Quando Cerveteri pianse i fratellini Brigida

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E’ trascorso un quarto di secolo ma resta vivo il ricordo per la tragica scomparsa di Laura, Armandino e Luciana, uccisi dal padre nelle campagne di Poggio del Cerquetodi Antonio Calicchio

“I mostri uccidono i bambini perché non possono soffrire il bambino che è in loro”: così si è pronunciato il criminologo Francesco Bruno, relativamente agli studi sui cosiddetti mostri, tenuto conto che, negli ultimi anni, l’attenzione mediatica sui crimini commessi nei confronti dei bambini si è accresciuta notevolmente, in proporzione al numero e alla loro gravità. Fra i casi più clamorosi, si annovera la vicenda di Tullio Brigida, padre di 3 bambini (Laura, 13 anni; Armandino, 8 anni; Luciana, 3 anni), da lui stesso uccisi, col monossido di carbonio, dopo averli addormentati e chiusi in macchina. Nella fattispecie, la ragione del gesto era stata dettata dagli scontri, talvolta, violenti, già in passato, con la ex moglie.

Nell’imminenza delle feste di Natale del 1993, Tullio Brigida, uomo di  38 anni, si reca a Isola Sacra, presso l’abitazione dei suoceri e si fa consegnare i suoi 3 figli dalla moglie, Stefania Adami, con la quale è in corso una crisi coniugale, che li ha portati ad allontanarsi e a vivere in domicili separati. Tullio Brigida – come da accordi con la moglie – deve trascorrere le vacanze natalizie coi figli e ha affittato una villetta, a Santa Marinella, nei pressi della stazione ferroviaria, a 200 mt. ca. dalla stazione dei carabinieri della cittadina tirrenica. Una volta portati via i bambini, i contatti tra l’uomo e la moglie proseguono telefonicamente, in un crescendo di offese e di minacce alla donna. In una telefonata, Tullio Brigida dice esplicitamente, a Stefania Adami, che non  le avrebbe più fatto vedere i figli, se lei non avesse accettato di tornare con lui, per riprendere la vita coniugale. Il 2 gennaio 1994, la madre riesce a parlare, l’ultima volta, al telefono coi suoi bambini, che sono ospiti dei nonni paterni, ad Acilia; poi, di Tullio Brigida e dei suoi figli, si perdono le tracce. I due più grandi necessitano di terapie mediche, perché Laura soffre di epilessia e Armando deve fare cure inalatorie per curare un’asma bronchiale. Il rapporto sentimentale tra Tullio Brigida e Stefania Adami è stato sempre anomalo. I due si sono conosciuti nel 1983, quando la ragazza frequentava un liceo nel quartiere della Magliana. Tullio, con faccia e modi da personaggio pasoliniano, lavorava nell’edilizia abitativa, saltuariamente. La relazione tra i due è subito caratterizzata da liti che evidenziarono l’indole violenta di Tullio, che esplose, in maniera eclatante, quando Stefania Adami rimase incinta, allorché l’uomo  accoltellò per 13 volte la giovane donna. Tullio Brigida venne condannato a 4 anni e 10 mesi, per tentato omicidio e, dal carcere, chiese, a Stefania Adami, di sposarlo. La donna accettò. I due celebrano le loro nozze in carcere. Una volta che Tullio Brigida venne scarcerato, il mènage familiare proseguì tra liti e  violenze, finché la Adami assunse la decisione di andarsene di casa e di fare ritorno dai suoi genitori. E così, si arriva al momento delle festività natalizie del 1993 e all’ultima telefonata tra la Adami e i suoi figli del 2 gennaio 1994.  