L’eterna danza della vita e della morte, a tu per tu con Viviana Valenza

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L’autrice ci parla del suo libro “La consapevolezza, tra cielo e terra”.

Scrivere un libro dopo un grave lutto. Prendere la penna e trasferire su un foglio, poi su altri ancora, tutte le emozioni che si hanno dentro. Non è facile accettare di non avere più al proprio fianco la dolce metà, però Viviana Valenza, è il nome della scrittrice romana che ha lanciato “La consapevolezza, tra cielo e terra”, ha il desiderio di vedere la vita attraverso un’altra prospettiva. Con l’intenzione se possibile di fornire un prezioso contributo a chi si ritrova ad aver perso un caro e il futuro lo vede tutto nero. «Ogni istante della nostra vita abbiamo la possibilità di scegliere se entrare nelle acque dell’esistenza e fluire, oppure se cercare di nuotare controcorrente. Se impariamo a fluire, la vita ci sosterrà e ci porterà esattamente dove vogliamo andare. Dovremmo permettere a questa sensazione di fiducia e di rilassamento di crescere sempre di più, arrivando alla consapevolezza». Già, la consapevolezza, ciò che Viviana riporta nel messaggio sul retro dell’opera. Libro che però vale la pena iniziare a scoprire dalla prima pagina, dalla dedica, per scoprire subito che si legge tutto d’un fiato.

 

Viviana, sin dai primi minuti hai lasciato intendere che sei un’amante della natura. Come far conciliare questa passione con il lavoro?

«Ho studiato Naturopatia ed esercito la professione come riflessologa plantare, la mia specializzazione. La natura è preziosa e ci pone davanti ad un’esistenza consapevole».

Come nasce l’idea di scrivere “La consapevolezza tra cielo e terra”?

«Da un profondo dolore determinato dalla perdita del mio compagno Luigi che ha creato in me un risveglio spirituale. Come raccontato nel libro, ho iniziato questo percorso di studi di naturopatia e Luigi mi ha sostenuto e supportato ma ha fatto anche di più affiancandomi e accompagnandomi anche se un po’ distante dal mondo olistico. Mi ha sostenuto nel mio studio universitario e abbiamo imparato tantissime cose insieme fantasticando durante questo periodo di tempo. Mai ci saremmo immaginati un epilogo tale, perché purtroppo è venuto a mancare».

Viviana, inutile girarci intorno, è stato un trauma. Cosa ti è passato per la testa in quel momento?

«Del profondo dolore e distacco ma dopo un po’ ho avuto un risveglio spirituale. Ho iniziato a documentarmi, volevo sapere cosa stava succedendo, dove se ne fosse andato Luigi. Perché non c’era più? Quindi ho acquisito informazioni, buttato giù dei pensieri, delle emozioni. Poi la mia tesi è stata letta da persone a me care e mi hanno consigliato di farla diventare un libro vero».

Ne avevi mai scritto uno? «Mai, tanto che inizialmente pensavo di non essere in grado, e invece questa vocina mi suonava dentro. Ho avuto molte persone vicino che mi hanno dato sostegno». Viviana Valenza

Lo racconti sorridendo Viviana, e chi ti guarda negli occhi non può non notare questa grande forza spirituale. Nell’occidente però non siamo abituati a parlarne molto, nel senso culturalmente la morte è un tema tabù. Ci da fastidio, vorremmo solo non sentire pronunciare questa parola. Vero? «Sì, però dobbiamo dire che è trasformazione e riuscire a comprendere questo passaggio, ci aiuterebbe a vivere più serenamente. Conoscere la morte significa amare di più la vita. Non è la fine, è solo un crescendo della vita. Purtroppo nel modo di pensare occidentale la morte è qualcosa di esterno che non ci appartiene, determinato dalla disgrazia, dalla sofferenza. Eppure fa parte del nostro percorso».

Hai scritto nel libro che abbiamo tre certezze. Quali sono?

