La “Questione Giustizia”. Analisi e prospettive da Piazza Cavour

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Al centro della cerimonia di apertura del nuovo anno giudiziario, presso la Corte Suprema di Cassazione, lo stato e l’amministrazione della giustizia, nel segno del rispetto delle prerogative di ciascun potere costituzionale.

di Antonio Calicchio

Il giorno 21 gennaio, con l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e delle Alte Cariche dello Stato – la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, la Ministra della Giustizia Marta Cartabia, il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura David Ermini, il Presidente della Corte Costituzionale Giancarlo Coraggio, l’Avvocato Generale dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli, la Presidente del Consiglio Nazionale Forense Maria Masi, il Vicario Generale del Papa per la diocesi di Roma cardinale Angelo De Donatis, ecc. – si è riunita, nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Piazza Cavour, in Roma, l’Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione, per la inaugurazione dell’anno giudiziario e per l’illustrazione della relazione del Primo Presidente Pietro Curzio sullo stato e l’amministrazione della giustizia. Stante il perdurare della emergenza epidemiologica, la cerimonia si è svolta, anche quest’anno, nel più attento rispetto dei protocolli e delle linee guida vigenti, nonché delle regole di distanziamento sociale, e con l’adozione di tutte le opportune misure di prevenzione del contagio. La cerimonia ha avuto una durata complessiva di non più di un’ora, e gli interventi dei protagonisti istituzionali, oltre al Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione Curzio, il Vice Presidente del C.S.M. Ermini, la Ministra Cartabia, il Procuratore Generale Giovanni Salvi, l’Avvocato Generale dello Stato e la Presidente del C.N.F. Masi, sono stati brevi e concisi. La copertura mediatica dell’evento è stata assicurata, quest’anno, a mezzo delle riprese da parte del servizio pubblico della RAI, trasmesse da Rai Uno, in diretta.

Dai discorsi dei relatori, caratterizzati dalla saggezza, dalla coscienza democratica, dal patrimonio di valori etici cui hanno sempre informato il loro servizio alle istituzioni, sono pervenuti indirizzi propulsivi, orientati verso una amministrazione della giustizia, finalmente, affrancata dalle sue piaghe, nel pieno rispetto delle prerogative di ciascun potere costituzionale e nella garanzia dell’indipendenza della magistratura e dell’avvocatura.

Il Primo Presidente Curzio ha restituito un quadro in chiaroscuro, tra criticità e segni di miglioramento, nel settore sia civile, che penale, nell’ottica del pensiero di Voltaire, secondo cui “l’onore dei giudici consiste, come quello degli altri uomini, nel riparare i propri errori”. Il Vice Presidente del C.S.M. Ermini, previa analisi di quanto accaduto negli anni scorsi, ha evidenziato che la presente consiliatura ha subito delle ferite dolorose, che hanno incrinato il rapporto fiduciario tra la magistratura ed il suo organo di governo autonomo e tra la magistratura ed i cittadini. Magistratura e C.S.M. – ha proseguito Ermini – hanno sofferto una crisi di credibilità agli occhi dell’opinione pubblica: ma è ai cittadini che la magistratura deve guardare e non al suo interno.
La Ministra Cartabia, nel rimarcare che, quello trascorso, è stato un anno bensì segnato da grandi sfide, ma ricco di opportunità, ha ricordato le riforme di sistema varate ed approvate dal Parlamento. Il Procuratore Generale Salvi ha precisato che l’art. 41-bis dell’ord. penit. e l’ergastolo ostativo non sono carcere duro, ma un ostacolo per impedire che i boss comandino dalla prigione. L’Avvocato Generale dello Stato non ha mancato di puntualizzare la rilevanza del processo civile telematico, pur nella necessità di regole e di piattaforme comuni. La Presidente del C.N.F. Masi ha sollevato l’esigenza di norme chiare, in vista di promuovere il superamento di ogni clima di incertezza e di stanchezza.    

