Il robot tra storia, diritto e processo

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di Antonio Calicchio

Da secoli, l’uomo nutre l’ambizione di imitare l’atto divino della creazione, ambizione che, oggi, è sfociata proprio nella fabbricazione dei robot, complessi e raffinati, e che, in passato, ha condotto alla costruzione degli automi, artefatti antropomorfi o zoomorfi che, animati da un meccanismo celato al loro interno, imitavano i movimenti degli esseri umani.

La fantastica parabola di questa avventura procede per epoche che corrispondono ai costruttori di automi: Ctesibio ed Erone il Vecchio nel mondo alessandrino, i figli di Musà e il sommo al-Jazari all’acme della civiltà araba, la progressiva fioritura di quest’arte nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento europeo, culminata nel mondo degli artigiani di Augusta e di Norimberga, fino al secolo dei lumi, con le anatomies mouvantes di Vaucanson e le bambole perfette dei Jaquet-Droz. Accanto ai Golem, alle teste parlanti, ai prodigi e ai mostri delle leggende e della letteratura, gli automi sono, dunque, i protagonisti di una storia affascinante e, a un tempo, tenebrosa di meccanica onirica in cui magia ed occultismo si intersecano con inventiva, con la volontà di stupire e con la curiosità per i segreti del creato. Leonardo da Vinci, osservatore della natura e costruttore di dispositivi che da essa spesso traevano ispirazione, dette un rilevante contributo anche alla storia degli automi. Muovendo dallo studio dell’anatomia e della fisiologia del corpo umano, che reputava una macchina meravigliosa, intorno al 1495, avviò la progettazione di un Automa Cavaliere, un androide che – probabilmente – era destinato a stupire la corte di Ludovico il Moro e ad animare le feste che vi si tenevano, sebbene non esistano conferme che Leonardo lo costruisse realmente. Lo storico dell’arte Carlo Pedretti identificò, nel 1957, i disegni dell’automa, nei fogli del Codice Atlantico, i quali disegni consentirono al robotista statunitense Mark E. Rosheim di costruire, nel 2002, il primo modello, completo e funzionante, del Cavaliere. Nel 2007, lo storico della scienza Mario Taddei costruì un prototipo migliorato e funzionante. Il Cavaliere è in grado di effettuare numerosi movimenti, sulla base dell’analogia fra uomo e macchina da Leonardo ripetutamente sottolineata. Il modello di Rosheim è realizzato in legno di olmo e di noce per le strutture portanti, in legni più leggeri, pelle e metallo per i riempimenti; comprende, inoltre, cavi per simulare i tendini, pulegge per comandare i movimenti superiori e un sistema di manovelle esterne per i movimenti delle gambe. Oggi, in diversi musei del mondo, sono esposte repliche dell’Automa Cavaliere. Benché – spesso – lo si chiami “Robot di Leonardo”, tuttavia si tratta di un anacronismo: il termine “robot” venne introdotto da Karel Capek, nel 1920, nel suo dramma R.U.R., e, oggi, per robot si intende un congegno costituito da un corpo artificiale animato da una intelligenza altrettanto artificiale. Anche se il Cavaliere, rivestito dalla sua armatura, sia il suo automa più celebre, nondimeno a Leonardo sono stati attribuiti altri progetti analoghi, fra cui – ad avviso di Vasari – anche un automa-leone di cui, però, sono assenti testimonianze dirette. Lo scrittore Isaac Asimov, agli inizi degli anni Quaranta del secolo scorso, formulò le prime leggi della robotica che sono state aggiornate da una ricerca coordinata dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore S. Anna, a Pisa. Le leggi ideate da Asimov sono tre: la prima, stabilisce che un robot non può recare danno ad un essere umano, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno; la seconda, prevede che i robot debbano ubbidire agli ordini impartiti dagli esseri umani, a condizione che siffatti ordini non contravvengano alla prima legge; ed infine, un robot deve proteggere la propria esistenza, sempreché questa autodifesa non si ponga in contrasto con la prima o con la seconda legge.

La presenza dei robot nei luoghi di lavoro, per le strade e anche nelle case ha sollevato la questione del rapporto tra robot e diritto che, peraltro, sta assumendo, negli ultimi tempi, sempre maggiore rilevanza. La crescente diffusione delle intelligenze artificiali e delle pratiche negoziali c.d. “intelligenti” ha aperto nuovi orizzonti di riflessione anche giuridica, nell’ambito non solamente processuale, ma anche sostanziale.

