Chi governa il mondo e chi governa l’Italia?

0
1675
Italia

Tra crisi di regime e crisi di sistema, occorre liberare la politica e salvaguardarne il rapporto con le emozioni, in merito alla figura dell’Homo Europaeus.

di Antonio Calicchio 

Si è soliti pensare che le democrazie liberali non trovino fondamento che sulla razionalità, cui compete una funzione dominante nell’area pubblica. Per contro, le società totalitarie tendono a valorizzare emozioni e sentimenti. Tuttavia, ogni giorno della vita di una qualsiasi democrazia è attraversato da amarezza, fastidio o, viceversa, da altruismo ed empatia: emozioni, anche pubbliche, capaci di agire sull’umore e sulla tenuta di un Paese. In particolare, una società liberale, che aspiri alla giustizia, non può prescindere dalle emozioni. Anche la religione costituisce un collante fondamentale alla base dell’impegno etico-politico comune che ha permesso, ad intere nazioni, di affrontare sacrifici, riemergere dopo guerre e privazioni, conquistare nuovi diritti. 

Ma, negli ultimi decenni, sono avvenuti, nelle nostre società, numerosi cambiamenti, ad ogni livello, locale, nazionale e sovranazionale. Ed anche nel diritto, che rappresenta la grammatica di ciascuna società. Ma se le banche dati e le risorse tecnologiche possono dare conto – in tempo quasi reale – della anche minima applicazione normativa, ciò che la rete è incapace di dare è la visione d’insieme, è la mappa dei concetti e dei paradigmi, che siffatti cambiamenti hanno prodotto. Il diritto, appunto, è profondamente mutato, in questi ultimi anni. I confini con gli altri settori disciplinari sono divenuti porosi, gli istituti e gli strumenti si sono moltiplicati e differenziati, il modus agendi, nell’ambito giuridico, si è conformato al mutare dei tempi, le categorie giuridiche hanno subito nuove evoluzioni. 

Del resto, la modernità occidentale europea è caratterizzata da taluni tratti distintivi, quali la laicità, il distacco del potere spirituale da quello temporale, la divisione del diritto naturale-divino da quello positivo, civile e canonico, la nascita del dualismo tra sfera della coscienza e quella della giustizia umana. Una modernità, però, oggi, in profonda crisi, economica, politica ed antropologica. E’ l’Homo Europaeus a più dimensioni, della coscienza e della legge, della morale e del diritto, che deve misurarsi con la globalizzazione ad una dimensione. Ergo, l’uomo occidentale rischia di nullificarsi, con tutto il carico del suo miglior talento: forse, si è già nullificato. E tale tramonto, osservato con impassibilità, al di là di qualunque tenerezza romantica, è da ascriversi alla responsabilità della politica, della cultura, del diritto e del “modernismo”. L’uomo occidentale siamo noi, noi che scriviamo e leggiamo, in una democrazia liberale postmoderna, nel sec. XXI. Ma, oltre ad indagare del detto tramonto dell’uomo occidentale, preme, inoltre, domandarsi: gli Stati sono ancora i protagonisti della scena mondiale? O sono, ormai, sostituiti dalle migliaia di organizzazioni internazionali sorte negli ultimi anni? E se gli Stati si infiacchiscono, che cosa accade allora alla democrazia che si è sviluppata nel loro seno? Qual è il destino del diritto, che si è abituati a ricondurre all’idea di Stato-nazione? E’ necessario, in ordine a simili interrogativi, cercare di comporre risposte che tengano conto della odierna fase di passaggio, in cui l’erosione della sovranità si accompagna col controllo degli Stati sui regimi regolatori ultrastatuali, l’affermazione di standards globali col potere ultimo di applicarli rimasto nelle mani dei governi nazionali, lo sviluppo di norme e procedure internazionali col crescente ruolo delle amministrazioni statali e del loro diritto. 

