Aurelia Hospital, Bruna: «Papà Alberto vive nella solitudine»

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L’ODISSEA DI BRUNA E DI TUTTI I FAMILIARI CHE POSSONO ACCEDERE ALL’AURELIA HOSPITAL CON IL CONTAGOCCE NEL SILENZIO DELLA DIREZIONE SANITARIA.

«Papà vive nella solitudine: possiamo vederlo soltanto il martedì e il venerdì». Ha fatto discutere e molto il caso sollevato da Bruna Bartolini, residente di Ladispoli, resasi protagonista di una protesta legittima. Da giorni, anzi da settimane, si è posizionata sotto le finestre del reparto di ortopedia dell’Aurelia Hospital dove è ricoverato il padre Alberto. La direzione sanitaria è stata chiarissima: si può accedere solo due volte alla settimana nella struttura, con tanto di Green pass rafforzato, certificato del tampone negativo e mascherina Ffp2 nonostante le normative nazionali sul fronte Covid attualmente siano meno rigide rispetto al passato lasciando la libera scelta appunto agli ospedali. Di conseguenza le porte delle corsie sono aperte solo con tempi strettissimi. Eppure è noto come la presenza dei parenti sia un aiuto forte, a volte decisivo, per la cura di un malato.

All’Aurelia Hospital di Roma però può entrare un solo congiunto, per non più di 10 minuti al giorno, a volte neanche tutti i giorni. Sono vincoli che non hanno più ragione d’essere alla luce dei dati, con la pandemia in regressione e soprattutto con la legge di riferimento alla mano. L’uomo, 81enne di Ladispoli, è ricoverato dal 18 gennaio scorso. È stato sottoposto ad un intervento chirurgico al ginocchio ma il quadro clinico non è dei migliori perché per via di un batterio dovrà rimanere allettato probabilmente ancora per parecchio.

Le visite dei familiari avvengono però col contagocce
«Sono iniziate dopo la prima settimana dal ricovero di mio padre – parla sempre la figlia – e occorre inviare una mail in reparto e solo dopo l’approvazione e con l’orario stabilito, Green pass valido alla mano, tampone negativo e mascherina Fpp2, si può accedere». Nel reparto di ortopedia non c’è nemmeno il televisore a far compagnia ai poveri degenti. «Un uomo di 81 anni come mio padre – critica – è in completo abbandono psicologico senza sostegno della sua famiglia con annesse difficoltà a chiamare ed effettuare videochiamate».

Un disagio dietro l’altro. «A volte lo chiamiamo – racconta Bruna – e lui ci dice che suona il campanello ma non arriva nessuno allora non ci resta che chiamare il reparto chiedendo se qualcuno può andare in quella stanza». Più volte il signor Alberto ha raccontato di sentirsi solo. «Dal punto di vista psicologico è una violenza – sostiene la figlia -, quanto può reggere circondato da sconosciuti che passano per mettergli flebo e dargli pasticche e basta? Dove sono i diritti del malato? Quando mia madre, parlando con il chirurgo che ha operato papà, gli ha detto che nessuno lo faceva sedere sul letto e alzare, lui le ha risposto che la fisioterapia avrebbe già dovuto iniziarla da giorni».

Alberto non può ancora camminare e non riesce nemmeno ad avvicinarsi alla finestra ad un metro per vedere la moglie e la figlia di sotto nel parcheggio dell’ospedale, pagato per altro profumatamente. È lì che tutti i giorni si piazzano sotto la stessa finestra. L’altra mattina, solo con il prezioso aiuto di alcune infermiere, il nonno è riuscito ad affacciarsi per salutare tutti i suoi nipotini che tenevano in mano i palloncini per sorprenderlo. Tanta commozione.

«Tornerò ancora – promette Bruna – e poi ancora con tutti e sette i suoi nipotini che gli hanno preparato dei disegni e delle lettere e ci saranno anche le mie due sorelle. Staremo lì sotto la sua finestra per fargli sapere che lo aspettiamo di fuori. Mia madre l’ha visto solo 4 volte su 17 giorni: è davvero una situazione assurda. Perché non ci permettono di accudirlo e sostenerlo dal punto di vista psicologico visto che le persone anziane si dissociano con estrema facilità?».

La famiglia Bartolini si è messa in moto contattando un legale.
«La norma dell’ospedale è illegittima come ci ha detto l’avvocato. Secondo l’articolo di legge, già a decorrere dal 10 marzo scorso si dovrebbe garantire l’accesso ai parenti del malato non meno di 45 minuti giornalieri». Cosa che puntualmente non avviene perché i cittadini devono sottostare a questo rigido, e a questo punto, inspiegabile provvedimento interno. Che fa molto male sia ai pazienti che alle famiglie. E come Bruna ci sono tante altre persone che si trovano nella stessa identica situazione.

IL SILENZIO DELLA DIREZIONE
Contattata sul caso anche attraverso una formale mail, nessun commento da parte di chi prende le decisioni nell’ospedale.