La richiesta arriva dagli animalisti europei e italiani. Presentato all’europarlamento il rapporto “A full-cost account of the EU fur industry”, pubblicato da Griffin Carpenter. Secondo lo studio l’industria delle pellicce produce un danno netto alla collettività stimato in 446 milioni di euro l’anno.
Come diceva Giorgio Armani, le pellicce non sono più di moda. Tant’è che questa industria atroce, ormai è arrivata al capolinea. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato da Griffin Carpenter, con il supporto di Eurogroup for Animals, Fur Free Alliance, Four Paws e Humane World for Animals e presentato all’Europarlamento, questa produzione non solo non è più economicamente sostenibile, ma produce un danno netto alla collettività stimato in 446 milioni di euro l’anno.

“A full-cost account of the EU fur industry” rileva che l’allevamento di animali da pelliccia nell’Unione Europea non è redditizio da diversi anni, poiché i prezzi delle pelli sono scesi al di sotto dei costi di produzione. Lo studio afferma che la pellicceria comporta un costo ambientale stimato in 226 milioni di euro l’anno, dovuto soprattutto a emissioni di ammoniaca e polveri sottili, acidificazione del suolo e inquinamento delle acque. Inoltre il particolato fine (PM2.5), prodotto dalla decomposizione dei rifiuti animali, è responsabile di malattie respiratorie croniche e di morti premature anche in Paesi che hanno già bandito gli allevamenti.
In Europa sono già stati introdotti divieti parziali o totali. L’Italia chiuso l’ultimo allevamento nel 2022. Il gettito complessivo di tasse e contributi degli stabilimenti europei, rivela il rapporto, ammonta a 16,6 milioni di euro, contro un flusso di sussidi pubblici che supera ampiamente questa cifra. L’intero comparto impiega tra 3.300 e 5.500 lavoratori equivalenti a tempo pieno, pari allo 0,003% dell’occupazione complessiva dell’UE: un peso analogo alla produzione di carta da parati o di sidro. Il documento conclude – come riporta ENPA – che “i costi per la società superano ampiamente qualsiasi beneficio economico” e che la chiusura del settore non avrebbe conseguenze economiche significative ma libererebbe risorse pubbliche e ridurrebbe rischi per salute, ambiente e biodiversità.

LAV– impegnata nella campagna #Furfreewoolrich – sottolinea che il rapporto arriva poche settimane dopo che l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), nel suo parere scientifico trasmesso alla Commissione UE, ha dichiarato che non ci sono miglioramenti che possano abbattere la sofferenza animale, dietro la forte spinata dell’iniziativa dei cittadini europei di Fur Free Europe, sostenuta da 1,5 milioni di firmatari. La commissione si dovrebbe pronunciare definitivamente sulle richieste degli animalisti entro marzo 2026.
Il testo integrale del rapporto:
cdn.sanity.io/files/h7z69sg4/production/5ae4d5985288b031ff52997b6e149aff0a65f485.pdf
Colonia felina del castello di Santa Severa https://gliaristogatti.wordpress.com


































































