Cosa tiene uniti gli uomini tra loro: la ragione giuridica o la paura?

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Ubi societas, ibi ius: occorre ordinare il disordine poiché vivere in un perenne stato emergenziale è proprio del totalitarismo

di Antonio Calicchio

Ipotizziamo che Tizio e Caio vengano tratti in arresto e debbano decidere il comportamento da tenere nel corso dell’interrogatorio, ignorando reciprocamente cosa l’altro farà o dirà. Se ognuno ammette la sua parte di responsabilità, allora l’esito sarà dato dall’applicazione di una pena giusta per ambedue. Giusta, sì, ma non ottimale. Quella migliore, e più favorevole, per Tizio, sarebbe respingere ogni addebito, mentre Caio riconosce la colpa: in tal caso, Tizio sarebbe libero. E ciò varrebbe per Caio, a parti rovesciate. E’ utile rischiare? In quello scenario, nel negare entrambi, l’esito sarà una punizione più rigida per tutti e due. La situazione testé descritta è quella che, nel lessico corrente dei giuristi, è definita “fattispecie astratta ed ipotetica”; astratta ed ipotetica, però, soltanto in apparenza, in quanto rappresenta molti momenti della vita associata concreta, e cioè dalla vaccinazione (per cui numerose persone scelgono di non vaccinarsi, perché il vaccino viene fatto dagli altri) alle tasse (per cui il denaro per scuole ed ospedali – dato che a ciò dovrebbero servire le tasse – viene pagato dagli altri); ma, frattanto, ospedali e scuole si trovano in condizioni sempre peggiori.

Dal punto di vista razionale, la decisione più rispondente a criteri di giustizia resta la prima, ossia quella in cui ciascuno fa la propria parte. Tuttavia, la questione che permane è quella relativa al modo di persuadere Tizio e Caio. E ciò ha costituito oggetto di analisi della filosofia giuridica e politica, durante i secoli, dividendosi in due indirizzi dottrinali, dominati da Socrate, da un lato, e da Hobbes, d’altro lato. Ad avviso del primo, l’uomo è animale razionale, nel senso che egli, nel far ricorso alle sue capacità di pensiero, risolve la questione, attraverso il dialogo e la discussione. Per Hobbes – vissuto in una epoca di guerre civili – si tratta di una soluzione astratta, al punto che formula un altro principio rispetto a quello che l’uomo è, un animale passionale, vale a dire soggiogato dalle passioni e dal quale non bisogna aspettarsi troppo: “homo homini lupus”. Conviene intervenire sulle passioni, come la paura, l’angoscia, lo sdegno, il risentimento, etc. E’ proprio la paura a tenerci uniti, tanto da farci privare di una parte del nostro interesse individuale: la paura dell’altro, della guerra, della disoccupazione dilaga in ogni dove della vita socio-politica di una comunità. Ci si chiede: può quest’ultima essere unita esclusivamente da una simile passione negativa, quasi vivesse in una costante condizione emergenziale? Ciò potrebbe verificarsi in un regime totalitario ed autoritario – in cui la paura esplica un potere assoluto ed incondizionato – ma non all’interno di uno Stato democratico di diritto. E insomma, pure Socrate aveva le sue ragioni.

Pertanto, la questione è quella di ammettere, affrontare e superare la paura, per ciò che è, giacché, in alcuni casi, appare normale avere paura, ma senza divenirne prigionieri, così da evitare che essa possa prevalere ed inquinare il dibattito, pubblico o privato che sia. E’ vero che l’uomo non è solamente un essere razionale, ma è altrettanto vero che il diritto di libertà deriva dall’esercizio della razionalità la quale non è altro che la capacità di introdurre un principio ordinatore ed organizzatore nel caos del disordine e nella confliggenza di interessi. D’altra parte, non è proprio dal disordine, dalla irrazionalità, dalla insipienza, dalla conflittualità che scaturisce la paura? E’ non è tipica del Diritto la definizione concettuale di fatto “razionale” di composizione di interessi, composizione stabilizzata nel tempo da norme organizzative? (Martines). Tanto che la sua essenza più autentica – a differenza della economia, della morale e di altre norme sociali – è, appunto, quella di comporre il pluralismo e tenere uniti gli uomini tra loro. Essenza che, peraltro, è testimoniata dalla etimologia della parola ius, cui è stata attribuita la medesima radice di iungere (Carnelutti).