Pietro Conte scappò dai Tedeschi e visse nella sua Ladispoli

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Spettabile redazione de L’Orticain questi giorni aspettavo con ansia una sorta di scusate ci siamo confusi, o quantomeno una frase simile, in merito a una esplicita dichiarazione fatta  inerente un articolo pubblicato su un locale giornale, in cui recita, mio Padre fu portato via dai tedeschi e da quel giorno non lo vidi mai più. Ebbene dopo le tante smentite, nonchè richieste di chiarimenti pervenutemi da parte di ladispolani che sanno che non è così come scritto, spinto dalla verità della storia, dalla verità della storia di Ladispoli, vi illustro un breve racconto di mio nonno Pietro, detto il ranocchiaro. E di mio Padre Pietro, a Ladispoli. C’erano due mille e cento fiat a Ladispoli, una era di Patocco, e una di mio Padre Pietro, molti giovanotti dell’epoca  oggi ricordano delle serate passate in compagnia di mio Padre. Che loro non avendo l’auto si aggregavano e andavano a Roma, a Civitavecchia, o a Torrimpietra, erano gli anni della loro gioventù, un pugno di amici che popolavano Ladispoli, quel bel paese che oggi in molti di loro non riconoscono più, a quei tempi la vita era dura, ma si lavorava con gioia, si aspettava la sagra del carciofo e la stagione estiva per avere una opportunità in più di lavoro, ma anche per passare delle serate di festa, il bel paese era Ladispoli, mio Padre oltre il pescatore trovò lavoro, da subito come muratore, con Patocco e Tommasino, realizzarono il monumento ai Caduti, e Bitti era il trasportatore che porto i materiali, sito ancora oggi in piazza dei Caduti, ma nel frattempo faceva anche il pescatore. Oltre a questi lavori mio Padre era esperto macellaio, cosa che faceva quando veniva chiamato dai committenti, fino a quando fu assunto dal comune come macellaio e custode dell’allora mattatoio, detta ai tempi ammazzatora, sorgeva sull’argine del fosso Sanguinara, dove oggi sorge un bel giardino pubblico, a quei tempi non c’èrano ne telefonini, ne internet, ne videogiochi, c’èra un buon bicchiere di vino e una partita a carte con gli amici..nelle varie osterie o bar del paese, e di Cerveteri, una fra tante dei ricordi  è l’osteria di Pierlorenzi, dove mio Padre prese un bel verbale, molte sono le storie e i ricordi dei nostri anziani, riguardo a quei tempi, ogni giorno li incontro e mi soffermo con loro, li ascolto e vedo le loro commozioni nei ricordi, tanti ricordi di vita vissuta, dal letto del fosso Sanguinara fino a mare che un giorno era divenuto tutto rosso, per il tanto macellare. Oppure di quando si portò per scommessa nei ricordi di Panichelli Sandro) un vitello sulle spalle dal Mattatoio sino al bar Castellani, in quei tempi la povertà era vera e portare a casa un pezzo di carne non era facile, in molti raccontano che prima di andare a casa passavano da mio Padre, che nel macellare i manzi ricordano aveva due secchi, uno era quello dove metteva la carne per il committente e l’altro era per gli amici. Da allora anche mio Nonno Pietro si recò al mattatoio e abbandonò la pesca di ranocchie in palude di inverno, ma si recava sulla spiaggia in estate con il suo cesto di vimini con fusaglie, bombe con lo zucchero e mio Nonno  Pietro Conte il Ranocchiaro, scubidù che realizzava con la guaina che Picchio il bombolaro levava dai fili di rame,. proprio sulle bombe con lo zucchero ricorda Maria Grazia Bitti, come  lo vedevano arrivare, zi piè ci dai una bomba con lo zucchero, bè erano sempre senza zucchero, quel piccolo grande uomo che era mio Nonno cominciò a stare meglio, nei ricordi un gran burlone, amico di tutti con un grande cuore, umile, onesto, e gran lavoratore, e  mio Padre, un uomo unico, un grande uomo, un giorno erano in palude a caccia, mio Padre e Vittorio Pietroni, quando sentirono delle grida che provenivano dalla spiaggia accorsero e videro che spuntava una pinna dall’acqua, senza pensarci spararono e con stupore era un tonno, lo presero e lo portarono sino da Amilcare al bar Castellani dove dopo aver raccontato l’accaduto mio Padre lo macellò per tutti i presenti, o come