PIETRO TERRACINA, BUON VIAGGIO

0
1635
Terracina

Si è spento a Roma, a 91 anni, uno degli ultimi sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz. 

di Antonio Calicchio

Già dirigente d’azienda, ultimo di quattro figli, a partire dagli anni ottanta, dello scorso secolo, ha svolto un’attività di testimonianza, perché simili crudeltà non abbiano a ripetersi, partecipando a incontri in scuole, associazioni, università, con dedizione e generosità.

Nato a Roma, da famiglia ebraica, nell’autunno 1938, a causa dell’emanazione delle leggi razziali, in Italia, fu espulso dalla scuola pubblica. Proseguì gli studi nelle scuole ebraiche, finché, dopo essere sfuggito al rastrellamento del 16 ottobre 1943, venne arrestato, a Roma, il 7 aprile 1944, dietro segnalazione di un delatore, con tutta la famiglia. Detenuti – per qualche giorno – nel carcere di Roma, di Regina Coeli, dopo una breve permanenza nel campo di Fossoli, il 17 maggio ’44, furono avviati alla deportazione. Di tutti i componenti della sua famiglia, Piero Terracina sarà l’unico a fare ritorno in Italia.

“La Comunità ebraica piange la scomparsa di un baluardo della Memoria – è stato scritto, in una nota – Terracina ha rappresentato il coraggio di voler ricordare, superando il dolore della sua famiglia sterminata e di quanto visto e subìto nell’inferno di Auschwitz, affinché tutti conoscessero l’orrore dei campi di sterminio nazisti. Oggi, piangiamo un grande uomo, e il nostro dolore dovrà trasformarsi in forza di volontà per non permettere ai negazionisti di far risorgere l’odio antisemita”. Anche le istituzioni commentano la scomparsa di Terracina, ultimo tra i sopravvissuti della deportazione degli ebrei romani, e testimone instancabile della memoria della Shoah. La senatrice a vita Liliana Segre scrive: “Ora che non c’è più, mi sento ancor più sola”.

Numerosi i messaggi di cordoglio alla notizia della scomparsa di Terracina, anche da parte della classe politica, secondo cui “le sue parole continueranno a vivere”, dal momento che quanto compiuto, in questi anni, da Terracina “è patrimonio per i giovani, che, ora, va alimentato, perché possa trasmettersi alle future generazioni”. Quella di Terracina è stata una testimonianza importante e cruciale delle atrocità del nazifascismo, che, nel tempo, ha rafforzato la nostra memoria, dando una rilevante spinta culturale e civile; e noi tutti dobbiamo impegnarci a trasferire, ai giovani, la narrazione di tali tragedie, che indussero Primo Levi – ispirandosi all’antica preghiera dello Shemà – a scrivere i versi: “Considerate se questo è un uomo / Che lavora nel fango / Che non conosce pace / Che lotta per mezzo pane / Che muore per un sì e per un no”. I quali versi introducono la sua opera memorialistica Se questo è un uomo, in cui egli, senza utilizzare espressioni di odio nei confronti dei Tedeschi, né rancore, né, tanto meno, desiderio di vendetta, ci ha, inoltre, spiegato non solo il motivo per il quale il genocidio, lo sterminio di milioni di esseri umani abbia potuto compiersi nel cuore della civile Europa, ma anche l’origine dell’antisemitismo, origine che va inquadrata – a suo avviso – in un fenomeno più ampio, ossia quello dell’ostilità sviluppata nei riguardi dei diversi.

Tuttavia, la detenzione nel campo viene considerata come viaggio nell’oltretomba, in una dimensione da cui si pensa non poter più uscire, analogamente a quanto avviene nell’Inferno dantesco, la cui metafora qualifica il viaggio verso il lager come trasporto delle anime da traghettare nell’Inferno, attraversando l’Acheronte, laddove un soldato del campo stesso ricopre un ruolo simile a quello del nocchiero Caronte, all’arrivo ad Auschwitz. A differenza del quale Caronte, il soldato nazista si esprime con toni grottescamente cortesi, in vista di farsi consegnare gli oggetti di valore dei prigionieri.

La tristemente nota scritta sul portone di accesso (Arbeit macht frei: il lavoro rende liberi) viene proposta come riscrittura dell’incipit del terzo canto dell’Inferno: ed infatti, nella cantica dantesca, la frase riferita alla porta di ingresso (“Per me si va nella città dolente / per me si va ne l’etterno dolore / per me si va tra la perduta gente”) indica che, attraverso siffatto ingresso, appunto, si accede al mondo dei dannati.

Sia lieve, a Piero Terracina, la terra, dunque, quella medesima terra in cui riposano le ceneri dei nostri cari. La cerimonia esequiale si è tenuta lunedì 9 dicembre, al Portico d’Ottavia e, poi, al cimitero del Verano.