Presidente della Repubblica a tempo determinato?

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Una ipotesi avanzata è quella sviluppata sul proposito di eleggere un Presidente con mandato a termine.  

di Antonio Calicchio

Le perpetue dissertazioni in materia di Diritto costituzionale, dispensate ed elargite disinvoltamente in ordine al tema inerente alla elezione del Presidente della Repubblica, si pongono in un rapporto di netto squilibrio rispetto alla capacità e volontà delle forze politiche a compiere le riforme istituzionali di cui il nostro Stato necessiterebbe, Stato che è l’identificazione della personalità operante della nostra Patria e l’espressione viva della nostra Nazione.

Una ipotesi avanzata è quella articolata sull’idea di eleggere, a gennaio, un Presidente con mandato ad tempus. Ipotesi formulata sulla base del precedente della presidenza Napolitano – unica eccezione nella storia della Repubblica – in vista di configurare il seguente quadro: Mattarella viene confermato nella sua funzione attuale e Draghi rimane a presiedere l’Esecutivo, sino allo spirare della legislatura, ai principi del 2023. E, a seguito del voto, Mattarella si dimette, mentre le nuove Camere eleggono Draghi come Capo dello Stato. Si tratta di un quadro istituzionale che implica, da un lato, una libera volontaria scelta da parte dei soggetti e degli organi coinvolti; d’altro lato, un “pactum unionis” fra i partiti che sia tanto saldo da resistere, perfino, oltre le prossime elezioni (sarebbe già un risultato notevole se lo scenario politico restasse stabile sino al termine naturale della legislatura). 

Tuttavia, occorre sottolineare, al riguardo, che la proposta di “mandato a termine con staffetta” non risulta propriamente essere conforme ed aderente con la lettera, né con lo spirito della Costituzione, che, per l’incarico presidenziale, contempla una durata di sette anni, dunque, superiore a quella delle due Camere. Una scelta che mira “a soddisfare l’esigenza di una certa permanenza, di una certa continuità nell’esercizio delle pubbliche funzioni, mentre contribuisce a rafforzare l’indipendenza del Presidente dalle Camere che lo eleggono”, come relazionò Egidio Tosato, in sede di Assemblea Costituente. Ed inoltre, “che le Camere si rinnovino e il Presidente resti significa svincolare il Presidente dalle Camere dalle quali deriva e rinvigorirne la figura”. 

Del resto, l’argomentazione concettuale costruita dai fautori del mandato a termine, allo scopo di “aggirare” il dettato costituzionale, si impernia sulla considerazione che l’attuale Parlamento non sarebbe “abilitato” ad eleggere il Presidente per sette anni, giacché – a stretto giro – le prossime Camere presenteranno una composizione numerica differente. Però, va, sul punto, evidenziato che la riforma, la quale ha ridotto il numero dei parlamentari, non ha riguardato le attribuzioni delle due Camere, che rimangano immutate. E, poi, non si trascurino le riforme strutturali che questo Parlamento ha approvato, e sta approvando, e che caratterizzeranno la vita della Nazione, almeno sino al 2026, producendo i loro effetti per anni. Pertanto, più che disquisire di Presidente a tempo determinato e di Camere a “scartamento” ristretto, i partiti agiscano con senso di responsabilità ed adottino, in Parlamento, con coscienza e dignità morale, la decisione più consona al benessere dell’intera comunità nazionale.

La Costituzione deve essere salvaguardata – soprattutto in questo delicato momento della vita del Paese – da strumentalizzazioni e speculazioni opportunistiche, trattandosi, nel caso specifico, della elezione, come detto, appunto, del Presidente della Repubblica, che è, inoltre, il Capo dello Stato, il rappresentante dell’unità e dell’identità nazionale, al di sopra di ogni maggioranza parlamentare e di ogni divisione politica, che deve svolgere le sue funzioni con fedeltà alla Repubblica ed osservanza della Costituzione e delle leggi. E’ un organo di garanzia dei valori e degli istituti sanciti e fondati nella Costituzione. Egli, nella esplicazione del suo magistero di indirizzo e di guida della Nazione, non è stricto sensu partecipe di alcuno dei tre poteri dello Stato, come individuati e separati da Montesquieu. Però, mediante il suo ruolo, si connota come diretto elemento equilibratore e coordinatore fra il potere legislativo, esecutivo e giudiziario, cui conferisce il suo impulso, evitando che, in assenza del suo intervento, possano rimanere inerti.

Il Presidente della Repubblica è la massima magistratura dello Stato, per quanto, dal punto di vista giuridico, come organo costituzionale, debba essere situato sullo stesso piano degli altri organi, in virtù del romanistico principio augusteo del “primus inter pares”. E, tutelando l’ordinamento costituzionale e democratico, egli è investito di molteplici attribuzioni, che possono essere considerate sotto l’aspetto relativo ai menzionati tre poteri statuali; attribuzioni che rendono questa carica non meramente rappresentativa, ma tale da incarnare un valore di equilibrio, di controllo, di verifica e di indirizzo, “volando alto” sulle vicende e sugli interessi particolari di questa o quella forza politica e sociale. 

L’auspicio, a questo punto, è che responsabilità e coscienza del dovere ispirino la decisione migliore per il progresso civile, sociale e morale degli Italiani, con la viva speranza di un avvenire scevro di ombre, così da assicurare lo sviluppo della vita economica, politica e democratica del nostro Paese, cui potremo davvero sentirci orgogliosi di appartenere.