ALFIO CASTELLI, LO SCULTORE DELLA RIFORMA

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Si è svolta a Roma martedì 15 novembre presso la sala “Caduti di Nassirya”  di Palazzo Madama presso il Senato della Repubblica la conferenza stampa per l’apertura delle manifestazioni che si svolgeranno nel corso dell’ anno in occasione del centenario della nascita dello scultore Alfio Castelli.

Alla conferenza stampa introdotta dalla Sen. Silvana Amati, Segretario di Presidenza del Senato della Repubblica a fatto seguito il saluto di Valeria Fedeli, Vice Presidente del Senato. La figura, il lavoro e l’impegno politico e sindacale  dello scultore sono stati raccontati:  dalla figlia Barbara Castelli , dallo storico dell’arte Giorgio Di Genova che ha proposto l’istituzione di un premio Castelli per i giovani artisti, da Peter Aufreiter Direttore del polo museale delle Marche, da Carlo Emanuele Bugatti, Direttore del Musinf di Senigallia , da Maurizio Mangialardi Sindaco di Sinigallia, da Riccardo Nencini, Viceministro delle Infrastrutture e Trasporti e Segretario Nazionale del Partito Socialista Italiano e dal Segretario generale CGIL Susanna Camusso. Presente inoltre, Laura, nipote dello scultore e figlia di Claudia morta nel 1999. Laura laureata all’Accademia di Costume e Moda di Roma  ha accostato alle sue meravigliose creazioni opere del nonno dalle quali ha tratto spunto e dalla quale ha ereditato una considerevole sensibilità artistica. Tra i numerosi invitati  presente anche Luigino Bucchi Presidente del Comitato di zona di Borgo San Martino in rappresentanza del borgo  dove nel  2009 durante un sopralluogo alla chiesa chiusa per restauro grazie alla studiosa dell’arte Dott. Patrizia Ferretti furono ricollegate al nome del loro grande autore ben sedici sculture tutte in bronzo, costituite da 14 formelle di Via Crucis, una Statua di San Martino Vescovo di Tours e da una piccola statua di San Giovanni Battista posta sul fonte battesimale.

Chi è Alfio Castelli: nato a Senigallia nel 1917, Castelli ha compiuto i primi studi a Firenze, per poi diplomarsi all’Accademia di Belle Arti di Roma.

Per quanto giovanissimo, il suo nome comincia a circolare negli ambienti artistici romani grazie all’esposizione di un suo bronzo (“Ritratto di Carletto”) alla III Quadriennale di Roma e alla mostra alla Galleria del Teatro delle Arti con Mirko ed Afro: le opere esposte dal 1939 almeno fino al 1945 denunciano una convinta adesione ad un  naturalismo di marca ottocentesca. Tema prediletto sono i ritratti (alcune opere sono esposte alla Galleria di Arte Moderna di Roma)

Sono di questo periodo i primi rapporti con Toti Scialoja e Piero Sadun. Nella frequentazione degli ambienti di Via Margutta entra pure in contatto con Sandro Penna ed i corregionali Luigi Bartolini e Orfeo Tamburi.

Nel 1940, con il già citato “Ritratto di Carletto”, risulta essere il più giovane espositore italiano della XXII Biennale di Venezia.

In una fase  successiva sviluppa interesse per il lavoro di M.Marini e G. Manzù, e per una ricerca che allontana la sua scultura dalla figuratività.

Seguono le prime esperienze all’estero, con una sua opera inserita nella Mostra della Scultura Italiana a Berna ed una personale alla Landau Gallery di Los Angeles.

 

Nel 1948 intraprende, grazie ad una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione il suo primo viaggio a Parigi, insieme con gli ormai inseparabili Toti Scialoja e Piero Sadun. Nella capitale francese è colpito dagli impressionisti, da Giacometti e dalle sculture africane.

A partire dai due gruppi “Amanti” e “Nudi”  il suo linguaggio si caratterizza indiscutibilmente per suture, spugnosità, granulazioni che sembrano sminuire e quasi scorporare le figure, le quali, per via delle modulazioni date dalla luce, potrebbero essere definite “espressioniste”: le suggestioni della plastica “primitiva” sono percepibili nella produzione subito successiva al viaggio, mentre l’ influenza giacomettiana, attraversando una lunga fase di incubazione, troverà piena manifestazione solo anni dopo ( non prima del 1953).

Nel 1951 è invitato a partecipare alla I biennale Internazionale d’arte di San Paolo del Brasile; a Parigi alla Galleria Faubourg St. Honoré viene tenuta una sua personale.

L’anno successivo ottiene l’incarico di consigliere dell’Ente Maremma, che in quegli anni, a seguito della Riforma Agraria, sta  edificando borghi rurali, veri e propri centri d’incontro, di socializzazione e di servizio allo stesso tempo, (chiesa, magazzini, spacci,sale d’incontro) . La disposizione urbanistica e lo stile architettonico di questi borghi richiamano il razionalismo, per la semplicità e la funzionalità che ne caratterizza l’insieme.

