Emanuela Orlandi, una tesi sconvolgente

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La giornalista Anna Maria Turi ci racconta l’esito delle sue assidue ricerche sul rapimento della studentessa. Se confermate, sarebbero agghiaccianti

di Giovanni Zucconi

Ritorniamo a quel 22 giugno 1983. Quasi 36 anni fa. Lo facciamo perché ci sono importanti novità e perché la nostra inchiesta ha ottenuto un successo inatteso di contatti sul web. La storia è nota, una ragazza quella sera non tornò a casa. Era Emanuela Orlandi, una studentessa di 15 anni, cittadina vaticana e figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia. Era l’inizio di uno dei casi più oscuri della Storia italiana e del Vaticano. Di volta in volta furono coinvolti lo Stato Vaticano, lo Stato Italiano, lo IOR, i servizi segreti di mezzo mondo, Solidarnosc, i Lupi Grigi, Alì Agca, la Camorra, la Mafia, il Banco Ambrosiano. Molte, troppe, le piste che furono battute, inutilmente, da inquirenti, giornalisti o investigatori dilettanti. Ancora oggi, dopo 36 anni, la verità ancora non la conosciamo. Il rapimento di Emanuela Orlandi è uno di quei misteri che sembrano fatti apposta per alimentare le ipotesi più disparate. E proprio per questo che la nebbia, alimentata da congetture, depistaggi e ipotesi fantasiose, è ancora lì, impenetrabile e, se possibile, ancora più fitta. Per cercare di capire meglio cosa fosse successo, l’anno scorso abbiamo intervistato suo fratello, Pietro Orlandi. Ma nessuna delle numerose piste risultò privilegiata rispetto alle altre.

Pietro Orlandi

Ad una precisa domanda, Pietro Orlandi rispose: “E’ molto difficile rispondere. Le assicuro che io non ne ho mai scartata nessuna. Perché in ogni pista trovi qualcosa di vero.”. L’unica cosa certa, secondo il fratello di Emanuela, è che in Vaticano la verità la conoscono, ma non vogliono rivelarla. Dopo un anno, e dopo nuovi colpi di scena, che però non hanno portato nessun contributo alla verità, come il ritrovamento di ossa sotto un pavimento della Nunziatura apostolica in Italia, immediatamente, ma erroneamente, ricollegate al caso Orlandi, riprendiamo il tema con una nuova intervista. Questa volta intervistiamo Anna Maria Turi, una giornalista che abita a Barbarano Romano, e che da almeno 20 anni si occupa del caso Orlandi, battendo una sua pista molto interessante. Oltre a numerosi articoli, la Turi ha scritto due libri su Emanuela. Tre, se si considerano le pagine che trattano del suo caso nel libro intervista ad Ali Agca. L’ultimo, che vi consiglio di leggere se si vuole veramente capire l’interessante tesi della giornalista, e verificare tutta la documentazione a sostegno, si intitola: “Emanuela nelle braccia dell’Islam? Sufismo e Jihad della donna dai mille volti”, edito da Edizioni Segno. Sono consapevole che la sua tesi non è di facile accoglimento da parte di chi la sente per la prima volta. Soprattutto se viene sintetizzata, come saremo costretti a fare noi, e non raccontata in modo esaustivo come accade nel libro. Per questo voglio prima raccontare chi è Anna Maria Turi.