Sotto il primo profilo, rileva particolarmente il tema della decisione robotica. Il dibattito intorno alla decisione giudiziale robotica si è sviluppato guardando, per un verso, alle potenzialità positive e, per l’altro, ai suoi limiti e inconvenienti. Le potenzialità positive attengono alla calcolabilità giuridica e alla prevedibilità delle decisioni giudiziarie. La decisione robotica, in senso sia radicale (quella del giudice robot), sia minimale (quella del robot di ausilio alla decisione del giudice uomo), appare rispondente, forse più della decisione tradizionale, all’esigenza socio-economica della certezza del diritto e della prevedibilità e uniformità delle pronunce giudiziarie. Gli inconvenienti vengono individuati nell’apparente impossibilità del robot di sostituire il giudice uomo nell’attività interpretativa di norme indeterminate e di clausole generali, e nella formulazione di giudizi di valore sulle fattispecie portate alla sua attenzione, nonché nella problematica applicabilità, alla giurisdizione robotica, delle garanzie riconosciute dalla Costituzione all’ordine giudiziario e degli altri principi costituzionali in materia di giurisdizione. L’esigenza di tutelare la terzietà e l’imparzialità del giudicante pone, ad es., il problema della individuazione del soggetto che deve occuparsi dell’elaborazione dell’algoritmo impostato per la decisione, nonché del processo su cui tale elaborazione è fondata. La necessità di rispetto del contraddittorio pone il problema di come vada motivata una decisione robotica per consentirne il controllo da parte del giudice superiore. La verosimile immutabilità della decisione in mancanza di una variazione delle condizioni algoritmiche induce ad interrogarsi sul senso stesso di provocarne il sindacato mediante l’impugnazione.

Sotto il profilo sostanziale, rileva particolarmente, per la crescente diffusione nelle relazioni socio-economiche, la tematica delle decisioni negoziali assunte attraverso i c.d. smart contract. Gli smart contract (contratti intelligenti) sono scritti su codici software e attestati su una blockchain. Il codice contiene la trasposizione della volontà contrattuale delle parti. Esso viene letto e interpretato, in via immediata, dalla macchina su cui il programma va in esecuzione la quale ne determina l’automatica e l’irrevocabile esecuzione. La tecnologia blockchain è basata sul sistema if this than that: al verificarsi di una condizione, si determina ineluttabilmente (automaticamente e irrevocabilmente) la sua conseguenza. Nella realtà socio-economica, la sfera di applicazione dei contratti intelligenti si va facendo sempre più ampia: dalle registrazioni fiscali agli acquisti immobiliari, dai giochi e dalle scommesse on line ai contratti bancari e finanziari. I problemi riguardano la compatibilità con la disciplina positiva sui requisiti costitutivi del contratto, l’applicabilità delle regole che ne disciplinano i momenti patologici sul piano genetico e funzionale, l’operatività dei precetti in tema di interpretazione e integrazione. L’uso del linguaggio della programmazione informatica interroga l’interprete sul momento della perfezione dell’accordo contrattuale e sulla soddisfazione dei requisiti di forma eventualmente richiesti dalla legge. Il fatto che la lettura del codice software implichi l’utilizzo di algoritmi pone il problema se essi rientrino nell’oggetto del contratto, se debbano formare oggetto di specifica contrattazione o possano essere eterodeterminati, e se il soggetto terzo che opera tale determinazione assuma la qualità di arbitratore. Il funzionamento degli smart contract come programmi informatici e la loro capacità di autoeseguirsi crea il problema della configurabilità stessa di una fase esecutiva del negozio separata da quella conclusiva, nonché delle modalità con cui può emergere una fattispecie di inesatto adempimento e di responsabilità contrattuale. A tal fine, è stato, di recente, organizzato un convegno, sul tema, presso la Corte Suprema di Cassazione, a Roma, finalizzato all’esame degli aspetti di carattere processuale, ai profili dell’etica dell’applicazione dell’intelligenza artificiale al sistema giudiziario e all’analisi delle problematiche di natura sostanziale, con relazioni anche di ordine tecnico-scientifico sulle machinae autonome e i robot, sulla calcolabilità giuridica e sulla tecnologia dei contratti intelligenti scritti su codici software e attestati su una blockchain. La giurisprudenza, tanto dottrinale, quanto giudiziaria, quindi, non può, ormai, tralasciare di esplorare gli orizzonti di riflessione sopra delineati. Formalmente, nel nostro sistema, la giurisprudenza non è fonte del diritto in quanto il diritto è essenzialmente scritto e di produzione statale (o parastatale). Tuttavia, di fatto, essa riveste notevole importanza nella determinazione del diritto effettivamente vigente in un determinato momento storico perché le linee dell’interpretazione giurisprudenziale sono quelle attraverso le quali la legge viene attuata e fatta vivere al di là della sua formulazione astratta.