L’inizio del nuovo anno giudiziario si identifica con un periodo pregno di ragioni di trepidazione per la sorte delle conquiste di civiltà e di progresso sociale del nostro Paese, connotato da eventi insoliti, per la risonanza nell’opinione pubblica, che rendono ancor più sentita la centralità del “servizio” giudiziario, che lo Stato deve rendere ai cittadini e, conseguentemente, l’essenzialità del principio costituzionale della terzietà del giudice, alla cui realizzazione sono funzionali quelli della autonomia e dell’indipendenza dello stesso da qualsiasi vincolo o condizionamento, materiale o morale, esterno o interno.

Calamandrei ebbe ad ammonire che tale indipendenza, compiuta e garantita, è anche per l’avvocatura esigenza vitale. Nella sua concezione, l’avvocatura ha bisogno di credere in essa, per poter esplicare, serenamente, il suo, non facile, ufficio: “Ove questa fiducia venga meno, l’avvocatura si corrompe e si avvilisce in intrigo di corridoi”. Un simile insegnamento rappresenta patrimonio della cultura giuridica e punto di riferimento per ogni istanza. Però, correlativamente, devono essere preservate l’indipendenza, l’autonomia e la dignità della funzione difensiva, assicurandone, in ogni circostanza, il pieno e corretto esercizio. Vanno, quindi, respinte le iniziative volte a comprimerle, a misconoscere il ruolo dell’avvocatura, affinché si compiano le condizioni indispensabili per la salvaguardia dei diritti e delle libertà dei cittadini.

Con questo spirito, si confida che, nel nuovo anno 2022, il Parlamento avvii un processo di normalizzazione dell’attività di produzione legislativa, abbandonando l’inveterato ricorso ad atti normativi, talvolta, contraddittori, assunti sulla spinta di emergenze particolari; e così, ponga la premessa per l’attuazione del principio della certezza del diritto.

Appare, inoltre, necessaria la stabilizzazione delle norme processuali penali e civili, cosicché le regole dei giudizi diventino definitive e, soprattutto, applicabili. Si rivolge alla stessa finalità l’auspicio che l’amministrazione giudiziaria disponga delle risorse umane e materiali, allo stato, assolutamente, inadeguate, per l’espletamento, in tempi accettabili, delle sue attività.

Comunque, essenziali sono la revisione dell’ordinamento giudiziario e la redistribuzione degli uffici sul territorio.

Da un lato, l’avvocatura è convinta che la propria funzione deve trovare tutela nei livelli di professionalità, di correttezza e di impegno coi quali gli avvocati garantiscono l’attuazione del diritto di difesa dei cittadini; d’altro lato, la magistratura ribadisce che uno degli assi portanti di uno Stato democratico di diritto è la propria autonomia e indipendenza, le quali, per essere realizzate – non solo nel rispetto degli altri poteri, ma anche nella propria coscienza – richiedono che l’amministrazione quotidiana delle giustizia sia ispirata a criteri di maggiore efficienza, che la durata dei processi sia ragionevole, perché la tempestività della risposta dello Stato ai cittadini che domandano giustizia costituisce l’indice del grado di civiltà di un ordinamento giuridico. Autonomia e indipendenza sono presupposti di concretizzazione dei principi di legalità, di libertà e di uguaglianza scritti nella Carta Costituzionale. Giusto processo e ragionevole durata del processo e della custodia cautelare sono condizioni primarie per soddisfare la domanda di giustizia dei cittadini. Il percorso passa attraverso varie fasi: accelerazione delle procedure concorsuali per il reclutamento dei magistrati; incisiva e razionale applicazione delle innovazioni tecnologiche al processo e all’organizzazione degli uffici giudiziari; depenalizzazione e riti alternativi; ristrutturazione, ammodernamento e costruzione di stabilimenti carcerari, per la soluzione dei problemi di sovraffollamento e di conseguente carenza di spazi di lavoro e di rieducazione. Per questo, è fondamentale che le funzioni fra i tre poteri dello Stato (esecutivo, giudiziario, legislativo) rimangano, nettamente, separate, in ossequio al principio cardine della tripartizione dei poteri, come elaborato da Montesquieu.