La scrittrice Anna Maria Turi con Papa Francesco

Una giornalista e scrittrice che ha alle spalle una produzione di articoli e di libri estremamente numerosa e di altissimo livello. Ha scritto per più di venti anni nei vari settimanali della Rizzoli. È stata giornalista del quotidiano “Il Tempo” per 11 Direttori. Ha intervistato Ali Agca nel carcere di Ancona, e ha scritto un suo libro di memorie: “La mia verità”. Durante il pontificato di Papa Woytila, fu pregata dal suo entourage di andare nella Cecoslovacchia comunista per realizzare, in modo clandestino, una serie di articoli sulla cosiddetta “Chiesa del silenzio”. E dove intervistò, tra mille avventure alla 007, anche Alexander Dubcek. I suoi articoli di quel periodo, trasmessi anche dalla radio vaticana, secondo un prelato vicino a Papa Woytila, “contribuirono alla liberazione della Cecoslovacchia”. Stiamo quindi parlando di una giornalista di razza, e di una professionista di altissimo livello. Quale è la sua tesi, sinteticamente, sul rapimento di Emanuela Orlandi? Che Emanuela è ancora viva in qualche paese del nord Africa. Probabilmente in Marocco. Dove è diventata una politica attiva, militante di un partito di governo. Ma non è tutto. Emanuela ha subìto un lungo percorso all’interno di una confraternita islamica, che l’ha portata a convertirsi, e a diventare una dirigente della Jihad, coordinatrice di gruppi terroristici in Europa. Come è arrivata Emanuela Orlandi nei paesi Musulmani? Semplice. Ce l’ha spedita il Vaticano, con la complicità dei servizi segreti italiani, per coprire un possibile scandalo di natura sessuale. Questo in sintesi. Colpiti vero? Ve lo avevo detto che la sua tesi fa un certo effetto la prima volta che la si sente. Ma, leggere il suo libro per credere, non è una tesi basata sul nulla. È una ricostruzione basata su notizie ricevute da “informatori” che collaborano con diversi servizi segreti, e su indagini condotte sul campo durante 12 avventurosi (e pericolosi) viaggi compiuti in vari paesi nordafricani e in Turchia. Come dice la Turi nell’intervista “…di ogni informazione ho verificato la verità, quando possibile, o almeno la veridicità”. È una tesi frutto di un’indagine giornalistica degna di uno 007, e svolta, da una donna, in paesi islamici dove per una signora, per di più occidentale e cristiana, non è certo facile muoversi. Fatta questa lunga premessa, non ci resta che leggere la lunga intervista che ci ha concesso Anna Maria Turi.

Inizierei questa intervista osservando che, quando inizi ad occuparti del caso Orlandi, scopri che sono state formulate, da un numero inaspettato di soggetti, tantissime ipotesi e relativi scenari complottistici. A leggerle, sembrerebbe che tutto il modo sia coinvolto: Vaticano, Lupi Grigi, servizi segreti di mezzo mondo, Mafia, la Banda della Magliana, e chi più ne ha, più ne metta. Lei, nel suo libro, ha raccontato un’altra verità, e fatto altre ipotesi. La prima domanda è: perché la sua ipotesi dovrebbe essere più affidabile delle altre decine di piste che sono state formulate in questi anni?

“Sul caso Orlandi, oltre gli inquirenti e i giornalisti, si sono cimentati anche migliaia di dilettanti. Perché la mia pista può essere preferibile rispetto alle altre? Perché tutti quelli che hanno seguito questo caso, anche i giornalisti più seri, hanno sempre lavorato seduti davanti la loro scrivania. Lavorando solo su indizi, e su ipotesi tutte da dimostrare. Soprattutto non hanno mai cercato una fonte di notizie autorevole. Che, per la natura della vicenda di Emanuela, doveva necessariamente appartenere ad una fonte occulta: ad un servizio segreto, ad un’intelligence.”

Le lo ha fatto?

“Si. L’ho fatto. Tra le altre cose, in quegli anni, io ero l’unico giornalista a cui il Ministero aveva dato un permesso di incontrare Alì Agca, senza limiti di tempo, nel carcere di Ancona.”

Che cosa le ha detto Alì Agca su Emanuela Orlandi?

“Lui ha detto molte cose, non solo a me. Ma io l’ho decodificato in modo diverso dagli altri. Lui diceva che era viva, e che viveva in una comunità religiosa. Anche i magistrati inquirenti pensavano ad una comunità cattolica. Ma lui alludeva ad una comunità religiosa islamica.”

È partita a seguire quella traccia?

“Ancora non avevo informazioni sufficienti per seguirla. In quei giorni sono anche entrata in contatto, segnalato da un mio informatore, con un Canadese che aveva avuto rapporti con il Vaticano. Gli faccio delle domande, ma lui mi dice che il caso Orlandi è un caso tabù. Mi dice di non occuparmene più, perché altrimenti avrei rischiato la vita.”

