POLITICA E PACE

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guerra

Le questioni dell’una e i percorsi dell’altra.

di ANTONIO CALICCHIO

E’ TANTO CRIMINALE avviare una guerra, quanto vergognoso rifiutarsi di uscirne. Le tesi guerrafondaie ripetute nei mass media anche da rappresentanti delle istituzioni politiche, ne fanno i campioni, in Occidente, del bellicismo ad oltranza. Esse riflettono la malafede, prima e dopo, di quanti – per risolvere i drammi dei conflitti – scatenano tempeste di missili, senza risparmiare neanche quei territori che dicevano di volere proteggere.

Siamo stati posti in un vicolo cieco in cui tutti brancolano. Appare difficile capire le motivazioni profonde di ideologie politiche come quelle dei bellicisti, diversamente che in termini di interessi economici e finanziari molto forti e di gruppi di pressione internazionali da placare.

Ma quanto è illusorio il successo di chi vuole mettere al tappeto, distruggendoli, interi Paesi!

La mia posizione collima, ab origine, con quella espressa dal Papa: la condanna, netta ed inequivocabile, della guerra. Il suo appello, riproposto costantemente, a deporre le armi mi sembra fondamentale ed elementare, quasi ovvio nella sua assoluta razionalità. Le istanze avanzate dal Pontefice – cessazione delle operazioni belliche, ripresa del dialogo sotto l’egida dell’Onu, corridoio umanitario per gli aiuti – rappresentano il solo modo di superare l’impasse e di portare avanti la causa dell’uomo.

Personalmente ho incontrato centinaia di uomini di pensiero europei pacifisti e favorevoli alla verità. Ma dietro i ritardi degli uomini di Stato a comprendere la causa della pace non si rintracciano che piccole e meschine necessità come le vittorie da vantare uno nei confronti dell’altro. Quando non esiste più una ragione autonoma di convivenza autentica, capace di unire gli sforzi degli uomini verso una meta sicura e condivisa, tutto si sfalda, prevalendo il culto della forza, del benessere ostentato, della ricchezza fasulla. Con le tragiche conseguenze che registriamo in questi mesi di guerra.