Monnezza fa ricchezza

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Pantano e l'Americano

di Angelo Alfani

monnezzaroDeodato è stato, per poco più di un decennio, l’approvvigionatore di rena di mare utilizzata per tirare su piccole abitazioni che freneticamente, a partire dagli anni della ricostruzione, macchiarono il territorio cervetrano-dispolense.

Produzione e vendita dell’oro nero aveva luogo alla fine di via Fontana Morella, non lontano da quella che oggi è una striminzita oasi naturalistica.

Una rete metallica, a maglie strette, setacciava le impurità presenti nella sabbia, che veniva poi spalata sopra carretti e furgoncini. Il lavoro manuale, a causa della sua palese debolezza di gambe, Deodato lo affidava a lavoranti dal turnover veloce. Lavoro che si svolgeva nelle ore ancora poco illuminate dalla palla arancione per evitare la calura ed altro, permettendo al nostro imprenditore una illimitata quantità di tempo libero.

E lui ne approfittava per setacciare, in groppa al guzzetto rosso, il vasto territorio alle spalle del mare.

Te lo trovavi dappertutto, a tutte le ore del giorno, anche quelle meno usuali.

Si racconta che al fattore di Zavagli che gli chiese se avesse visto in giro la somara, scappatagli dal recinto, Deodato avesse risposto: “Io non giro pè somari, parè! Io viaggio e viaggia’ vuol dire aggiunge vita alla vita”. Questa ubiquità ha generato il detto: Giri più te che Deodato!

E’ mia convinzione che manco il povero Deodato, nonostante girasse più de ’n pittolo, sarebbe stato in grado di conteggiare gli infiniti monnezzari, piccoli e grandi, che da mesi invadono il nostro Paese.

In ogni dove, accanto a vergognosi e maleodoranti cassonetti, lungo le cunette delle strade interpoderali, ammucchiati a circondare la splendida corteccia bianca, verde pisello e nocciola dei pochi platani ancora in piedi, montagnole di monnezza arricchiscono il paesaggio. Calcinacci, letti, comodini, bombole del gas, materassi, ammucchiate di residui alimentari oggetto di caccia grossa di topi di ogni razza e misura, carta da parati, amianto, e chi ce ne ha più ne butta.

A Cerveteri, l’antica convinzione di due grandi popoli, Rom ed Ebrei, La monnezza fa ricchezza, non sanno manco dove sta de casa.

E’ indubitabile infatti che la monnezza è vista ed affrontata solo come problema, come emergenza e sull’onda del dato emergenziale si prova a metterci le toppe.

Si firmano contratti d’appalto farlocchi, soprattutto per quel che riguarda le zone di campagna (raccolta ogni quindici giorni di carta ed altro, non previsto il passaggio dell’umido, con conseguennte obbligatorietà della compostiera…), contratti che spingono i vandali a buttare tutto strada facendo, con salassate da sanguisughe per i cittadini.

Contratti stirati, come le carte quando si gioca a tresette, che vengono regolarmente messi sotto botta, che vedono giovanotti speranzosi essere assunti, dieci alla volta, per un solo mese, a trecentoottanta euro, per mansioni da multiservizio. Una vergogna. La monnezza, come dimostrano esperienze oramai consolidate in altri paesi europei, può invece rappresentare una ricchezza.

Dovrebbe essere una risorsa positiva e di creazione di nuovi lavori, fonte di nuove fonti energetiche, per la collettività non ad esclusivo appannaggio delle lobby o peggio delle varie organizzazioni malavitose.

La regola d’oro è quella perseguire quattro obbiettivi, indicati dalle direttive della Unione Europea, noti come “la regola delle quattro erre”: riduzione, riuso, riciclo, recupero.

Ma queste cose semplici sono impossibili da praticare quando manca il manico, quando cioè la capacità di vedere di chi amministra non supera i merli della Boccetta.