Elezioni politiche dalle mille sfaccettature

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di  Antonio Calicchio

Le elezioni hanno avuto il loro epilogo. La coalizione di centro-destra, composta da Forza Italia, dalla Lega e da Fratelli d’Italia, si è rafforzata, conseguendo la percentuale più elevata, seguita da quella del M5S, del PD e della neo-formazione Liberi ed Uguali.

E tre sono le vie per la costituzione della maggioranza governativa, con l’ombra, però, del nuovo voto: 1) la via-Salvini, vale a dire quella di un governo di centro-destra, con un allargamento sino a ricomprendere singoli parlamentari centristi, democratici e pentastellati, cosiddetti “responsabili”; 2) la via-Di Maio, ossia una proposta di governo aperta a tutti, di destra e di sinistra; 3) la via del “governo di scopo”, da presentare a tutti, con un Primo Ministro dal profilo indipendente, dato che la soluzione relativa all’alleanza Di Maio-Salvini sarebbe poco praticabile per poter rappresentare una terza via, non essendo nelle intenzioni di quest’ultimo fare lo junior partner del primo. Il tutto col probabile rischio di dover intraprendere il percorso – non facile – verso le urne anticipate.

In questa prospettiva, la campagna elettorale si è conclusa, proponendo all’elettorato toni più pacati e piani in confronto a quelli che avevano caratterizzato le precedenti competizioni, malgrado le fisiologiche impennate polemiche e faziose di fine corsa. Non si è riuscito, però, a realizzare un contraddittorio televisivo tra i capi degli schieramenti antagonistici; i programmi dei principali “poli” di aggregazione elettorale erano generici e, talvolta, indiscernibili; le formazioni politiche minori non sono riuscite ad ottenere una, pur legittima, visibilità mediatica; e, nell’ambito delle dichiarazioni programmatiche, sottoposte a noi cittadini elettori, non si individuava alcun richiamo all’attuale dibattito in merito ai “diritti”. E mai, come in una campagna elettorale, l’onestà intellettuale si rivela come valore primario; eppure, mai, come nella campagna elettorale di quest’anno, ombre, reticenze e ambiguità hanno occupato il palcoscenico. Di programmi si è discusso poco, essendosi parlato abbastanza delle persone dei candidati; e ciò può offrire, sebbene in via indiretta, indicazioni programmatiche precise. Esistono, allo stato, soggetti politici “senza storia”: sono quelli che non posseggono ancora un volto pubblico; ma esistono pure soggetti che hanno un volto, una storia, anche parlamentare, alle spalle: soggetti la cui concezione del mondo è stata esplicitata innumerevoli volte, mediante dichiarazioni, pratiche politiche, libri e conferenze.

Ci si è resi conto, cioè della circostanza che il vincitore dovrà saper assumere la responsabilità governativa senza dimenticare di dover saggiamente condividere, e con le forze di minoranza e con la stessa società civile, il compito di riformare quel che va necessariamente riformato, nonché di preservare quel che va assolutamente preservato. Forse è un segno dei tempi, non facili e non facilmente interpretabili, ma è, altresì, la conseguenza di composizioni e scomposizioni di partiti e di schieramenti intervenuti rispetto al 2013: allora, erano presenti due coalizioni omnicomprensive di centro-destra e di centro-sinistra, affiancate dal M5S; oggi, sussiste la maggiore coalizione, che è quella incarnata dal centro-destra, insieme a M5S, con più soggetti di destra e di sinistra. La politica italiana, inoltre, che, pur senza cambiare volti, tuttavia ha cominciato a “rivoluzionare” se stessa, appare alla ricerca di percorsi nuovi ed innovativi, essendo consapevole che le più importanti indicazioni, conferme e correzioni non possono provenire che dal cittadino-elettore.

E sono, ormai, numerosi gli opinionisti che, a giusta  ragione, definiscono “rivoluzionaria”, quindi, l’ultima tornata elettorale: dal momento che ha destrutturato la compagine del PD in Parlamento; ha registrato la caduta storica della Sinistra; ha segnato una forte affermazione del centro-destra, una travolgente ripresa della Lega e il crollo delle ideologie, ovverosia di quella comunista-marxista, socialista-democratica, riformista-progressista, ambientalista e della destra pura, a favore, comunque, del liberal-liberismo di Forza Italia e del sovranismo nazionalista della Lega (avendo, quest’ultima, abbandonato ipotesi secessioniste di matrice bossiana). Si potrebbe aggiungere che “rivoluzionario”, benché non proprio nuovo, potrebbe essere anche il fatto che il M5S, espressione del populismo politico contemporaneo, ha ottenuto un risultato ragguardevole: il 33% dei voti. Un cambiamento ed una forza che sarebbe errato sottovalutare, tanto più da parte dell’attuale maggioranza.

