SINDROME CORONARICA ACUTA DALL’ANGINA VARIABILE ALLO NSTEMI

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SINDROME CORONARICA ACUTA

Vi è una stretta relazione tra l’angina instabile e l’infarto del miocardio senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEM: non st segment elevation myocardical infarction).

Entrambe le patologie hanno i medesimi rischi (bassi, intermedi,alti) di andare incontro ad infarto del miocardio non fatale o di morte improvvisa. Perché vi sia un alto rischio devono essere presenti almeno due delle seguenti caratteristiche:

1) Anamnesi (dolori sempre più intesi nei due giorni precedenti l’infarto);
2) Durata del dolore (superiore a 20 minuti quando si è a riposo);
3) Semeiotica clinica (edema polmonare; soffio telesistolico di nuova insorgenza da insufficienza mitralica; ipotensione arteriosa; turbe del ritmo cardiaco: bradicardia o tachicardia).

Sia l’angina instabile (insorgenza acuta o peggioramento di un’angina stabile) che l’infarto del miocardio senza sopraslivellamento del tratto ST sono delle sindromi cliniche causate da una malattia coronarica. Hanno tutte due la stessa eziologia, gli stessi sintomi, come detto i medesimi rischi. Né l’ECG o l’ecocardiogramma li differenziano.

L’unica vera differenza? Nello STEMI si verifica una grave ischemia tale da provocare marker di danno miocardio rilevabile (Troponina I, CK MB). Nell’ angina instabile viceversa, al contrario dello NSTEMI, i marker sierologici di necrosi miocardica sono sempre negativi pur essendo presente un restringimento coronarico che limita, in maniera saltuaria ed imprevedibile,la perfusione cardiaca.

La causa più comune di angina instabile/ NSTEMI è imputabile ad una rottura o erosione di una placca aterosclerotica che lascia partire un trombo non occludente e comporta un restringimento del lume coronarico e riduzione della perfusione. Meno comune è un vasospasmo focale di un’arteria coronarica epicardica (angina di Prinzmetal).

Più rare ancora sono le restenosi dopo angioplastica percutanea e le forme infettive vascolari. Questo precario e subdolamente capriccioso equilibrio coronarico può aggravarsi irreparabilmente in presenza di un improvviso aumento della richiesta di ossigeno (tachicardia, febbre), di uno stato di ipotensione arteriosa o anemia.

Qual è il quadro clinico? Il dolore anche se solitamente retrosternale è abbastanza spesso “atipico”, con “equivalenti anginosi” a livello dell’epigastrio, dorso, braccia, mascelle. Viene descritto come oppressivo, come una stretta, talora bruciante mai come trafittivo, a pugnalata.

A differenza dell’’angina stabile l’esercizio fisico assai raramente provoca dolori nell’angina instabile/NSTAMI. Né il dolore regredisce dop somministrazione orale di nitroglicerina. La durata del dolore è poi maggiore e più variabile.

Ci dice qualcosa l’elettrocardiogramma?
Se la registrazione avviene mentre il paziente accusa dolore l’ECG ha una certa importanza come sospetto di sindrome coronarica acuta. Purtuttavia se normale, sempre durante un episodio di dolore toracico, pur considerandolo un segnale prognostico favorevole, non esclude la sindrome coronarica acuta. Una prova oggettiva di ischemia miocardica transitoria è costituita dal sottoslivellamento transitorio del tratto ST di almeno 1 mm che compare durante il dolore toracico e scompare quando il paziente sta bene. L’onda T negativa persistente nell’area coinvolta è tipica dell’angina instabile. Se profondamente negative nelle derivazioni precordiali dobbiamo sospettare una stenosi prossimale grave dell’arteria discendente anteriore.

E l’ecocardiogramma?
In fase acuta (dolori)l’assenza di anomalie di parete rende poco probabile una ischemia miocardica. Particolare importanza rivestono i marker cardiaci biochimici. Attualmente sia a livello diagnostico di necrosi miocardica che prognostico l’unico marcatore sierico che dovrebbe essere controllato di routine per la stratificazione del rischio nell’angina instabile/NSTEMI è la Troponina I o T.

In passato si utilizzava molto il CK (creatinchinesi) MB. La Troponina cardiaca (c TN I) è rilasciata in circolo dopo necrosi cellulare miocardica. Compare dopo 5-6 ore dall’inizio dell’infarto, raggiunge il picco dopo 15-24 ore e persiste a lungo (secondo alcuni autori per 5-7 giorni, secondo altri anche 10 – 12 giorni).

E’ bene dunque ripetere l’analisi ematica dopo un giorno dall’ episodio doloroso. Se ricercata precocemente la Troponina è negativa. Oltre ad aver sostituito il CKMB nei primi due giorni, ha scalzato anche l’LDH che ha valori alti anche dopo una settimana dall’infarto del miocardio.

E la mioglobina? Raggiunge il picco dopo 5-6 ore per poi scendere in picchiata ed eclissarsi dopo 20 ore (non dura nemmeno un giorno dall’attacco coronarico acuto).

ortica
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