Il vento della rivolta soffia anche a Cerveteri

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© Sebastiani Foundation

di Angelo Alfani

All’inizio del 1970 e per un mucchietto d’anni ancora, assieme alla tramontana a Cerveteri spirò il vento della contestazione. Un sessantotto, giunto un poco in ritardo, ma che lasciò dei segni profondi su parte della gioventù cervetrana, quanto e più degli spilloni che Angelarosa, grazie ai suoi motori a turbo, infilzava in mezzo ai capelli e sulle parti più mollicce del corpo di chi subiva fatture e malocchio.

Due gli episodi che incendiarono il paese etrusco innescando un processo di presa di coscienza politica: l’improvvisa, anche se annunciata, caduta di grossi calcinacci nella tromba delle scale ed in due aule a pian terreno della vecchia scuola elementare, ed alcuni scioperi spontanei degli edili a Ladispoli e nei primi cantieri cervetrani a mare.

Per il pericolo crollo i ragazzini, spinti da mamme terrorizzate, decisero di non andare a lezione fino a quando non si fosse messo in sicurezza il tutto.

Una contestazione, fatta di fischi ed urla, al cinema di Zaira nei confronti dell’allora Sindaco e di un inadeguato Assessore alla Pubblica istruzione che cercavano di dimostrare l’indimostrabile, convinse i ragazzini di quinta ed alcuni altri delle medie a organizzare seduta stante un corteo che attraversò il Paese alto.

Si trattò di una assoluta novità: mai prima di allora un corteo di protesta, disordinato e caciarone, composto solo da pischelli, aveva osato sfidare la noia paesana.

Nei cantieri che nascevano allora, fitti come semi di una cucuzza, la maggior parte del lavoro era in nero, le norme di protezione inesistenti, la parola sciopero considerata peggio della bestemmia nei confronti della Santa Madre.

Alcuni operai, i più giovani ed arrabbiati, decisero che quel giorno lo sciopero, indetto dai sindacati, doveva riuscire. Presero a setacciare i cantieri con i manici delle pale, scendendo dagli ultimi piani, fino a smorzare ogni rumore di lavoro. Gli scioperi durarono alcuni giorni e si conclusero con l’occupazione a Roma di via Po, proprio di fronte agli uffici di una palazzina in mattoncini, faccia a vista, sede della grande impresa romana proprietaria degli immobili, specializzata a cessioni di lavoro in subappalto, e subappalto ancora, che, a seguito degli scioperi, aveva chiuso il rubinetto dei quattrini. Manco ci sta bisogno di dirlo ma il rubinetto ricominciò a funzionare.

Queste due ribellioni, le prime dopo le occupazioni delle terre, sedimentarono coscienza politica di cui una delle conseguenze fu la costituzione di un Collettivo politico, termine che allora stava ad indicare una organizzazione di estrema sinistra. Per alcuni anni il Collettivo ebbe sede a Ladispoli, accanto al ponte che, superando il fosso, porta a Via Roma.

La lotta che ancora viene ricordata come emblematica fu quella della cosiddetta autoriduzione del costo dell’abbonamento del viaggio Cerveteri- Ladispoli- Roma. A fronte di una eccessiva richiesta di aumento da parte del proprietario della linea, Ferri, vennero stampati da parte dei ribelli abbonamenti mensili, con tanto di timbro e di ricevuta postale dell’avvenuto pagamento. Ovviamente il versamento effettuato corrispondeva ad un costo che il Collettivo aveva ritenuto equo. Per le strane alchimie della Legge non era possibile punire i trasgressori in quanto avevano comunque dimostrato la buona intenzione di pagare, e non quella di essere fottuti.

Tutto andò avanti per mesi, coinvolgendo centinaia di cittadini che avevano cominciato a prenderci gusto.

Solo con la riapertura delle scuole si raggiunse un accordo sul prezzo dell’abbonamento: una via di mezzo tra quello richiesto dal proprietario delle autocorriere e quello praticato dal Collettivo.

La scuola elementare, invece che essere rimessa in sicurezza, venne impunemente buttata giù, i cantieri hanno continuato a produrre incidenti mortali e lavoro nero, la sede del Collettivo, dopo la sua chiusura, è stata per un lungo periodo sede del primo pornoshop ladispolano.

Post scriptum
Nella foto una coppia di cervetrani prepara il pomodoro nel prato-orto di fronte alla Madonna dei Canneti. E’ evidente che il vento dell’emancipazione femminile ha spirato forte.