IL TRIANGOLO COME UNITÀ MINIMA DI OSSERVAZIONE

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Dare un significato ad un comportamento di un individuo osservando solo lui, o tutt’al più osservandolo solo nel rapporto duale con un altro (per es. con noi), tralasciando di considerare tutto il resto del contesto di relazioni in cui ci si trova, è altamente riduttivo e spesso fuorviante, non permettendoci di cogliere la complessità dei fenomeni osservati.

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Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta

Ci può indurre in gravi errori nella lettura che diamo del comportamento altrui. Per arricchire il significato da dare a ciò che accade ad un individuo o nella relazione tra noi e lui è necessario ragionare almeno in termini di triangoli, cioè considerando ciò che accade tra due persone come “un qualcosa che ne potrebbe riguardare almeno tre”. Non sempre è così naturalmente, ma questo atteggiamento mentale se applicato di routine ci può aiutare ad evitare equivoci ed incomprensioni.

 

 

Facciamo un esempio: un nostro amico è improvvisamente “aggressivo” con noi: comincia a fare battute taglienti, a farci critiche, ad usare un tono di voce “secco”, tutti atteggiamenti che prima con noi non aveva. Possiamo allora fare diverse considerazioni per dare un significato a ciò: possiamo pensare che sia nervoso per motivi tutti suoi che nulla hanno a che vedere con noi e che semplicemente “scarichi” su di noi le sue tensioni interne; oppure possiamo pensare che i suoi modi aggressivi hanno a che fare proprio con noi e che sia accaduto qualcosa tra noi due che lo abbia disturbato e di cui non parla apertamente, agendo la sua ostilità verso di noi con questi modi indiretti.
Solitamente la maggior parte delle persone si ferma a questi due tipi di considerazioni, ma c’è un terzo livello, più ampio, che si potrebbe prendere in considerazione, pensando che quello che sta accadendo nella nostra relazione a due riguardi anche un’altra persona: per esempio potrebbe essere accaduto che – vado di fantasia – noi ci siamo comportati male con una persona a cui il nostro amico era legato affettivamente e che per un “senso di lealtà” verso questa persona allora adesso lui senta che deve esserci ostile “prendendo le parti” dell’amico a cui noi abbiamo fatto un torto.

C’è da sottolineare il fatto interessante che il nostro amico che ora ci è ostile non è detto che sappia perché sente improvvisamente rabbia per noi: il “conflitto di lealtà” che è sorto in lui cioè può essere totalmente inconscio. Questo fenomeno è stato studiato nelle relazioni familiari dove si può riscontrare che un figlio “attacchi” solo un genitore, senza che la sua rabbia sia giustificata da problemi nel rapporto con quel genitore. Per capire il senso di tale comportamento si rende necessario allora ampliare il campo di osservazione fino ad includervi per esempio la coppia genitoriale ed il triangolo (padre-madre-figlio). Potrebbe capitare cioè che il figlio prenda le parti di un genitore contro un altro: il massimo di tensioni e di aggressività del figlio verso un genitore (nella sua testa quello che pensa essere la vittima) si ha quando tra i genitori il conflitto è celato e non agito. In tal caso il figlio esprime la rabbia e la tensione implicita che percepisce in famiglia “scagliandosi” contro il genitore che ai suoi occhi è “il carnefice” ed agendo per conto dell’altro la rabbia che questi non si permette di fare uscire. Il “vero” conflitto (più o meno nascosto) cioè non è tra genitore e figlio, ma tra coniugi.

Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta
Psicoterapie individuali, di coppia e familiari

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