L’avvocatura e la magistratura sono due facce della stessa medaglia, per i loro contenuti, professionali, civili, umani, nel senso che non può darsi l’una senza l’altra, e viceversa. Ed infatti, la magistratura è chiamata a “dire il diritto”, ad applicare le norme giuridiche, calandone il contenuto, generale ed astratto, a situazioni e fatti particolari e concreti. E i fatti vanno giudicati con fedeltà al testo della norma, però, in una prospettiva complessiva che la riconduca alla logica di sistema, la armonizzi con altre norme e con altri principi, primi, fra tutti, quelli sanciti dalla Costituzione. Mentre l’esercizio della funzione difensiva esige rigore metodologico e saggezza ermeneutica. Impone di seguire i propri assistiti col prudente consiglio e la vigile diligenza nella conoscenza ed osservanza del diritto. Il ruolo dell’avvocatura è legato alla tutela dei diritti dei cittadini, tutela che passa per la coordinata interazione dell’avvocatura e della magistratura. E la collaborazione delle diverse componenti è la chiave per addivenire a quella efficiente e tempestiva amministrazione della giustizia che deve essere perseguita con ogni sforzo e determinazione.   

Richiamandosi alla Costituzione, giova rammentare che la pena deve mirare alla rieducazione del condannato. L’assunto principale è che ogni cittadino deve poter contare sulla certezza del diritto e sulla presunzione di innocenza, fino alla sentenza definitiva. Occorre superare lentezze e ritardi, soprattutto, per quanto concerne la durata dei processi e della custodia cautelare, intesa, questa, spesso, come, già, condanna. Nel 451 a.C., la Lex XII tabularum non consentiva che il civis potesse essere condannato, qualora la sentenza non fosse approvata dai Comitia Centuriata.

Ogni detenuto costa 300 euro al giorno. I detenuti sono 55 mila, per un totale di 16.500.000 euro al giorno. Ogni anno: è arduo fare la moltiplicazione! Un rotolo di carta igienica deve bastare due settimane. Dei 55 mila detenuti, 25 mila sono in custodia cautelare, presunti innocenti! Moltissimi sono riconosciuti tali alla fine del processo, con dispendio di altri milioni di euro, per riparazione all’ingiusta detenzione. I detenuti non devono oziare in carcere, anni, senza potersi redimere, altrimenti chi è delinquente, peggiora e chi non è, lo diviene! E’ lecito chiedersi: cui bono?, diceva Cicerone, cioè, a chi giova il dispendio di tanti milioni? Frattanto, è dato un esiguo compenso ai Servitori dello Stato, che, ogni giorno, rischiano la vita! E quel compenso è propagandato come “epica” impresa. Quale vanto? Il Re Hammurapi, nel 2000 a.C., avrebbe avuto vergogna di “vantarsi”! Ma, in ogni caso, nessuno potrà privare mai alcuna persona del pensiero e della dignità umana, soprattutto, nella culla del diritto, di quel diritto che fu, per la prima volta, nella storia della umanità, “scientificamente” elaborato, a Roma. Altri popoli antichi hanno avuto un diritto, non, però, un diritto, come quello romano, elevato a dignità di scienza, che ebbe una durata di oltre 1300 anni, ossia dalle origini della città di Roma (754 a.C.) a Giustiniano (565 d.C.).

Ond’è che nella avvenuta formulazione scientifica è da scorgere la ragione prima della vitalità del diritto romano, avendo quella formulazione consentito l’adattamento del sistema, creato dai giuristi romani, nei suoi connotati e nei suoi schemi di base, a tipi di società diversi da quella romana. Nulla sopravvive degli altri sistemi giuridici dell’antichità classica. Ed invece, il diritto romano ha goduto una seconda vita durante il medioevo e l’età moderna, sino ai nostri giorni. E’ nel diritto romano che risiede la matrice degli attuali sistemi dei Paesi dell’Europa continentale, dei Paesi dell’America Latina, per il tramite di Spagna e di Portogallo, e di altri ancora, come Sud Africa, Giappone, ecc.        

Buon Anno Giudiziario.