che il sovvertimento di una società che si mostra incapace di soddisfare le esigenze di un mondo sempre più complesso e problematico. Malgrado la decisa e ferma volontà delle democrazie di non cedere ai turpi ricatti terroristici, tuttavia la violenza feroce ed indiscriminata degli esaltati gruppi eversivi genera danni incalcolabili al patrimonio delle nazioni, oltreché insicurezza e disagio nei rapporti, pubblici e privati. Tanto più che l’odio, che infiamma i terroristi, viene presentato quale strumento necessario ad accelerare i processi storici, mentre l’esaltazione è scambiata per segno di forza.

I vari attentati servono da deterrente destinati ad invitare le masse popolari alla passività e a sconsigliare contromisure da parte delle forze dell’ordine. E tutto concorre all’attuazione di quella strategia della tensione che dovrebbe favorire, nelle intenzioni dei terroristi, la riuscita dei piani sovversivi. Il terrorismo, di qualunque estrazione esso sia, è rivelatore di una volontà comune: scardinare le basi sociali, attraverso o l’imposizione di un ordine forte, un moralismo intransigente, come il terrorismo di destra, oppure la realizzazione del programma rivoluzionario di valori ed istituzioni, come il terrorismo di sinistra. Non si ignori, però, l’aspetto più inquietante del nuovo terrorismo, quello, cioè che colpisce le democrazie liberali dell’Occidente.

Gli episodi che hanno creato gravi problemi negli U.S.A., in Germania, in Francia, in Spagna e altrove ne sono la tragica documentazione. Le uccisioni, i dirottamenti aerei, le bombe da parte dell’Islam o Stato islamico o Isis, tendono a costringere le autorità ad adottare misure straordinarie. Come hanno rivelato i recenti drammatici avvenimenti, i gruppi terroristici appaiono collegati tra loro, mediante operazioni di indottrinamento e addestramento, piani operativi, armi, nascondigli, denaro, passaporti falsi, et similia.

E investigazioni terroristiche hanno condotto gli inquirenti alla scoperta di una rete di “centri sovversivi” in Paesi europei ed extraeuropei. Secondo taluni analisti, in queste azioni non manca lo zampino delle potenze internazionali interessate a creare condizioni di tensione utili ad agevolare rispettive zone di influenza; tali altri, sospettano, perfino, che le superpotenze non si limitino ad appoggiare occultamente i gruppi terroristici, ma deleghino ai terroristi di altre nazioni una porzione dei loro mezzi tradizionali che essi non possono impiegare per non scatenare una deflagrazione mondiale di proporzioni disastrose.

Ma, cosa si può e si deve fare per fronteggiare il terrorismo? Non è agevole dare una risposta; a fronte dell’impossibilità, o quasi, di annientare in toto questo cancro sociale, è impensabile rimanere inerti e rinunciare alla lotta, per quanto ciò possa comportare enormi sacrifici. La difficoltà di reperire mezzi idonei ed efficaci non esclude che si pongano in essere esperimenti cautelativi imposti dalle circostanze. Uno di questi potrebbe essere la fondazione di uno speciale dipartimento di difesa che riunisca esperti di spionaggio, esplosivi, tattiche di guerriglia, lingue straniere, guerra psicologica, comunicazioni, ed addestri squadre antiterrorismo.

Ulteriore provvidenza riguarda la stipulazione di un accordo internazionale che incrementi al massimo grado le misure di sicurezza, soprattutto negli aeroporti. E a questo lavoro di coordinamento tra gli Stati dovrebbe offrire il suo apporto l’O.N.U. Ciò significa, quindi, che si dovrebbe dare luogo alla formazione di una efficace organizzazione internazionale, specie fra i Paesi dell’U.E., in vista di collaborare con dati sulle bande terroristiche, con uomini audaci e scaltri, preparati alle azioni proditorie dei terroristi e sempre pronti all’intervento con operazioni di controllo e di prevenzione.