Perché un caso tabù?

“Perché era un caso che riguardava il Vaticano.”

Fino a quel momento nessuno aveva associato il caso Orlandi al Vaticano?

“No. Ma io allora non pubblicai nulla su questo argomento. Era l’anno 1997. Naturalmente non mi sono arresa e sono andata avanti.”

Come è andata avanti nelle indagini?

“Qualche tempo dopo, in una circostanza dove c’erano molti giornalisti, ho conosciuto un personaggio, che poi ho scoperto fare parte di quel mondo che ha contatti con le intelligence internazionali, e che presta loro collaborazioni e informazioni. Gli ho chiesto se poteva aiutarmi a seguire una mia pista. Lui, dopo un po’ di tempo, mi fornisce una lista di nomi legati al caso del rapimento di Emanuela Orlandi. (La lista completa la si può leggere nel libro). Io mi trovo davanti questi nomi, anche importanti. Ci trovo anche nomi legati al Vaticano. Alcuni dei quali, dopo una prima mia indagine, risultano effettivamente essere coinvolti in situazioni losche, o addirittura cacciati dalla Chiesa. (Si riferisce a quello che la Turi chiama Don X, un prelato che ha operato prima al Vicariato di Roma e poi alla Sacra Rota. Fu cacciato da un tribunale ecclesiastico per “gravi mancanze”, non meglio specificate). Decido quindi che questa persona poteva essere veramente utile per le mie indagini, e che mi potevo fidare di lui. Anche se lui, in effetti, era nei miei confronti solo un postino dei suoi informatori medio orientali.”

Dal suo libro, verso la fine, una cosa che emerge, e che vorrei approfondire con lei, è che il caso Orlandi sia legato, in qualche modo, alla “fortunata” condizione che ha visto l’Italia risparmiata dagli attentati di natura islamica, che hanno insanguinato l’Europa. Ad un certo punto, lei riporta una frase del suo informatore: “L’Italia serve al Jihad come terra di passaggio per uomini e merci, quindi il movimento jihadista in Italia non farà niente. Mentre il Vaticano è in una posizione più delicata”. Ma veramente l’Orlandi può essere la chiave per spiegare la mancanza di attentati sul nostro territorio?

“Naturalmente l’Orlandi non può essere la chiave di volta per la nostra sicurezza. L’Orlandi è solo una cooperante.”

Ma nel tuo libro ne parla come se fosse una dirigente

“E’ una cooperante nella guerra laterale che il terrorismo ha dichiarato all’Occidente. Ma è una dirigente dei suoi gruppi. Lei viene qui in Europa ad organizzare le azioni.”

Ma perché da noi non ha mai organizzato nulla? Perché da noi, anche se sicuramente siamo bravi, non c’è mai stato neanche un ferito con un coltello? Non ci potrebbe essere qualche collegamento?

“Qui naturalmente entriamo nel campo delle ipotesi. Con il riferimento al Vaticano, il mio informatore vuole dire che la Santa Sede cerca di assicurare la propria sicurezza, e quindi anche quella dell’Italia, pagando. Negli anni, secondo il mio informatore, il Vaticano ha sempre pagato per garantirsi che l’Orlandi rimanesse chiusa in quel contesto (islamico), e non ne uscisse. Perché se ne fosse uscita, sarebbe successa la fine del mondo. Continua a pagare, anche se non è detto che non sia già morta.”

Dal libro fai intendere che non si tratta di una questione gestita solo “dall’intelligence” vaticana, ma anche e soprattutto dai Servizi italiani. Che sicuramente sono stati parte attiva in questa storia. Sembra quindi una cooperazione tra Stato Italiano e Vaticano, per pagare e stare alla larga. Diciamo sia per evitare che potesse scoppiare uno scandalo, sia per evitare attentati sul nostro territorio

“Ma certo, è così. Qui lei ha fatto un corretto passaggio in più, rispetto a quello che abbiamo detto fino ad adesso”

Ma l’Orlandi c’entra in tutta questa storia, oppure la sua presenza è solo un caso?

