Alla scoperta della gastronomia dell’antica Etruria dove non sempre vengono adoperati prodotti locali di Silvio Vitone
Scende la sera. Scende la sera estiva anche a Ladispoli quando la spiaggia nerissima ( o ritenuta tale ) diventa deserta e gli ultimi bagnanti smontano le loro attrezzature . E’ l’ora di piccoli fuochi che nella notte splendono di insolita vivezza. Intorno si distinguono ombre inquiete, intente a preparare una cenetta alternativa. Chi sono? Vetero romantici, neo fagottari, extracomunitari, giovani in cerca di nuove esperienze, comparse di un film felliniano?
Si potrebbe ascrivere questo fatto ad un’episodica marginalità, ad un folklore retrivo e fuori dalle regole. Ma poi ci si accorge che il fenomeno è più ampio come insegnano le notti ferragostane quando le spiagge ladispolane sono letteralmente messe a ferro e fuoco… Veramente quest’anno è stata un’eccezione per merito di Giove Pluvio.
Rimane il fatto che il mangiare all’aperto, un tempo relegato a fasce sociali meno abbienti e dettato dall’improvvisazione di chi non si poteva permettere un locale riparato ed attrezzato, ha contagiato anche Ladispoli ed ha trovato di recente una consacrazione ed un nome altisonante, mutuato dalla lingua della perfida Albione, lo street – food .
Ma poi perché stare al chiuso, quando le tavole imbandite da ristoranti e pizzerie debordano con gazebo e tavolini non solo dalle piazze ed occupano soprattutto marciapiedi ma anche gli spazi istituzionalmente destinati al parcheggio delle autovetture ?
E veniamo a quello che dovrebbe essere il fulcro della ristorazione ladispolana: le strutture balneari, dove la cucina è una ( sperimentata ) tradizione. Che bello mangiare godendosi uno splendido tramonto sul mare mentre la brezza della sera ti accarezza!Purtroppo non tutti gli edifici balneari si sono rinnovati ed alcuni datano l’età di costruzione al periodo post – bellico.
In ogni caso non tutti i ristoranti e le pizzerie sul mare mi sembra che siano molto attrezzati a sopportare l’autentica onda d’urto di bagnanti, gitanti e turisti, – una vera folla – ed in continuo aumento.
Pur vantando la città balneare una vasta gamma di locali e che, in alcuni casi, meritano qualche nota di apprezzamento, troppo spesso ho avuto l’impressione di dovermi confrontare con una cucina, senza fantasia, senza creatività e soprattutto senza identità. Diciamolo francamente per quali motivi ( vantati o millantati ) il turista dovrebbe scegliere la ristorazione ladispolana e per quali motivi dovrebbe essere preferibile a quelle delle località vicine?
E per il servizio sollevo un’altra lamentazione : è un ricorrersi di camerieri tra tavoli affollati da una marea di gente appena uscita gocciolante dalle acque salubri di questo angolo di costa laziale. Ma a Ladispoli tra i fornelli ed i tavoli non dovrebbero esserci i diplomati del prestigioso istituto locale turistico – alberghiero ?
Sempre più di rado mi capita che mi venga servita una vivanda, confezionata con ingredienti che provengono da quella generosa e fertile terra etrusca, ricca di uliveti e frutteti, che si stende appena fuori dall’area delle costruzioni urbane.
Da accurate indagini da me svolte, a base di assaggi, soste ipercaloriche, amare abbuffate, non vado lontano dal vero nell’affermare che la nouvelle cousine non goda di molto credito da queste parti. Un parziale “riscatto” ad un panorama piuttosto deludente, è adombrabile in occasione della “Sagra del Carciofo Romanesco” quando lo splendido ortaggio, non tutto ladispolano, si sposa con il pescato, non tutto locale, ed a prezzi contenuti; allora si possono mettere sotto i denti manicaretti, ed a volte vere e proprie leccornie, altrove solo vagamente pensabili.
Quando è così ritorno alle fraschette di Cerveteri, su per salita, bordeggiata dai giardini della Rimembranza e segnalate da una vistosa frasca di alloro non apparentata a quella di zanelliana memoria,
“Odio l’allor” … per intenderci.
Posso credere e raccontare che qui il vino è proprio il prodotto della vigna del titolare della rivendita e proviene dai Colli Ceriti ed esce orgoglioso dalle botti seminascoste nell’umida cantina.
E ti ritrovi tra anziani bevitori, dalle gote rubizze, che sul lungo tavolaccio, tra un sorso e l’ altro del magnifico licor raccontano, in stretto vernacolo, le loro storie di amori giovanili, di pettegolezzi strapaesani, di fantastiche cacce al cinghiale.
Diventi partecipe ( anche se non protagonista ) di un mondo, di un atmosfera, di un ambiente.
Ma, fraschette a parte, il panorama attuale della ristorazione cerveterana è piuttosto deludente, “globalizzato” e risente di una clientela, che, con beneficio d’inventario, possiamo definire turistica.
Qualche notazione per concludere. Tengo fede ad un mio principio:con buona pace di esegeti, analisti, e dei “Veronelli” d’annata o di giornata ( Slow – Food compresa ), con buona pace di “misuratori” di tassi glicemici, di colesterolo e di trigliceridi, il mangiare fuori casa ( spesso un’esigenza, più che una moda ) è un fatto di cultura e di politica.
Perciò più controllo, più pulizia, più organizzazione e attenzione allo stomaco, e alle tasche del cliente e non solo a Ladispoli e Cerveteri.