“MICROCHIP NEL CERVELLO UMANO ENTRO 6 MESI”

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UN MICROPROCESSORE CEREBRALE CI CONSENTIRÀ DI ESSERE SEMPRE CONNESSI.

di Maurizio Martucci

Dall’home page di Neuralink Corporation, dal 2016 azienda statunitense di neurotecnologie di proprietà del transumanista Elon Musk simpatico a Donald Trump e Matteo Salvini, si legge: “Tecnologia rivoluzionaria per il cervello, ogni giorno costruiamo strumenti migliori destinati a comunicare con il cervello, le potenziali applicazioni di questa tecnologia sono illimitate”.

Solo che per la conta della mattanza eravamo rimasti a 3 maiali e 23 scimmie macachi, tutti morti tra atroci sofferenze per l’impianto di un microchip nel cervello testato nella Silicon Valley. Ma adesso però, saltato dal pentolone il coperchio, da un’indagine del Dipartimento americano per la regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici apprendiamo che dal 2018 ad oggi presso l’Università della California gli animali uccisi per sperimentare la connessione neurale di Neuralink su pecore, maiali, scimmie e topi sono addirittura 1.500. “In Neuralink, siamo assolutamente impegnati a lavorare con gli animali nel modo più umano ed etico possibile”, respinte le accuse rispondono i dipendenti di Musk, dall’anno scorso in cerca di volontari umani per compiere l’agognato salto, cioè ficcarsi dentro le nostre teste: “siamo ormai certi che il dispositivo Neuralink sia pronto per gli esseri umani“, il patron di Twitter prossima al fallimento ha detto in streaming puntando a Maggio 2023, la nuova deadline tra soli 6 mesi, perché “la tempistica dipende dal processo di approvazione della Food and Drug Administration“, l’equivalente della nostrana Agenzia Italiana per il Farmaco che però – pare – abbia già mangiato la foglia sull’asserita filantropia del magnate pure di Tesla e Starlink: con la scusa di aiutare chi soffre di disabilità, paralisi, cecità, Parkinson, Alzheimer o altre patologie neurodegenerative, il pericolo non sarebbe solo nel rilascio di sostanze tossiche, elettromagnetismo inside e surriscaldamento del dispositivo The Link, il microprocessore cerebrale grande come una monetina che all’interno della scatola cranica dialogherebbe coi neuroni della corteccia cerebrale finendo in Wi-Fi su Smartphone e computer.

No, tutt’altro, perché dietro la parabola del buon samaritano generoso alla ricerca di una vita meno difficile per chi soffre di disabilità, si sta letteralmente sdoganando il transumanesimo che dal 5G ci porta al 6G, cioè all’Internet of bodies, Intenet dei corpi, Internet dei sensi per restare sempre connessi al Web, visto il corpo umano come piattaforma tecnologica per nanotecnologie impiantabili e la biologia molecolare con nanorobotica con la bio-tele-nano medicina come nuovo paradigma per riformare il concetto di salute e malattia. “Si parla del telefono cellulare come ponte per trasmettere il dato”, ci aveva detto Riccardo Benzi, medico, ricercatore, scopritore al microscopio di materiale apparentemente grafene nel sangue degli inoculati da Covid 19. Anche perché – come scrive il quotidiano Libero – prima di Musk già Defense Advanced Research Projects Agency, cioé DARPA, avrebbe “investito decine di milioni di dollari per sviluppare dei dispositivi elettronici da impiantare nel cervello.” E dopo Musk sarebbe già pronta Science Corporation del neuroscienziato Max Hodak, fuggito da Neuralink e forte di 160milioni di dollari per finire anche lui, con la fotonica, nell’assioma cervello-computer. Tutto normale?