“Diciamo che l’Orlandi, come caso, probabilmente rientra, secondo i miei informatori, in questa strategia più ampia. Naturalmente non è che tutta la nostra sicurezza si regga sull’Orlandi. Ma i miei informatori mi dicono che da anni l’Italia paga.”

Il suo informatore afferma qualcosa di più. Afferma che tra Italia e Jihad c’è un interesse reciproco a mantenere questa situazione di mancanza di attentati nel nostro territorio. Lui dice che l’Italia “serve” alla Jihad

“Questo è probabile. Ma non sono mie elucubrazioni. Io ho ricevuto queste informazioni.”

Leggendo il libro, mi è sorta un’altra domanda. Ma con tutti gli scandali che hanno tormentato, e tormentano, il Vaticano, perché avrebbe avuto la necessità di pagare qualcuno per mantenere coperto il caso Orlandi? Il Vaticano, in questi anni ha subito scandali giganteschi, pagando milioni di dollari di risarcimento alle vittime. Cosa si potrebbe aggiungere di più?

“Si ricordi che la pedofilia è esplosa solo in questi ultimi tempi. Questo sarebbe uno scandalo degli scandali perché è vecchio. È il primo dei casi di questo tipo. È diventato ormai un’icona. Inoltre, il Vaticano paga perché è ricattato da questi terroristi, chiamiamolo jihadisti. Minacciano rivelazioni.”

Rivelazioni su temi tipo la pedofilia?

“Il caso Orlandi coinvolge qualcosa di più ampio. Coinvolge anche l’Italia e i suoi servizi segreti. Stando alle prime informazioni, lei fu portata via da Roma dai servizi segreti italiani. Quindi è convolto anche lo Stato Italiano in questa storia.”

Ma perché ci fu questo coinvolgimento?

“Per proteggere il Vaticano. In quegli anni al governo c’era la DC. Sarebbe diventato un pericoloso caso politico. C’era un legame fortissimo tra Santa Sede e la DC. La portarono in Turchia, nella zona di Malatya, proprio nel cuore della criminalità politico mafiosa di Oral Celik e di Ali Agca. Per questo Agca aveva informazioni su la Orlandi.”

Un aspetto della sua tesi che mi torna poco, è come sia possibile che una ragazza di 15 anni, di buona famiglia, profondamente cattolica, possa diventare un dirigente della Jihad

“E’ che forse le sfugge che cosa ha dovuto passare quella povera ragazza. Aveva 15 anni, ed è stata catapultata nei bordelli turchi. Poi violentata nelle montagne ad uso dei camionisti, e così via. Poi ci deve essere stato un intervento di un monsignore incaricato dei rapporti con il Medioriente, che l’ha salvata da quella situazione. Questo perché c’era appena stato un tentativo mancato per il rilascio di Emanuela, a seguito di una richiesta di riscatto. E la notizia che la Orlandi fosse in Turchia poteva trapelare. Allora un gruppo di nordafricani, probabilmente Algerini, gli ha fatto iniziare un nuovo percorso. Emanuela è stata due anni in Algeria. Io, come racconto nel libro, ho visitato il villaggio dove mi avevano suggerito fosse nascosta l’Orlandi. E ho parlato con le persone che sono state in contatto con Emanuela. Quindi non stiamo parlando di una ragazza di 15 anni che diventa improvvisamente dirigente della Jihad, Emanuela è una ragazza di 15 anni che passa attraverso il fuoco delle cose peggiori. Che poi si converte. O volontariamente, o obtorto collo. O per ripulsa verso il suo mondo. Verso il Vaticano, o verso la sua famiglia. Che non hanno fatto abbastanza per liberarla, e per evitarle le sue terribili tribolazioni.”