L’incarico di Castelli, che durerà fino al 1955, fa sì che gli vengano commissionati in questo periodo e per poco oltre, varie opere di carattere religioso per le chiese  di  diverse località del territorio maremmano; fra queste, appunto, va ricordata la Via Crucis e le  due sculture – S.Giovanni Battista e S. Martino Vescovo di Tours – che sono ben conservate nel Borgo San Martino di Cerveteri e formano l’oggetto dell’iniziativa voluta dalle Giornate Europee del Patrimonio Artistico Italiano del 2009 su proposta della Soprintendenza ai Beni Artistici Storici ed Etnoantropologici del Lazio (26-27 settembre).

Opere analoghe sono state realizzate dall’autore in numerosi Borghi dell’Ente Maremma, sfruttando così l’opportunità di sperimentare diverse tecniche e materiali, con risultati significativi sul piano della luminosità e della ricerca cromatica.

In questo periodo infatti  l’autore entra in una nuova fase stilistica, di marca palesemente giacomettiana. La progressiva verticalizzazione e consunzione delle figure fanno parlare Marco Valsecchi e Giovanni Carandente di  “Goticismo”.

Per quanto riguarda i rapporti con la critica, è bene ricordare che un rapporto non solo professionale ha legato Castelli a personaggi di grande spessore, quali Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Nello Ponente, Cesare Vivaldi e, più avanti, Filiberto Menna.

Opere simili sono visibili  in due chiese di  Roma, anche se Castelli  ha continuato a mietere successo in ambito più vasto: basti pensare che nel 1964 gli viene assegnata un’intera sala della  XXXII  Biennale di Venezia in cui sono stati sistemati cinque grandi bronzi fra cui la “Muraglia Umana” , orchestrata su ritmi drammatici di sbrecciate superfici di “intonaco” bronzeo che riassorbivano  nell’idea, appunto, del muro, la struttura antropomorfa che finivano per far somigliare l’opera a resti di un ambiente ormai diroccato.

A tal proposito l’amica Palma Bucarelli ha scritto  di lui nel suo libro       “Scultori Italiani Contemporanei”

“ Castelli non parte dalla figura, ma dal fantasma, dalla larva, forse soltanto dall’impronta che la figura ha lasciato in uno spazio da cui è scomparsa; ma queste labili eccezioni alla desolante infinità del vuoto (ed è evidente il richiamo a Giacometti) finiscono poi per addensarsi, fondersi in blocchi di materia, in una massa coagulata ed apparentemente amorfa, ma in cui è dato riconoscere, nella tenerezza dei tessuti e dei legamenti, la sostanza umana di cui è fatta: come in certi conglomerati geologici si trovano le delicate volute delle conchiglie, le fibre dei molluschi, i filamenti fini delle alghe di un antico mare”

Dopo questa importante presenza alla Biennale del 1964 Castelli riduce le proprie partecipazioni alle grandi esposizioni, e si mette a lavorare in silenzio, mostrando in una sola occasione, e per di più all’estero, la propria produzione.

Contestualmente, sorgeva l’esigenza di montare un nuovo corpo, che superasse il frammento e le strutture piatte e materiche, tipiche della poetica dell’informale, per recuperare il tutto tondo, un tutto tondo che sin dal 1967, come un ricordo delle prime forme naturalistiche e sinuose, si orienta verso la riemergente polarità del curvilineo, fino a giungere alla

ricostruzione della sfera; una sfera che, per Castelli, che aveva sperimentato fino in fondo la materia e la poetica del frammento, non poteva essere integra, ma scavata nelle sue viscere, per mostrarne gli involucri interiori, ora per svelarne i meccanismi, in un continuo gioco di varianti che dà luogo ad una strepitosa serie di sculture. Con la sfera la “ratio” geometrica ha preso il sopravvento, ma Castelli avverte questa situazione come una sorta di inaridimento della libertà inventiva fino a che nella ricerca accanita di nuove soluzioni non si viene a trovare in una spirale labirintica. Sentendosi in un vicolo cieco, lo scultore cade in una crisi espressiva: tenta di rivolgersi ancora alla figurazione, ma è chiaro che è un passo indietro, e distrugge tutte le sue nuove opere. per uscire dalla crisi, Castelli, con un’intuizione felice, si sposta dalla ormai satura ricerca nell’ambito dell’opzione sferica al suo esatto opposto, il rettilineo e la superficie piana.

 Alla fine della sua carriera, finalmente lo scultore aveva ritrovato quella sintesi che lo aveva portato, a metà degli anni ’60, a coniugare astratto e figurativo con il “Monumento agli operai cantonieri caduti sul lavoro”, che ancora oggi si può ammirare sulla via Appia,  nel vasto piazzale d’incrocio con il Grande Raccordo Anulare.

Alfio Castelli nasce a Senigallia il 20 settembre 1917. Muore Il 19 dicembre 1992 all’ età di 75 anni. I suoi funerali si svolgeranno due giorni dopo in Santa Maria in Montesanto, chiesa degli artisti a Piazza del Popolo.