A questo punto,  si verificano una serie di circostanze che eserciteranno, poi, un peso determinante nella ricostruzione dei fatti, durante le successive fasi processuali. La notte tra il 4 e il 5 gennaio, Tullio Brigida ha un incidente stradale, a Santa Marinella e, immediatamente dopo, si reca al pronto soccorso dell’ospedale di Civitavecchia, dove viene medicato. Il 9 gennaio seguente,  Tullio Brigida venne ricoverato presso l’ospedale San Camillo di Roma, per una ferita d’arma da fuoco, alla gamba. Nell’ambito delle fasi della separazione legale, intanto, l’11 gennaio 1994, il Tribunale dei Minori di Roma, affida i figli alla madre. Il 18 gennaio, Tullio Brigida fa una telefonata a Stefania Adami e le dà un appuntamento a Santa Marinella, per riconsegnarle i bambini. Al posto della donna, si presentano i carabinieri, ma non trovano ad attenderli nessuno. Il 23 febbraio, in un’escalation di rancore, Tullio Brigida si reca a Casperia, vicino Rieti, e colloca un ordigno esplosivo nella casa dei suoceri. La rudimentale bomba viene scoperta, evitando una strage. Il 24 marzo 1994, Tullio Brigida viene arrestato. Ma dove sono i bambini? Inizia la ricerca, scandita dalle notizie date dalle televisioni e dai giornali. Tutta l’Italia s’appassiona al caso. L’uomo, dal carcere in cui è  rinchiuso in attesa di essere processato per tentata strage,  fornisce numerose versioni, una diversa dall’altra. Indica ben 11 luoghi, parla, perfino, di soggiorni, dei piccoli, in Australia e in Francia. Depista. Tullio Brigida riferisce anche di una donna, tale Rosaria Greco, che avrebbe in custodia i suoi figli e sarebbe andata, con loro, in Australia. Le indagini degli inquirenti, dunque, si appuntano sui fantomatici fratelli Greco, italiani emigrati in Australia, ma anche dall’altra parte del mondo non si rinvengono tracce dei bambini, né di Rosaria Greco.  Il 12 luglio 1994, nel corso della trasmissione televisiva  Chi l’ha visto?,  Vincenzo Bilotta, amico di Tullio Brigida, fa una rivelazione shock: l’uomo gli ha confessato di aver ammazzato i suoi 3 figli, sparando con una pistola, e di aver occultato i corpi in un luogo che solo lui conosce. Il P.M. incaricato incalza Tullio Brigida con una serie d’interrogatori. L’uomo continua a indicare false piste. Gli inquirenti, per non lasciare nulla d’intentato,  le seguono tutte. Alla fine, Tullio Brigida capitola e rivela dove sono sepolti i 3 bambini. Si scava a Cerveteri, in loc.tà Poggio del Cerqueto. I resti di Laura, Armando e Luciana vengono recuperati, il 20 aprile 1995. Il padre, impassibile, assiste al ritrovamento. Egli offre la sua  versione dei fatti: la notte del 4 gennaio, quando era tornato a casa, dopo essere andato all’ospedale di Civitavecchia, nella villetta di Santa Marinella, aveva trovato i figli morti, a causa del malfunzionamento di una stufa; nella casa non vi era più Rosaria Greco, la donna che lo stava aiutando a custodire i bambini. La notte del 5 gennaio, poi, sconvolto e impaurito, aveva seppellito i corpi dei figli. E Rosaria Greco? Di lei o del suo corpo non vi è traccia. Forse, non è mai esistita, come lasciano presupporre le indagini poste in essere. Oppure, come asserisce Tullio Brigida, potrebbe essere stata portata via e uccisa da non meglio identificati personaggi che minacciavano la vita  di Brigida stesso. Mistero nel mistero. Il P.M. dispone la consulenza tecnica sui resti dei bambini, affidando l’incarico a 3 medici legali che, dopo 2 mesi ca. di sofisticate analisi chimico-tossicologiche sui resti scheletrici e  muscolari, stabiliscono che i figli di Tullio Brigida sono morti per aver respirato esalazioni di monossido di carbonio. Viene, altresì, effettuata una consulenza tecnica nella villetta di Santa Marinella e sulla stufa che Brigida indica come manomessa da qualcuno, ma i risultati sconfessano la versione fornita dall’indagato: nella casa  vi sono tante e tali aperture da rendere pressoché impossibile una morte  per