Nel suo libro ipotizza che si sia addirittura sposata

“Si, pare che si sia sposata con un predicatore. Magari è diventata anche madre. Ha fatto quindi tutto un percorso in questo mondo musulmano. E consideri che queste società musulmane, sia che siano “oneste”, o che siano radicali e politicizzate, sono comunque tutte molto avvolgenti e molto accoglienti. Lei non era prigioniera di uno o più individui. Era prigioniera di una confraternita, di un mondo. Che poi l’ha formata e l’ha fatta diventare una leader.”

Secondo lei Emanuela è tornata in Italia ad esercitare il suo ruolo di leader jihadista?

“Lo dico nel mio libro. Lei è tornata a Roma più volte. Almeno due. Nel giugno 2014 e a novembre del 2013. Me lo hanno detto i miei informatori, che l’hanno incontrata personalmente”.

E i nostri Servizi Segreti lo sanno?

“Ma certo che lo sanno. È evidente che questa è una di quelle cose che non possono essere divulgate al popolo.”

Perché Papa Francesco ha detto al fratello della Orlandi che Emanuela è in cielo?

“Perché per il Vaticano è un argomento tabù. Basta. È chiuso.”

Quindi secondo lei non ha dato un’informazione. Ha dato un messaggio.

“E’ esattamente così. Non ha dato un’informazione, ma un messaggio. Io credo ai miei informatori. Sia all’Italiano che al Marocchino. Loro dicono di averla vista e incontrata, Adesso mi dicono che si trova in Egitto. Ma è evidente che può essere ammazzata da un momento all’altro, se già non lo hanno fatto.”

Papa Francesco ha dimostrato più di una volta di voler fare i conti con il passato, sconfessando anche certe radicate posizioni della Chiesa. Perché nel caso della Orlandi ha voluto ribadire il tabù a parlarne?

“Primo può saperne poco. Secondo, quello che gli hanno raccontato può averlo spaventato. Può aver pensato che un’eventuale, ulteriore, scandalo avrebbe potuto affondare ancora di più la Chiesa.”

Lei spera ancora di poter incontrare Emanuela Orlandi, in uno dei suoi tanti viaggi in nord Africa?

“Purtroppo, credo che per me l’Orlandi sia ormai irraggiungibile. Mi hanno detto che ha cambiato i suoi connotati e addirittura le sue impronte digitali. Poi è entrata in un giro, politico governativo. Partecipa ad assemblee internazionali.”

In nome e per conto del Marocco?

“Certo. Ci sono mondi dove tutto si può fare. Nel 2014, in Marocco, è stata eletta in parlamento una donna di cui non si conosce il volto, perché è sempre stata raffigurata con il velo integrale. In una condizione del genere tutto si può ipotizzare. Anche che una Orlandi, con il viso rifatto e le impronte digitali distrutte, abbia un’inaspettata collocazione.”

Pensa che si potrà mai conoscere la verità sul caso Orlandi?

“Io penso che la storia umana ha dei momenti imprevedibili. La verità può venire fuori da un soggetto dei loro, un mussulmano radicale, magari arrestato, e che racconta tutto, per avere dei benefici di qualsiasi tipo. Naturalmente poi bisogna vedere se quello che racconta viene pubblicizzato. Siamo in un mondo turbolento, pieno di giravolte e di sommovimenti. In queste condizioni, io credo che la risposta possa venire fuori, prima o poi. O che lei sia morta, 34 anni fa, o che lei sia viva, e operi all’interno di una confraternita. Io non mi sento la detentrice della verità assoluta. Io ho solo fatto un lavoro onesto. Ho sempre riscontrato la verità, quando è stato possibile, o almeno la veridicità delle informazioni che ho ricevuto. L’ho sempre fatto sul campo, nel corso di numerosi e avventurosi viaggi nei territori dove i miei informatori mi segnalavano la presenza della Orlandi.

Quante volte è andata in nord Africa alla ricerca di Emanuela Orlandi?

“Almeno 12 volte. Sono tante. Ma non credo di farne più, se non a fronte di una segnalazione molto precisa. Adesso sarebbe difficile andare in Marocco, e presentarsi alla sede di un partito che è al governo, e fare domande su una sua appartenente.”