La relazione sado-masochistica

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a cura del Dottor Riccardo Coco

Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta

Nella 1° parte del presente articolo esploravo le motivazioni inconsce che possono portare un individuo a formare una relazione sado-masochistica in cui si trova nel ruolo di vittima abusata e maltrattata. Il fatto in sé può sembrare illogico ed assurdo a livello razionale, ma non lo è, come vedremo, se pensiamo che la psiche ha anche un funzionamento inconscio, il quale segue regole tutte sue.

Come spiegavo, il senso di creare tali relazioni è quello di rimettere in scena qui ed ora un trauma originario, così da sperare in un suo superamento, in un suo “finale diverso” attraverso la ripetizione di quell’esperienza.

Il perché di ciò lo si capisce bene osservando il gioco infantile di bambini traumatizzati da qualche evento: nei loro giochi ripetono simbolicamente e continuamente la rappresentazione dell’evento subito, in modo da evocare le emozioni ad esso connesse per trovarne un senso ed una elaborazione.

Per esempio, bambini che sono stati coinvolti in un incidente stradale, nei loro giochi ripetono continuamente tale incidente fino a che non riescono a tranquillizzarsi e a dare un “senso” a ciò che hanno vissuto. Nel caso delle relazioni abusanti però il ripeterle non porta altro che ad una nuova ri-traumatizzazione, aggravando la sofferenza dello stato mentale.

Rimettere in atto il trauma, ripetendolo nel qui ed ora, porta anche ad un ulteriore “vantaggio” (alla fine tuttavia illusorio) per l’economia psichica: fa sì che, cioè, un “persecutore interno” (l’immagine ed il ricordo, inconscio o conscio che sia, dell’abusante originario) possa diventare esterno (fuori da sé), identificandolo nel partner. Ciò sostituisce un conflitto psichico interno con uno esterno. Il persecutore internalizzato – che adesso è diventato esterno, concreto e reale, e con il quale si può avere una relazione – finirebbe dunque per non abitare più “il mondo interno”, ma la realtà attuale.

Questo processo di esternalizzazione e proiezione di tali angoscianti rappresentazioni interne su una figura reale che le “incarna” simbolicamente è un grande sollievo per l’equilibrio mentale della persona abusata, perché le conferisce la sensazione di controllare “il mostro che ha dentro” (e che ora è fuori da sé: tangibile, controllabile, attaccabile … conoscibile!). Pensate all’importanza che ha sempre avuto storicamente rappresentare figurativamente “il Male” o Satana (definito appunto come “incarnazione” del male); o rappresentare le paure in qualcosa di definibile e raffigurabile: per esempio la paura universale del buio con “L’uomo nero”, il Boogeyman.

Da tutto ciò discende ovviamente che tali relazioni tutto sono fuorché relazioni d’amore: alla loro base c’è una scelta inconscia che si basa infatti non sull’amore, ma bensì sul bisogno di rimettere in scena relazioni intrise di distruttività ed odio. Certo è anche vero che in certe occasioni ci sono sentimenti ambivalenti che comprendono anche l’amore (quando per esempio l’abusante del passato non era uno sconosciuto, ma una persona amata come un padre, una madre, uno zio, etc.).

Ed è proprio tale ambivalenza emotiva che rende così difficile capire che quello è “un amore malato” da cui separarsi; un legame che crea sofferenza, ritraumatizzazione e che alimenta i Disturbi Dissociativi (che approfondirò in un altro successivo articolo a loro dedicato).

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