Realtà, virtualità e coscienza

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di Antonio Calicchio

 La realtà è scomparsa e naufragata nel mare magnum della virtualità.

Altra catastrofe: ed infatti, dopo la fine dell’economia marxista e delle illusioni rivoluzionarie, la fine della comunicazione e la fine della politica, è finita anche la realtà. Rectius, l’iper-realtà in cui siamo immersi e la riproduzione infinita del mondo, altro non hanno fatto che annullare il reale. Reale che è stato sterminato e, con esso, ogni illusione; la realizzazione totale del mondo, la creazione di un mondo perfettamente identico a quello umano hanno prodotto la fine del nostro mondo imperfetto, attraverso mezzi di riproduzione della realtà virtuale. La televisione è stata una complice di quell’annullamento; nel proporre un raddoppiamento del mondo, i media forniscono una immagine che fa a meno, sempre più, di ogni riferimento alla realtà, una immagine di sintesi che ha preso il sopravvento sulla stessa realtà. Non esiste più dialettica, in quanto l’immagine si presenta come universo autonomo, senza negatività; l’immagine riproduce immagini e basta, non è più rappresentazione, non necessita più di un accadimento reale per generarsi. Dalla crisi alla catastrofe si è passati, senza bisogno di essere apocalittici, come asseriva Jean Baudrillard. Perché la mutazione è avvenuta ex abrupto, tanto che, oramai, si vive in un altro universo, in cui la realtà è stata nullificata. Non nel senso di nihil absolutum, poiché è possibile che qualcosa ne venga fuori in futuro, però, è certo che vi è un enorme oggetto perduto, ossia il reale. E con esso sono scomparsi anche l’immaginario, l’utopia e l’illusione. Il paradosso è che la realtà è defunta per effetto di sovralimentazione, nel senso che è sparita e spirata a forza di realtà; l’informazione e la tecnica hanno riprodotto un eccesso di reale, tutto è divenuto reale e tutto quanto fosse immaginario si è realizzato incondizionatamente. In ciò consiste l’annullamento. Tuttavia, tale annullamento – come detto – non è assoluto; vi sono, comunque, delle resistenze contro questo sistema: incidenti, virus, anticorpi (individuali, collettivi, linguistici, etc.). Il fatto è che il soggetto finisce per concorrere al compimento di quell’annullamento non assoluto, cioè una sorta di correo, più o meno volontario e consapevole. La speranza è che sia il sistema stesso ad autobloccarsi, a causa di una sorta di saturazione; perfezione vuol dire approssimazione alla fine: è vero che man mano che il sistema si estende, si moltiplicano anche gli anticorpi e i virus. Se non rimane che resistere, allora la politica serve, oramai, a poco; la scena della rappresentazione politica non ha più punti di riferimento, si è polverizzata con la caduta delle ideologie e delle grandi opposizioni. La scena politica è divenuta essa stessa virtuale, dal momento che, passando attraverso i media, la televisione, i sondaggi, viene annientata, e non si sa più, oggi, dove sia il reale della politica, la sovrabbondanza di informazione non ha provocato che simulazione e pura astrazione. E l’Italia è un esempio di questo fenomeno, ovverosia di questo costante girare a vuoto della politica e della sua comunicazione. E’ difficilmente sperabile che un gruppo o un partito possano coincidere coi nostri ideali, perché tutto è assorbito dal sistema mediatizzato. La stessa trasparenza della società viene coincidendo con una ipocrita irradiazione universale; il mondo ha perduto l’ombra. Mentre un tempo, in un mondo opaco, la trasparenza era un ideale e un sogno, oggi, occorrerebbe aspirare a conservare i segreti in un universo in cui tutto è ipervisibile; è come se si fosse perduta la notte e si vivesse in una lux perpetua.  Ma la scrittura e il linguaggio sono ancora una forma di resistenza a questa Disneyland universale.