Antibiotici negli allevamenti intensivi: come farci del male

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di Alfonso Lustrino (fisioterapista ed educatore alimentare)

Siamo proprio “di coccio”, è il caso di dirlo. Nemmeno la pandemia ci ha insegnato qualcosa.
L’abuso di antibiotici negli allevamenti intensivi contribuisce alla diffusione dell’antibiotico resistenza, divenuta un’emergenza sanitaria mondiale, ma i numeri restano inesorabili: circa il 70% degli antibiotici venduti in Italia è destinato agli animali e siamo secondi nella classifica dei paesi UE per la vendita di antibiotici destinati agli allevamenti. A sottolinearlo è l’associazione animalista CIWF Italia, l’ultimo report dell’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) e numerosi studi accreditati.

Secondo uno studio condotto dall’ECDC (Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie) e pubblicato su The Lancet, l’Italia ha il più alto numero di morti causate da infezioni resistenti agli antibiotici in UE. Oltre 10.700 persone muoiono ogni anno nel nostro Paese, 33.000 in tutta l’UE.

L’uso di antibiotici nella medicina umana è la principale causa della resistenza nelle infezioni umane, ma anche l’abuso di antibiotici negli allevamenti contribuisce in maniera significativa. Somministrare antibiotici agli animali in grandi quantità porta all’emergenza di batteri antibiotico-resistenti che possono trasmettersi alle persone tramite il cibo o l’ambiente e possono, in ultimo, causare infezioni antibiotico resistenti.

Nonostante fatti oggettivi e studi accreditati abbiano dimostrato che sfruttare gli animali con la spietata logica del profitto provochi disastri, l’essere umano non si impegna abbastanza per invertire la rotta.
Un recente servizio RAI ha mostrato allevamenti intensivi di suini nel cuore di foreste cinesi; in India il proprietario di un enorme «pollificio» tutto soddisfatto perché presto un miliardo di persone mangerà i suoi polli; litri di antibiotici iniettati negli animali. E poi ci si stupisce che certi microrganismi diventino imbattibili.

La stragrande maggioranza delle carni e delle uova che mangiamo o del latte che beviamo proviene da allevamenti intensivi.
Se, come previsto, il consumo globale raddoppierà da oggi al 2050, passando da 250 milioni di tonnellate di carne consumati ogni anno a 500 milioni, il sistema attuale è destinato ad essere ulteriormente stravolto, in peggio.

Anche gli allevamenti intensivi di galline ovaiole non sono certo isole felici, anzi.
Oltre 20 galline in un metro se allevate a terra; in una gabbietta grande quanto un foglio A4 se allevate in gabbia. Questo per tutta la loro breve esistenza, senza la possibilità di aprire le ali, razzolare, appollaiarsi, deporre le uova in un nido. Accalcate come sono le une sulle altre, le galline spesso diventano aggressive, si beccano tra loro, si spennano e si cannibalizzano (per evitarlo, a volte vengono debeccate alla nascita).  Si trasmettono infezioni che passano anche attraverso gli escrementi. Per inciso, le galline allevate in gabbia sono disposte in verticale, per cui gli escrementi di quelle ai piani alti cadono su quelle ai piani bassi.
La vita degli animali in cattività peggiora le condizioni di salute e igieniche, rendendo di fatto indispensabili, tra l’altro, l’uso di antibiotici, uso che negli allevamenti avicoli è molto alto e ha favorito l’aumento dell’antibiotico resistenza animale con possibili ricadute sulla salute umana.
Ovviamente negli allevamenti intensivi si utilizzano mangimi industriali con il rischio che, per abbattere i costi, venga compromessa la qualità delle materie prime. Inoltre va evidenziato anche il fatto che le uova vengono utilizzate anche in tanti altri prodotti industriali d’importazione. Anche i cosiddetti “allevamenti a terra” non sono al riparo da rischi, infatti anche in questo caso le condizioni sono pessime: persistono i problemi di sopraffollamento, di alimentazione non naturale, di utilizzo di farmaci, di altissimo stress dell’animale.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha chiesto che tutti i Paesi non somministrino più antibiotici agli animali sani, cosa che accade nei trattamenti di massa e preventivi.

Come spesso accade leggendo questi dati ci si indigna, senza sapere che i principali colpevoli di questa situazione siamo noi! Con le nostre scelte scellerate apparentemente innocue, come quello di fare la spesa, non facciamo altro che foraggiare un sistema evidentemente poco sostenibile.

La speranza è che allevamenti intensivi e l’utilizzo di farmaci per limitare le malattie che si sviluppano al loro interno vengano spazzati via da forme di allevamenti più virtuosi, come gli allevamenti biologici, dove l’uso degli antibiotici non è consentita.
Che il comportamento di ognuno di noi cambi a favore di un consumo più sostenibile, mangiando meno carne, latte e latticini.

L’alternativa c’è sempre, basta cercarla.