quando una sera usciti dall’osteria insieme a Benito Landi, videro la luna alta e piena che illuminava a giorno un tratto di mare proprio davanti al Columbia decisero di farsi una passeggiata a mare con un pattino e fu così che remando suonando e cantando, mio Padre suonava la chitarra divinamente, cantarono così forte che con il silenzio della sera si sentì fino in piazza, gli amici in piazza, incuriositi si recarono a mare, videro quel pattino con due persone, ma non capivano chi fossero, solo quando avvicinatosi alla riva videro che era mio Padre e Benito dissero agli amici che bella serata. Prendete un pattino e unitevi a noi, cosa che fecero e cantando e suonando fecero l’alba, arrivarono in spiaggia ma non ricordarono dove avevano preso i pattini, fattosi giorno videro che al Columbia c’èra una gran folla si avvicinarono e chiesero cosa stesse accadendo, gli risposero sono spariti i pattini, con stupore e risate mio Padre e Benito dissero loro sappiamo noi dove sono e raccontarono la nottata. Tante sono le storie che emergono dai ricordi degli anziani, e non solo come quando dopo una serata di baldoria dovevano tornare a casa e passare sulla vecchia passerelle di legno che si trovava sul fosso Vaccina. Mio Nonno si accucciava nell’attraversare, mentre gli altri a volte cadevano e dai ricordi di Francesco Bitti, allora erano risate perche ogni volta che mettevano la testa fuori d’all’acqua mio Padre gli dava una chitarrata, ricorda, ha rotto più chitarre lui che un rocchettaro e nei ricordi di Giancarlo felli, c’è un supereroe, mi ha raccontato che lui piccolino aiutava a portare il ghiaccio, e quando capitava al mattatoio, sorgeva sull’argine del fosso Sanguinara, la grande porta si apriva e ricorda l’immagine di mio Padre che tirava su i manzi con il coltello in mano. Dice per me era come per i ragazzi di oggi un supereroe e vivi sono i ricordi delle serenate che faceva mio Padre per gli amici…quasi a tutti i matrimoni cera la serenata di mio Padre, una fra le tante dai ricordi è quella che fece al matrimonio di Benito Landi, fu memorabile, con canzoni e stornelli scritti da lui, nei ricordi più frequenti, emerge sempre sotto la pergola , o come nei ricordi di Piero de Angelis, che ogni volta che incontrava mio nonno Pietro detto il ranocchi aro. Lui, zi piè, quanto le fai le ranocchie,….o dei ricordi di Giuseppe d’Avoli,che nella sua commozione avvolte non riesce nemmeno a raccontare. Bei tempi fatti di umiltà, sincerità, amicizia vera e uomini veri. Arrivò l’anno 1964, e mio Padre Pietro Conte si sposò con mia Madre Ada, andarono ad abitare in Via Formia, da quel matrimonio nacquero due figli, Franco e Mario, e non si può raccontare la felicità dei genitori, soprattutto di mio Padre che mi si portò con lui fino a notte per farmi vedere a tutti i suoi amici, fra Ladispoli, Cerveteri Roma e Civitavecchia, gli anni passarono felicemente fino a quando mio Padre nel 1967 si ammalò sul lavoro. Il medico condotto dell’epoca non capì ne la malattia e nè la gravità e lo curò pensando ad una semplice influenza, ma dopo pochi giorni morì, la casa in cui vivevamo fu disinfettata e a noi ci fecero uscire, perchè non sapendo come si comportasse tale infezione, furono prese molte precauzioni, Fu riportato su tutti i quotidiani dell’epoca, perchè fu il primo caso del dopoguerra nel nostro territorio, di morte sul lavoro, avrei voluto, potuto raccontare molto di più, ma penso che basti questo breve riassunto per far comprendere il mio attaccamento per questa terra, per questa Ladispoli. Per questa verità. Grazie a tutti.

Franco Conte

 

Prendiamo atto della lettera e cogliamo l’occasione per chiarire la vicenda una volta per tutte. L’errore nell’articolo in cui era intervistato Filippo Conte è nato per una confusa interpretazione del nostro giornale sulla frase che raccontava della cattura del padre da parte dei Tedeschi. Non ci siamo capiti durante l’intervista sul fatto che poi era riuscito a scappare, tornando a casa per vivere altri anni nella sua Ladispoli. Speriamo di aver chiarito l’errore e ci scusiamo con i diretti interessati e con i lettori.