Ed anche per comprendere la stessa crisi di sistema che sta vivendo il nostro Paese, bisogna andare indietro nel tempo, sino alle origini, ai nodi irrisolti dell’intera vicenda storica nazionale. La guerra civile ideologica, che ha, da sempre, inquinato il rapporto tra forze governative e di opposizione (dall’Italia liberale a quella repubblicana), ha impedito il regolare avvicendamento tra due schieramenti stabili e la reciproca legittimazione delle forze politiche, cosicché il cambiamento è avvenuto mediante traumatiche crisi di regime. Pure il primo esempio di alternanza di governo, che ha sancito la fine del ciclo storico dei regimi bloccati, si è verificato, nel 1994, solamente nel segno di una profonda crisi di sistema. Ma la politica italiana necessita, altresì, di un riinizio, dopo essersi arrestata per anni, a destra e a sinistra, necessita, cioè di uno svecchiamento e di una rivalutazione, anche dei gruppi dirigenti. Il cambiamento scaturirà non dalla somma di speculari debolezze, né dall’antipolitica che le assedia, bensì da una nuova generazione di leaders ed attivisti, determinati a ridare dignità e forza alle istituzioni democratiche, costruendo le premesse di una vera democrazia dell’alternanza. Con partiti aperti alla partecipazione, capaci di pensare e decidere in maniera pluralistica. Con un organo parlamentare reso meno oneroso, con meno chiacchiere in Transatlantico e più lavoro nelle commissioni, indennità trasparenti, un sistema di elezione che consenta davvero di operare una scelta al corpo elettorale. Con leaders posti realmente nelle condizioni di governare.   

E la sorte dei diritti e delle loro guarentigie, qual è? Segnata da oltre un ventennio di conflitti fra politica e magistratura, la questione giustizia continua ad essere centrale nel dibattito pubblico. Populismo e giustizialismo hanno condotto ad un atteggiamento sprezzante l’uno nei riguardi delle regole, l’altro del potere che, nell’erodere le radici del diritto, diviene illegittimo. Diritto e potere sono due facce della medesima medaglia, ed una società ben ordinata abbisogna di entrambi. Laddove il diritto è impotente, la società rischia l’anarchia, laddove il potere non è controllato, rischia il dispotismo (Pascal). E il modello ideale dell’incontro fra diritto e potere è lo Stato democratico di diritto, ovverosia lo Stato in cui, attraverso la Costituzione, non vi è potere che non sia regolato dal diritto e in cui, ad un tempo, il diritto è effettivo in virtù del potere. Nello Stato democratico di diritto, quindi, la politica deve svolgersi nei limiti delle norme e queste ultime possono essere sottoposte a revisione in forza della politica. La norma ha bisogno del potere per divenire effettiva (Kelsen) e il potere ha bisogno della norma per divenire legittimo (Weber): potere e legittimità si rincorrono. Il potere diviene legittimo attraverso il diritto, mentre il diritto diviene effettivo attraverso il potere. E quando l’uno e l’altro si dividono, si è dinanzi ai due estremi: del diritto impotente e del potere arbitrario. 

Per questo, serpeggia, ormai, un generale scontento rispetto allo Stato italiano, ed ogni proposta di riforma del sistema giuspolitico deve inevitabilmente passare attraverso l’organizzazione della giustizia e la riforma dei partiti, il rapporto fra economia e politica e il reddito di cittadinanza, i beni comuni e la e-democracy: governi ed opinioni pubbliche delle altre nazioni europee appaiono stupiti della strutturale carenza di solidità e compattezza delle istituzioni, nonché della loro difficoltà a governarli. I governanti nazionali promuovono politiche che restano – parzialmente – inattuabili ed inattuate. I governati, lamentano costi ed inefficienze dei poteri pubblici. I burocrati sono frustrati ed impotenti, accusati di malfunzionamento dell’amministrazione. L’alta dirigenza è identificata come una casta. Le ragioni di questa situazione sono state ampiamente ricercate dagli storici. Tuttavia, a mio avviso, occorre, a questo punto, una ricostruzione dall’interno della macchina statuale ed una disamina degli eventi esterni che ne hanno condizionato lo sviluppo nel secolo e mezzo di storia unitaria, soprattutto dal 1948 ai giorni nostri, ossia dalla entrata in vigore della Costituzione repubblicana, la quale è non soltanto una nuda norma giuridica o un puro fatto organizzativo, ma anche l’espressione della vita, della memoria e del progetto propri di una società.