Cionondimeno, nel corso dello svolgimento della campagna elettorale, quanto testé evidenziato risultava imprevisto ed imprevedibile. Sondaggi, commenti, editoriali, opinioni, dichiarazioni da parte dei soliti “venerabili” maestri, si mostrano, oggi, alla stregua di quel che realmente erano: inutili e privi di valore alcuno. La qual cosa vuol dire che, in Italia, l’informazione spesso non informa, che i nomi più influenti del pensiero, dell’università, degli “specialisti”, non comprendono gli orientamenti del corpo elettorale, che lo iato tra gli intellettuali e il popolo è davvero profondo. E poiché il pensiero e l’informazione rappresentano elementi centrali su cui si impernia ogni sistema democratico, ciò significa che la nostra democrazia forse è malata e necessita di interventi terapeutici adeguati. Dubitando, anzitutto, della autorevolezza di coloro i quali, pur dimostrando di non possederla, tuttavia persistono nell’esibirla e nel pretenderla, ammettendo, da parte di costoro e dell’universo della comunicazione, gli errori di valutazione, rinunciando a formulare giudizi. In altre parole,  l’Italia è mutata, mentre essi non cambiano mai. A noi non servono specificazioni tecniche o minuziose, ma serve l’esplicazione di pochi ed inequivoci principi fondamentali. I cittadini meritano rispetto: per questo, ad essi deve essere sempre spiegata, con la massima onestà, la posizione di ogni partito. Anche i singoli politici meritano rispetto, sempreché, però, sappiano conquistarselo. E hanno un unico modo per farlo: dichiarare, in maniera limpida e chiara, i loro progetti politici, soprattutto come essi credono poterli promuovere nel contesto “reale” del partito in cui militano. Taluni affermano che la chiarezza fa perdere voti. Non so se sia vero o meno; ma so che la volontaria rinunzia alla chiarezza fa perdere, e, talvolta, definitivamente, la dignità.

Ulteriore aspetto da analizzare è quello che attiene al voto cattolico. Esso, come è stato rilevato, si è esplicato in modo libero, senza condizionamenti o limitazioni concettuali, ideologiche o partitiche. Anche la Cei si è astenuta da qualsivoglia indebita ingerenza, sì da consentire al cattolico di operare una scelta consapevole ed autonoma, vera manifestazione di una determinazione di coscienza. I cattolici sono titolari di una libertà di pensiero e di azione che non intendono delegare ad alcuno; essi, come non subiscono imposizioni ad opera della “sacra gerarchia”, allo stesso modo respingono quelle  costruite da politici inavveduti o sleali.

Noi cittadini ci auguriamo che il nuovo Parlamento e il nuovo Esecutivo si insedino quanto prima, entrando nella pienezza dei poteri; che non imitino quelli precedenti i quali avevano sempre paura di avere coraggio, subalterni a vincoli di partito; e che si dimostrino sempre vivi, palpitanti ed operanti nel seno della comunità nazionale, traducendo in fatto quella che fu l’aspirazione di Mazzini: dare agli Italiani il “concetto sacro della propria nazione”. Ogni governo, nel gestire la complessa macchina dell’amministrazione statuale, deve essere la guardia non di una classe o di una casta, bensì dell’intera collettività, nella sua attualità e nel suo divenire ideale, formata da noi italiani con lo stesso linguaggio, lo stesso costume, lo stesso sangue, lo stesso destino, gli stessi interessi, e deve impegnarsi a servirla con umiltà e con religiosa devozione. Allorché declina questa concezione, prevalendo tendenze della classe dirigente ad utilizzare il potere a vantaggio di individui o gruppi, le società volgono al tramonto.

A fronte di quanto detto, non è facile adagiarsi in un ottimismo di maniera, ma neanche ci si può rassegnare al pessimismo della ragione. Mi auguro soltanto che il programma della maggioranza venga attuato alla luce di quei valori umani che non tradiscono e non illudono: mi riferisco ai principi morali ed antropologici radicati nella natura stessa della persona che costituiscono il fondamento sulla cui base edificare l’interesse generale, cui va subordinato quello particolare e/o di categoria. Pieno rispetto della vita, sostegno alla famiglia, libertà educativa sono, e restano, una pietra di paragone preziosa ed ineludibile. Perché la politica è non solo teoria e prassi, idee e azioni; ma anche, e soprattutto, qualcosa di sentito, di pensato e qualcosa di fatto; è ispirazione spirituale, sostanza di dottrina e sistema pragmatico; essa, dunque, deve essere non solamente arte del possibile, bensì scienza e arte del servizio, al fine di operare le giuste scelte e di decidere in maniera assennata e costruttiva.

In considerazione di tanto, spero che il centro-destra e il M5S si mostrino eticamente risoluti ed intellettualmente precisi nel porre in essere i proponimenti elettorali (in materia di pensioni e tasse, scuola, famiglia e lavoro), senza, però, calpestare la nostra storia e la nostra coscienza comune, in quanto le qualità, anzi le virtù immutabili, del “vero” statista debbono essere la franchezza, la lealtà, la competenza, l’onestà, il coraggio, la tenacia, nel convincimento che il potere politico è assimilabile ad una casa di vetro, in cui tutti debbono, e possono, guardare.

L’auspicio è che la compagine che governerà l’Italia si configuri non come imbalsamatrice del passato, ma come anticipatrice del futuro.