LA PORTA ALCHEMICA DI PIAZZA VITTORIO

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porta alchemica

 A ROMA TRA FASCINO E MISTERO

Roma è una città misteriosa, fatta di presenze e di essenze, che si materializzano in opere che sfidano i secoli. Una di queste è la cosiddetta Porta Magica che si trova a piazza Vittorio, nel quartiere Esquilino, unico monumento alchemico della Città Eterna. Essa è una delle cinque porte che contornavano Villa Palombara, edificata intorno al 1680 dove anticamente sorgeva quella di Mecenate, da Massimiliano Savelli Palombara, marchese di Pietraforte, che praticava l’antica arte dell’alchimia che ha come fine la trasmutazione dei metalli vili in oro. Il nobile apparteneva alla società segreta dei Rosacroce, fondata da un occultista medievale tedesco, Christian Rosenkreuz.

I Rosacroce avevano come simbolo una rosa mistica che riportava il motto: “DAT ROSA MEL APIBUS”, ossia la Rosa (la dottrina) dà il miele (della conoscenza) alle api (gli iniziati). La passione del marchese per l’alchimia la condivideva con la sua amica, la regina Cristina di Svezia che visse a Roma dopo essersi convertita al cristianesimo. La regina ebbe come precettore addirittura il famoso matematico Cartesio a dimostrazione come allora scienze esatte e non, si compenetrassero. Basti osservare che anche Isacco Newton, il fondatore della fisica, era un appassionato alchimista. Le riunioni occulte avvenivano a palazzo Riario che esiste ancora ed è noto come Palazzo Corsini ed è la sede della prestigiosa Accademia dei Lincei, presso il Gianicolo.

La leggenda vuole che in una notte buia e tempestosa il marchese Palombara ospitasse un viandante, Francesco Giuseppe Borri, noto alchimista. In quella misteriosa notte avvenne il miracolo della trasmutazione in oro che fu compiuta grazie alla proprietà di una strana erba biancastra e dalle foglie filiformi raccolta nel giardino della villa. Il Borri passò tutta la notte nel laboratorio alchemico da cui furono visti sprigionarsi fulmini e fumo, mentre la luna piena donava i suoi freddi raggi all’Opera. All’alba il Borri uscì quasi in uno stato ipnotico nel giardino per poi scomparire proprio attraverso la porta, non prima però di lasciare per terra un po’ d’oro e uno strano cartiglio riempito di simboli e motti. Il marchese Palombara ritenne che i simboli fossero una sorte di codice ermetico per indicare il procedimento della trasmutazione tramite la Pietra filosofale. Non riuscendo a decifrarli pensò di farli scolpire direttamente sulla porta da cui era svanito il suo ospite in maniera che magari in futuro qualcuno fosse riuscito a scoprirne l’arcano significato. Il Borri ebbe una vita avventurosa –si disse che fosse anche il Conte di Saint – Germain- e problemi con la Santa Inquisizione. La villa fu poi distrutta nel 1883 con il nuovo piano regolatore dei Savoia per Roma Capitale e si salvò solo la famosa porta che venne collocata a piazza Vittorio.

Ma veniamo alla descrizione della porta alchemica.
Essa è attualmente murata e costituiva l’entrata del laboratorio alchemico. Ai suoi lati ci sono due idoli nella forma di due statue egizie (posti successivamente) che rappresentano i cosiddetti “guardiani di Soglia”. Sopra l’architrave c’è un grosso cerchio che contiene la stella di David ed una Croce. Sullo stipite stesso e sull’architrave sono incisi i simboli dei sei pianeti (e della monade nello stipite inferiore) con i metalli corrispondenti, il tutto correlato da nove scritte in latino ed una in ebraico (secondo la dottrina della Kabbalah).

porta alchemica
Porta Alchemica

Vediamo alcune tra le più interessanti.
Sull’architrave, sotto il cerchio, c’è quella più nota, scritta in ebraico:

םיהלא חורe che si legge RUAH ELOHIM e cioè LO SPIRITO DI DIO che sovrintende all’Opera.

Subito sotto campeggia in latino: HORTI MAGICI INGRESSVM HESPERIVS CVSTODIT DRACO ET SINE ALCIDE COLCHICAS DELICIAS NON GVSTASSET IASON e cioè: Il drago esperio custodisce l’ingresso del giardino magico e, privo di Ercole, Giasone non potrebbe gustare le delizie della Colchide.

E poi ancora: AZOT ET IGNIS DEALBANDO LATONAM VENIET SINE VESTE DIANA Azoto e Fuoco: sbiancando Latona, verrà Diana senza veste.

Il linguaggio volutamente criptico ed iniziatico era utilizzato apposta per confondere. I motti con riferimenti a personaggi mitologici che rappresentano i metalli, si riferiscono allegoricamente a varie fasi del procedimento alchemico per compiere la Grande Opera e cioè ottenere l’oro dal piombo attraverso le quattro fasi: la Nigredo o annerimento, l’Albedo o sbiancamento, La Citrinitaso imbiondimento e la Rubedo o arrosamento. Il tempo passa, ma la Porta Alchemica resta a sfidare enigmatica i secoli in attesa che qualcuno riesca a decifrarla.

a cura di Giuseppe Vatinno