Televisione, il futuro comincia a settant’anni

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La televisione ha segnato una data con cui è necessario confrontarsi ogni giorno per capire il nostro Paese. 

di ANTONIO CALICCHIO

Correva l’anno 1954, il 3 gennaio, domenica: ufficialmente nasceva la televisione italiana, dopo alcuni anni di laboriosa clandestinità. Ora, si moltiplicano le rievocazioni, ogni più modesta comparsa rivendica un ruolo, le interpretazioni si affastellano al leggiadro tocco dell’ideologia.

Ciononostante, l’avvento della televisione ha impersonato, nell’ambito della storia sociale del nostro Paese, una rivoluzione pari ai grandi sommovimenti epocali, come i conflitti o il boom economico. La televisione ha segnato un tempo col quale occorre confrontarsi quotidianamente per tentare di comprendere l’Italia. Sarebbe sufficiente un solo elemento: insieme alla radio, la televisione ha unificato, sul piano linguistico, lo stivale, laddove non era stata capace la scuola. Quando nei bar i primi televisori si collegarono con la Svizzera per i campionati del mondo di calcio, metà della popolazione era analfabeta e i dialetti erano consuetudine consolidata. Il servizio militare di leva costituiva, per numerosi giovani, la prima uscita dal limitato perimetro del campanile: era soltanto il 1954.

Però, è noto che la televisione ha unificato la penisola non con la lingua di Dante, ma con quella di Mike Bongiorno, dei Festival di Sanremo, dei giornalisti dei Tg. Comunque, si è trattato di un fenomeno dalle dimensioni inconsuete, che ha accelerato i ritmi del sociale come mai prima era avvenuto.

 Vi è un ulteriore aspetto da sottolineare. La televisione delle origini era alimentata da una robusta carica di idealità. E’ opinione condivisa che la Rai sia stata modellata dal più prodigioso progetto culturale formulato dal pensiero cattolico nel settore delle comunicazioni. Se la Rai si giovava del contributo di intellettuali, ciò era perché essi provenivano dalle file dell’Azione Cattolica. Se la Rai ha creato gli sceneggiati, “Campanile Sera”, Carosello, ciò era perché risultava sostentata da una salda tensione progettuale.

L’impostazione teorica, l’umanesimo cristiano e il fondamento etico, negli anni ’70, del secolo scorso, sono stati soggiogati dalla politica lottizzatrice, al punto che, nel corso del decennio successivo, la concorrenza con la televisione commerciale si è svolta a livelli non proprio ragguardevoli. Ripensare ai primi settant’anni della televisione significa, adesso, evidenziare quella carica ideale, che è la vera ed unica motivazione della nozione concettuale del c.d. servizio pubblico.

Inebetiti dall’orgia di immagini, siamo tutti smarriti per eccesso di omologazione: si accenda ancora il televisore per emergere dall’impoverimento morale, dalla patetica inapplicabilità delle convinzioni e dalla confusione in cui si è cessato di capire chi sia l’amico del giaguaro.