La sabbia di Ladispoli sotto le scarpe di Aldo Moro?

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©Posta Vecchia e Castello di Palo Laziale - Ladispoli. Collezione privata Sig. Sciò. Tratta dal volume Da Alsium a Ladispoli di F. Castellano e A.M. Conforti

di Angelo Alfani

Nel paese d’o sole sono innumerevoli i drammi collettivi avvolti in nebbioni più fitti di quelli della val Padana: dalla strage di Portella della Ginestra all’uccisione del bandito Giuliano, dalla strage di Stato del 1969 a quelle sui treni e nelle stazioni. Il caso Moro rientra a buon diritto tra questi.

Questo articolo ripercorre, utilizzando brani di libri scritti da giornalisti accreditati, una ipotesi possibile sul covo utilizzato inizialmente per questo sequestro che ci riguarda da vicino, molto vicino. Proseguiamo per ordine.

“Nulla è più caduco di pochi granelli di sabbia, eppure nulla pesa di più, nel principale omicidio politico della storia della Repubblica, di poco meno di due grammi di sabbia marina.

Quando i pompieri, alle 15.10 del 9 Maggio 1978, traggono fuori dal bagagliaio della Renault 4, in via Caetani, l’onorevole Moro, sul telone cerato, che accoglie il cadavere cadono diversi granelli di sabbia…” Così scrive nel suo libro Morte di un Presidente il giornalista Paolo Cucchiarelli.

Le analisi successive dei periti portarono a circoscrivere la provenienza di tale sabbia nel tratto del litorale laziale a nord della Capitale. Palo Laziale incluso.

Il nostro territorio era stato già, a partire dal 21 Marzo 1978, oggetto di rastrellamenti alla ricerca del covo in cui i brigatisti detenevano l’Onorevole democristiano. Operazione in codice denominata: Smeraldo.

A tal proposito vennero effettuate due ricognizioni aeree per ordine del ministero degli Interni, una diurna ed una notturna, con elicottero della Marina militare, lungo il litorale laziale nel tratto in oggetto fino a Cerenova, Campo di Mare. Solo nel 1991, da Presidente della Repubblica, Cossiga accennerà alla “Operazione smeraldo” in questi termini: Posso oggi raccontare di quella notte in cui eravamo convinti di aver individuato la prigione di Moro. E posso raccontare dei preparativi alla irruzione, di quell’ ufficiale medico che si era proposto volontario per fare scudo al corpo di Moro.

Quell’ufficiale dei Reparti speciali era Decimo Garau, istruttore nella base di Gladio a Cala Griecas che riferirà di aver ispezionato alcuni casolari nei pressi del Sasso, facendo base nella caserma del Rud (Reparti unità difesa) nei pressi di Cerveteri.

Questo dato getta una luce inquietante su due episodi riferiti alla Commissioni stragi da due familiari di Moro, il fratello ed il figlio Giovanni. Raccontano di aver saputo, in due diverse occasioni e da due fonti diverse, che le forze dell’ordine avevano individuato una probabile prigione di Aldo Moro vicino Palo Laziale e stavano preparando un blitz per liberarlo. Ma per misteriose ragioni tutto si era fermato”. Questo scrive la Di Giovacchino nel suo “Il libro nero della prima Repubblica” in cui si occupa anche del caso Moro.

Quello che colpisce di più nella storia della sabbia trovata addosso a Moro è che il terreno nei pressi della Posta Vecchia, cioè del possibile luogo di detenzione, è compatibile con la sabbia trovata sotto le sue scarpe. A Palo Laziale c’è la tenuta, un tempo sito di posta del principe Odescalchi, acquistata nel 1964 dal petroliere americano Paul Getty che ne aveva fatto la propria residenza in Italia, dotandola di un campo di atterraggio per elicotteri.

Ricordi personali su mie frequentazioni, appena quattordicenne, di quell’angolo di Eden, avendo la mia famiglia frequentazioni con l’imprenditore umbro-ladispolano che fece i lavori, mi fanno ritornare alla memoria l’arrivo del figlio del magnate con la allora splendida moglie ed un bambino di tre o quattro anni. Scesero da un macchinone con autista: indossavano tutti e tre delle pellicce che coprivano i costumi da bagno. La splendida morì poco dopo a Londra per overdose.

Tra gli operai si raccontava che il Vecchio aveva scelto quel posto su suggerimento del medico di fiducia che, dopo innumerevoli giravolte per il mondo, aveva indicato la Posta vecchia come il luogo più adatto alla salute del Getty. Non per niente il regista Huston l’aveva scelta per girarci, nel 1965, la scena del kolossal La Bibbia, con un Parks=Adamo che si sveglia nel Paradiso terrestre, stirandosi sotto un tappeto di foglie di querce secolari.

Nel 1978 quella tenuta è proprio nell’ interregno tra la morte del magnate miliardario (avvenuta nel 1976) e la vendita, decisa dagli eredi, alla società svizzera Cobajar nel 1980, che trasformerà la villa sul mare in un lussuoso hotel.
Altra ragionevole supposizione sempre del Cucchiarelli è che “Moro non sarebbe mai potuto rimanere fermo per cinquantacinque giorni in un cubicolo di un metro per due senza che il suo corpo recasse tracce ben visibili di tale stato di costrizione. Moro ha evidentemente camminato, magari di notte ed in una area chiusa e sorvegliabile, inzaccherando le suole delle sue scarpe di residui di catrame derivante dal lavaggio delle cisterne delle petroliere di mare”.
Dal libro del brigatista reggiano Franceschini, La borsa del presidente, in cui si parlava di una villa nobiliare sulla costa che ospitava un museo di statue romane, il giornalista, dopo una intera nottata passata a sfogliare libri fotografici sui siti storici della nostra costa, individua la Posta Vecchia col suo museo di statue nel sotterraneo.

Sono stato per la prima volta a Palo Laziale molti anni fa, insieme ad un collega. Già allora avevo maturato la convinzione che quello fosse il posto giusto”, racconta Cucchiarelli. Se Moro ha camminato su una spiaggia, come indicano, le tracce nelle suole, lo può aver fatto solo in una zona appartata, al riparo da sguardi indiscreti. Una zona come la Posta Vecchia, appunto.