Il magistero del pontefice tra il “sociale” e l’“etica ternaria”

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Come allacciare mente e cuore e come conferire un’anima agli interventi sociali, pubblici, umanitari, economici nel tempo attuale, anche sulla scorta del principio etico per cui chi rispetta l’altro rispetta se stesso?

di Antonio Calicchio

Le parole del pontefice vengono ascoltate, da molti, con partecipazione riconoscente, e, da altri, con attenzione critica, a causa dei suoi interventi di natura “sociale”, in merito, cioè alla povertà, alla “ingiustizia”, alla disuguaglianza, al covid, ai vaccini, alla immigrazione, alla carità; peraltro, insistendo nel sottolineare che tali interventi, legittimi in sé e per sé, starebbero bene sulle labbra di qualsiasi personalità internazionale, senza, però, comprenderne la origine propriamente “cristiana”.

Un discorso su Cristo sintetizzerebbe tutti quanti gli argomenti sociali, dando maggior sostegno ai credenti. Per quanto possano ritrovarsi anche le migliori intenzioni in simili considerazioni, con il loro presunto realismo, tuttavia, occorre rilevarne l’intima agghiacciante freddezza. Ed infatti, gli interventi del pontefice, relativamente al “sociale”, si traducono, in sostanza, nella esigenza di far comprendere che, possedere il senso della fratellanza, è bensì necessario, ma non sufficiente, essendo indispensabile, invece, dare, ad esso, una “struttura di azione”. Pertanto, la questione, nell’ambito dell’odierna società, non è quella di indicare al papa qual è – o dovrebbe essere – il suo Magistero, che egli, comunque, conosce benissimo, ma è l’intreccio di dinamiche sociali e dinamiche etiche. E quella che viene definita “secolarizzazione” non riguarda unicamente il diffondersi dell’agnosticismo, dell’ateismo, dell’anticlericalismo, ma si sostanzia, inoltre, nel non percepire più, come sarebbe necessario, che operare a favore del sociale rappresenta un elemento centrale del cristianesimo e della “identità umana” dell’individuo. In ogni intervento del pontefice, che affronta tematiche di ordine sociale, siffatta dimensione emerge sempre chiaramente. Mentre negli interventi di altre pubbliche autorità, anche apprezzabili, rimane la sensazione di ascoltare dissertazioni “scritte a tavolino”, sebbene coi più limpidi propositi.

In altri termini, questo è – e permane – il problema fondamentale della nostra epoca, vale a dire quello di allacciare mente e cuore, dando un’anima agli interventi sociali, pubblici, umanitari, economici, ecc., di cui la società odierna ha bisogno. Il papa riesce a farci capire tutto questo, mentre altre autorità istituzionali – nazionali o internazionali – riescono meno, con tutto il rispetto di cui sono meritevoli. E, in relazione a questo aspetto, appare utile riflettere, al di là di qualunque personale credo religioso o posizione ideologica, anche alla luce della “etica ternaria” di Ricoeur. Di fronte all’ “altro” dell’amicizia, vale la “sollecitudine”, così come la si vive nei rapporti diretti, vis à vis. In questo caso, valgono la com – passione o l’attenzione per il più fragile e la reciprocità dell’amicizia. Però, vi è anche un ulteriore profilo sotto il quale deve considerarsi l’altro; è quello del ciascuno o del “chiunque”: chiunque si trovi in una certa condizione e debba essere trattato con giustizia, ovverosia come tutti gli altri.

Quando si emanano le norme giuridiche e quando si è chiamati ad applicarle, quando si giudicano gli imputati in un processo e i candidati in un concorso, va tenuto conto delle persone umane come ugualmente portatrici di diritti e di doveri. Nel contempo, puntualizza Ricoeur, non si separano i due momenti dell’alterità poiché l’etica implica che ci si impegni tanto nella cura, diretta e personale, dell’altro, quanto in quella delle “istituzioni”, che sono a servizio di tutti. La premessa di questi due, distinti e collegati, rapporti di “cura” verso l’altro, in quanto “amico” e in quanto “soggetto di diritto”, è data dalla “cura di sé”, come soggetto degno di autostima, come capace di agire intenzionalmente, anche secondo ragione e criterio, e non solamente secondo istinto ed interesse personale o di gruppo. Coloro che non si stimano come liberi o si sopravvalutano, come potenti o competenti, possono cadere vittima di altri (bullismo, mafie), nonché dell’indifferentismo nei confronti delle istituzioni e del bene comune.

Cura di sé, cura dell’altro, cura delle istituzioni: questa è l’intelaiatura dell’ “etica ternaria”, volta ad ordinare i rapporti umani e ad impedire confusioni tra “pubblico” e “privato”. L’altro non è soltanto il diverso da noi, ma l’altro siamo anche noi. Se si è fedeli e leali nelle relazioni di aiuto, se si osservano le norme e si cerca di coadiuvare le istituzioni ad essere giuste, allora si lavora pure per se stessi e per i propri amici.