«La nascita, è già avvenuta e non si può fare niente. Poi l’amore, ed è eccezionale e imprevedibile. Non si deve dimenticare però la morte: è inevitabile. Nella nostra cultura a nominarla subentra la fobia, la depressione, questa energia determinata dalla paura. La morte è qualcosa da cui noi dobbiamo difenderci, a differenza del pensiero orientale dove è considerato un evento naturale. Il dualismo c’è ed è appunto l’esistenza di due forze contrapposte che si bilanciano: il giorno e la notte, la luce e il buio, l’alternarsi delle stagioni. Sono aspetti naturali: la fine di una forza dà vita all’esistenza di un’altra».

La fase attuale che si sta vivendo, contraddistinta da pandemia, guerra ed altro ancora, può aver ancor di più amplificato e veicolato, anche attraverso i media, la paura di non essere più in vita?

«Assolutamente sì, da due anni siamo tartassati con queste notizie, dove appunto la morte è qualcosa di terribile. Di fatto le cellule sono programmate alla vita e noi tiriamo su una cortina di silenzio perché è qualcosa da evitare. Però non possiamo farci nulla,  ci appartiene e non comprenderla, ci fa vivere uno stato di ansia e paura. Ricordo ancora i racconti dei nonni: quando una persona ci aveva lasciato si faceva festa, si pregava, si aiutava il passaggio di questa anima in un’altra dimensione in maniera molto naturale, perché è un evento naturale».

Vorrei che mi parlassi della carrozza di Gurdijeff, l’ho trovato un passaggio curioso.

«È un filosofo armeno, mi è sempre piaciuta la sua metafora. Raffigura la condizione umana attraverso la carrozza dove i cavalli rappresentano le emozioni, il cocchiere la mente, la carrozza la struttura fisica, mentre il passeggero è la coscienza. Cosa ci vuole dire con ciò? Noi passiamo la maggior parte della nostra vita come un passeggero dormiente, lasciando tutto in mano alla mente o ancora peggio ai cavalli. A briglia sciolta i cavalli possono andare allo sbaraglio, e invece il messaggio di Gurdijeff è quello che bisogna ascoltare il passeggero, la coscienza, perché la nostra anima sa sempre dove andare e ci fa entrare in connessione con la nostra anima. La vita è un grande dono, un’opportunità e essere connessi con se stessi, con la nostra anima, ci fa capire cosa siamo venuti a fare in questo mondo».

A proposito di connessione, la natura ci fa da maestra a leggere il tuo libro. Se ci pensiamo anche un albero ci dice che la vita è ciclica. Con la primavera nascono i fiori, con l’estate germogliano, l’autunno e il cadere delle foglie cadenzano il percorso umano verso il giro di boa, e i rami spogli ci confermano che siamo in inverno, al punto di partenza. Siamo come gli alberi?

«La natura è una grande maestra, ci aiuta a capire che facciamo parte del sistema, che abbiamo la struttura psicofisica uguale all’universo, che facciamo parte del tutto. Basta osservarla questa natura. Ci può rendere felici guardare il cielo stellato, i pesci, il mare. La connessione con essa è un metodo di guarigione. Lel libro parlo della resilienza, la trovo una bellissima cosa. L’albero sta fermo, non si muove. La pianta e i fiori come reagiscono di fronte ad un incidente, ad un’inondazione o ad un incendio?  Due sono le possibilità: o muore o risponde con vitalità all’onda d’urto. Forse è un insegnamento, e cioè rispondere con vitalità al trauma subito».

La meditazione è un tuo punto cardine. Perché? «Offre benefici innumerevoli, è una pratica che ci concede la possibilità di ritrovare fiducia in noi stessi, di connettere mente e corpo. Migliorano le prestazioni lavorative, comprendiamo le nostre emozioni, cosa realmente proviamo per avere una chiarezza interiore, sciogliamo lo stress con la meditazione, che può darci anche energie, energie sessuale, da mettere nella vita. In particolare mi sono soffermata sulla Mindfulness, è uno stile di vita utile per farci vivere consapevolmente il momento presente. La vita ci pone davanti situazioni e noi dobbiamo imparare».

Cosa significa per te la parola gratitudine? «Uno stile di vita che amo, ci fa apprezzare i miracoli di cui siamo beneficiari ogni giorno, ci rende connessi all’universo e ci fa vivere felici. La gratitudine ci rende ottimisti, ci da entusiasmo ed energia, ci ripulisce delle negatività. Trasforma l’esistenza in qualcosa di meraviglioso».