Moschea chiusa, i musulmani pregano in strada

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di Giovanni Zucconi

Una foto vale più di mille parole?

Forse, ma non sempre. Qualche volta le parole sono necessarie se non vogliamo farla interpretare solo con la pancia. Se non vogliamo rendere la foto testimone inconsapevole di tesi precostituite, e non facilmente riconducibili ad un pacato ragionamento. Avrei voluto evitare questo articolo, perché l’argomento è generalmente trattato da posizioni estreme, e non inclini al dialogo. O è bianco, o è nero. Come se non esistesse nulla nel mezzo. Ma cominciamo dall’inizio. Qualche giorno fa, sono stato testimone diretto di un evento che non capita di vedere tutti i giorni. Passeggiando distrattamente per la centralissima piazza Vittorio, a Roma, verso le 13:40, ho improvvisamente preso coscienza che nell’aria risonava, evidentemente amplificata con qualche strumentazione, una voce araba simile a quella che poteva essere di un Muezzin o di un Imam. Come avrei potuto sentire in una qualsiasi città musulmana del mondo. Solo che eravamo a Roma, ed era il Venerdì Santo. Qualcosa non tornava. Ho girato l’angolo della recinzione del giardino, e mi sono trovato davanti uno spettacolo inaspettato. Circa duecento uomini, solo uomini, evidentemente Musulmani, erano intenti a pregare, sui loro tappetini, sul largo marciapiede che costeggia il piccolo parco urbano, proprio davanti le fermate dei tram. La voce dell’Imam saliva forte e chiara, uscendo da una cassa amplificata posta lì vicino. L’area della preghiera era delimitata da un cordone di plastica, di quelli che si usa nei cantieri. Dietro di loro, in posizione discreta e defilata, c’era un grosso furgone della Polizia, a garantire che tutto si svolgesse senza problemi. Inutile sottolineare il mio stupore per quello spettacolo, che naturalmente ho subito immortalato con alcune foto molto rappresentative. Per cercare di capire meglio cosa stava succedendo, mi sono avvicinato ad un paio di ragazzi, apparentemente Bengalesi, che stavano assistendo, in piedi, alla preghiera. Ho domandato loro perché stavano pregando proprio lì, all’aperto, in una centralissima piazza di Roma, il giorno del Venerdì Santo. Quasi a volere esibire una presenza, o rivendicare, creando ad arte uno scandalo, uno spazio negato alle loro preghiere. La risposta è stata semplice: “…il nostro luogo di preghiera, qui vicino a piazza Vittorio è stato chiuso, e quindi oggi preghiamo qui.”. Questa la cronaca asciutta che, pubblicata sulla mia pagina Facebook insieme alla foto che vedete a corredo dell’articolo, ha scatenato una sequenza di post, con posizioni assolutamente inconciliabili, che potete facilmente immaginare. Come mia abitudine, mi sono tenuto fuori dal “ragionamento” ma, con questo articolo, proverò ad approfondire meglio la questione. Innanzitutto, facendo una ricerca su Internet, ho scoperto che questa preghiera non è stato un evento isolato. Era già accaduto almeno altre due volte, a settembre e a ottobre del 2016. Anche in quel caso, qualche centinaio di Musulmani aveva pregato, all’aperto, in piazza Vittorio. Il motivo fu sempre lo stesso. La chiusura coatta dei loro abituali luoghi di preghiera. Ma come, direte voi, si chiudono le moschee a Roma? E’ una vergogna! In effetti non è proprio così. A Roma c’è un solo luogo di culto islamico riconosciuto, ed è la Grande Moschea nel Quartiere Parioli. Tutte le altre “moschee” non sono altro che delle associazioni culturali islamiche. Questo perché, dal punto di vista burocratico, o semplicemente “pratico”, è naturalmente molto difficile aprire una moschea. Molto più facile aprire un’associazione culturale che, nella sua sede, ha dei locali che possono essere usati come luoghi di culto. Una scorciatoia burocratica che però non è sempre la soluzione ottimale. Infatti questi locali, nella maggior parte dei casi, non sono idonei a contenere, in sicurezza, centinaia di persone intente nella preghiera. Tutto questo ha portato, escludendo una volontà persecutoria, alla chiusura, da parte di ASL e Vigili del Fuoco, di molte di queste strutture. E tra queste, c’è anche quella di piazza Vittorio. A causa di queste chiusure, le comunità musulmane, come nel caso da me documentato, hanno deciso di organizzare le loro preghiere all’aperto. Più spesso in periferia, dove la risonanza è naturalmente minore. A volte in centro, come nel nostro caso. Queste le premesse della questione. A questo punto è più facile, credo, fare delle considerazioni meno di pancia. Semplificando, lo scenario è quello di un problema che ha una doppia origine burocratica. La prima, probabilmente volutamente accentuata considerando che Roma è sede papale, determina una certa difficoltà nel costruire nuove moschee propriamente dette. La seconda, accentuata a mio parere da una colpevole “ignoranza” o sottovalutazione delle leggi italiane, porta alla chiusura delle “moschee” improvvisate e che non rispettano i necessari standard di sicurezza. Ci aggiungerei, se mi è concesso, anche un’incapacità organizzativa di alcuni Imam della comunità musulmana romana, o chi per loro, che non riescono a garantire, ai fedeli, l’utilizzo di una normalissima struttura a norma di legge. Non siamo quindi in presenza di un attacco alla libertà di culto o di preghiera, che si sarebbe dovuto affrontare con la giusta indignazione. Si tratta evidentemente di altro. Vorrei chiudere qui questo articolo, senza ulteriori considerazioni. Credo di aver dato le giuste informazioni, ad ognuno di voi, per trarre le proprie conclusioni.