effetto di intossicazione da CO e, inoltre – dato  fondamentale – la stufa è perfettamente funzionante e non emette assolutamente il mortale gas. Ed allora, come sono morti i bambini? Il processo viene celebrato nell’aula-bunker di Rebibbia e la Procura porta a deporre 2 vigilantes della  Securitas, di Civitavecchia, i quali dichiarano che la notte tra il 4 e il 5 gennaio 1994, attorno alle ore 0,30, come confermato dai relativi verbali d’intervento, durante un giro di controllo, in loc.tà Poggio del Cerqueto, di Cerveteri, rilevarono che una parte della rete di recinzione del terreno adiacente a una villa era tagliata e abbassata, e osservarono quella che a loro sembrò una larga macchia di sangue, con accanto una scarpetta da bambina. I 2 testimoni affermano che quella scarpetta è identica a quella ritrovata  all’unico piede calzato della piccola Luciana. E, quindi, Tullio Brigida ha seppellito i corpi la notte tra il 4 e il 5 gennaio, la stessa notte in cui, poi, si recò al pronto soccorso, di Civitavecchia. Il 18 giugno 1996, si giunge alla sentenza. Il P.M., nel corso della requisitoria, descrive il particolare e violento rapporto di coppia tra Tullio Brigida e Stefania Adami, indica il movente, del triplice omicidio,  in una vendetta nei riguardi della moglie che l’aveva lasciato, utilizzando la morte dei bambini come uno strumento per far provare un dolore immenso a Stefania Adami. I bambini sono morti nell’automobile del padre, non è possibile stabilire dove, magari proprio in loc.tà Fosso del Cerqueto, in cui, poi, furono seppelliti; morirono, mentre dormivano sui sedili dell’autovettura, in quanto Tullio Brigida collegò l’abitacolo della sua autovettura allo scarico del motore, per il tramite di un tubo di gomma, saturando l’aria di monossido di carbonio. La Corte condanna Tullio Brigida all’ergastolo, all’isolamento diurno per 3 anni e all’interdizione legale e perpetua dai pubblici uffici. Le successive fasi di giudizio confermeranno  la condanna. Su questa vicenda giudiziaria è stata scritta una tragedia teatrale, in forma di monologo, dal titolo Ciò esula, da Ludovica Ripa di Meana.

E’ da sottolineare, al riguardo, che il dibattito circa il fenomeno dei “mostri” è divenuto sempre più intenso negli ultimi anni; fenomeno che affonda le proprie radici già nell’antica Roma, in epoca pre-cristiana, laddove l’Imperatore Tiberio utilizzava sessualmente i bambini e, in molti casi, questi venivano assassinati dopo l’atto. La patologia, mista alla crudeltà, è probabilmente la spiegazione che maggiormente si avvicina alla verità dei fatti, tanto più che “mostro” vuol dire “qualcosa di non mostrabile”, e spezzare la vita di un bambino significa colpire al cuore quell’innocenza che egli rappresenta. Pertanto, si tratta di un atto che colpisce l’altro, ma che è finalizzato al raggiungimento di quel “quid” di puro e di innocente che alberga nell’essere umano e che, in qualche modo, è stato distrutto negli anni precedenti. Da qui, la strada per capire il “perché” di tali gesti, muovendo dal vissuto del mostro, sino alla connessione con altre vite e altri episodi avvenuti (traumi, paure, etc.). A siffatta analisi, fanno seguito risvolti giuridici in merito alla considerazione delle reali capacità di intendere e/o di volere del mostro. Tuttavia, il dato che emerge tanto da questo caso, quanto da casi analoghi, è che solo comprendendo le ragioni di un simile comportamento criminale, partendo sin dalle origini del vissuto dell’autore, sarà possibile conoscere e prevenire l’agire dei mostri, oltre che difendere il bambino, emblema di una purezza e di un futuro continuamente attaccato e violato.