Love is…

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love is

In una trasmissione ho sentito una frase che mi ha fatto molto riflettere.

Una persona ha detto “lui non mi è mancato…e quindi credo di non amarlo”. Per riflettere un po’, riporto alcune frasi prese da brani di Rappers “L’amore è come un atto violento/ se vivo è perché brucia dentro” (Mace, Blanco e Salmo), “L’amore è un albero/ma sono marci i frutti/ ma tanto a pezzi o distrutti/prima o poi ci rimaniamo tutti” (Gemitaiz), “Con te vicino/la vita ogni giorno/ inizia un’altra volta” (Luchè). Potrei citare frasi di canzoni di Ultimo o di altri cantanti recenti o storici.

Culturalmente, l’amore viene associata allo struggimento, alla mancanza, alla sofferenza. Il dizionario Devoto Oli definisce l’amore come “dedizione appassionata ed esclusiva, istintiva ed intuitiva tra due persone, volta a rassicurare la reciproca felicità o la soddisfazione sul piano sessuale”. Questa definizione basa il concetto che l’amore è una reciproca felicità e soddisfazione. Quindi, l’amore che sia verso un amico/a o verso il partner, porta a uno stato di benessere psicologico e fisico. Riflettiamo, adesso, sulla frase che ha detto la persona nel programma televisivo (“lui non mi è mancato… e quindi credo di non amarlo”); allargo un po’ lo scenario: questa persona, con quel partner, aveva vissuto degli eventi importanti, costruttivi e divertenti; inoltre riferiva di volergli bene, di essergli affezionata. Bene. Nella frase che ho citato emergono dei concetti particolari: è come se che il grado dell’amore fosse correlato al grado di sofferenza.

Ossia: amo quella persona perché mi manca (tanta sofferenza=tanto amore) non perché quella persona mi dà tanto, mi fa sentire bene (tanta serenità=tanto amore). Ciò viene ribadito anche nelle strofe dei brani citati prima. È come se l’amore, per essere considerato vero, debba essere associato al dolore, alla tristezza, alla sofferenza piuttosto che alla serenità, alla soddisfazione, alla creatività reciproci. Il binomio “amore=sofferenza” porta, però, alla costruzione dell’amore-dipendenza.

Facciamo un altro passo in avanti. “Con te vicino/la vita ogni giorno/inizia un’altra volta” (Luchè). Questa strofa implica che la vita ogni giorno inizia un’altra volta con te: cioè, senza di te la vita ogni giorno non inizia, quindi sono come morto. Beh, direi che questo è un messaggio che porta a considerare l’amore con un’accezione di dipendenza (senza di te la vita non esiste perché non inizia). L’amore nella sua accezione abbandonica e sofferente fa parte di una fase di crescita della vita di ognuno, quando la vita di un bambino dipendeva nel vero senso della parola dall’adulto (o adulti) di riferimento e quando questo ha risposto alle richieste di rassicurazione del bambino costruendo presumibilmente uno stile di attaccamento insicuro ed ambivalente.

L’amore maturo, paradossalmente, basato presumibilmente su uno stile di attaccamento sicuro, mette in primo piano l’arricchimento che l’altro mi dà e l’arricchimento che io dò all’altro in termini di soddisfazione, di buono, di gratificante e di costruttivo in modo reciproco e non teme lunghi periodi di separazione. Ciò non vuol dire che se l’altro non c’è più io non soffro, ma vuol dire che se succede io elaboro la sofferenza in termine da adulto. L’amore maturo mette il partner come un completamento, un arricchimento e un abbellimento di sé, non come il proprio prolungamento. Quanto sarebbe bello sentire la frase “io non voglio vivere senza di te!” anziché “io non posso vivere senza di te!”

Dottoressa Anna Maria Rita Masin Psicologa – Psicoterapeuta Psicologa Giuridico-Forense Cell. 338/3440405

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