MIRIAM PALOMBI E L’ULTIMA RELIQUIA

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Miriam Palombi

A TU PER TU CON LA CERAMISTA E SCRITTRICE DI CERVETERI, CON LA PASSIONE DELL’HORROR E DELL’ESOTERISMO.

«Il mio segreto? Forse un segreto non c’è, ci metto solo tanta passione in quello che faccio». E se la passione è in grado di muovere il mondo tutto è più facile per Miriam Palombi, scrittrice cerveterana ma anche ceramista raffinata. Capitolo a parte: nell’ultimo week end le sue opere sono state mostrate in piazza Aldo Moro. Ma è per il suo ultimo libro, “L’ultima reliquia”, che si sta parlando in questo momento dell’autrice. Un libro, edito dalla Dark Zone, un thriller esoterico presentato al Salone del libro di Torino. C’è un prete spagnolo richiamato a Roma a causa delle sue intemperanze. E c’è un’ambientazione esoterica. In qualche modo si allaccia alla sua prima pubblicazione “L’archivio degli Dei” nel 2016. «Si lega a quel libro, c’è un filo conduttore e un personaggio comune, è una sorta di prologo di quell’opera. Le vicende sono antecedenti e svelano molte cose di un personaggio secondario».

Per chi non lo sa, Miriam Palombi è una ragioniera pentita. La sua vena artistica alla fine però è esplosa con tutta la sua forza.

Perché leggere l’ultimo libro?
«C’è il bene e il male, l’avventura, l’azione, la caccia al tesoro. È un libro che si può leggere anche mentre si è in vacanza, in relax. Rispetto ai libri di Don Brown, ci sono anche più sfumature horror, gotiche. È più nostrano oserei dire, nessuna sparatoria o esplosione ma più vicino alla cultura classica». Un tuffo nel passato. Come è nata questa tua passione? «Leggevo sin da bambina. Mi divoravo i libri degli adulti come i gialli di Edgar Allan Poe. Alla fine trovavo sempre dei racconti misteriosi, erano il mio forte. La cronaca nera è la mia passione. Ho scritto articoli per una rivista, ho studiato la simbologia esoterica, affrontando i temi horror, da fatti veri, come il Mostro di Firenze, all’analisi dell’elemento maternità nel cinema horror».

Ma quanto ci vuole per scrivere un libro?
«Non credo esista una tecnica predefinita. Io esempio sono riflessiva, non scrivo proprio di getto. Ci vuole dedizione e allenamento. Come suggerisce King, bisogna darsi un obiettivo giornaliero. Solitamente devo avere ben impresso nella mia mente il titolo, solo dopo posso proseguire».

Esiste un luogo fonte di ispirazione?
«C’è un posto che considero speciale per potermi concentrare e sviluppare le mie idee ed è Sovana, paese nel grossetano. Esiste una cattedrale, c’è la cripta con colonne romane. Si respira arte medievale e mistica ma non necessariamente è religioso. Avverto uno spirito della natura e capto delle vibrazioni».

Approfondiamo il tuo genere visto che hai scritto numerosi libri (tra i tanti “Le ossa dei morti”, “Miseri resti sepolti”, “Rasputin. L’ombra del monaco”). Ritieni che nell’horror ci siano degli stereotipi da sconfessare?
«È uno dei miei principali obiettivi cercare di infondere una cultura horror senza pensare che sia banale e scontata. Pensiamo un attimo. Già nelle favole popolari era particolarmente diffuso questo genere, prendo ad esempio Cappuccetto Rosso. È folklore. Lì ci sono le radici, nelle fiabe e nelle leggende e nei racconti popolari contadini. È sbagliato considerarlo un genere di serie B. Altrimenti quale significato dovremmo dare al romanzo gotico, tra i generi narrativi più diffusi? E un altro stereotipo è considerate che il thriller e l’horror siano solo per gli uomini».

C’è un personaggio sempre presente?
«Il protagonista dei miei libri non ha una demarcazione netta, può essere un personaggio del bene con delle zone d’ombra. A volte il personaggio cattivo può essere anche più divertente».

Sei stata influenzata dal cinema? E se sì, quali film in qualche modo hanno catturato la tua attenzione?
«Direi “Sinister”, film spaventoso dove il protagonista, un giornalista, si trova in una casa maledetta. Poi “I 13 spettri”, altro horror con presenze spettrali. Considero ispirazione anche la letteratura, come “Il nome della rosa” di Umberto Eco: un giallo che ha segnato la mia adolescenza. Già all’età di 5 e 6 anni scrivevo i miei racconti, rigorosamente avvolti dal mistero»

Si possono raccontare i tuoi libri ai bambini? Sei mai stata a contatto con degli studenti?
«Senza dubbio sì, nella prima domanda. Poi ho esperienze che custodisco nel mio cuore, come nella biblioteca di Terni in un liceo artistico. Abbiamo parlato dell’importanza dell’immagine, quindi la copertina e il lavoro grafico, legato al libro».

Il sogno nel cassetto di Miriam?
«Confesso: mi piacerebbe che un mio libro finisca in qualche piattaforma per un film o una serie tv».

Emanuele Rossi