Il licenziamento: un cambiamento tra sfiducia e coraggio

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a cura della Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

Dott.ssa
Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapauta

In una recente canzone di Ligabue “Non ho che te”, viene raccontato un evento frequente, il licenziamento di un adulto per esigenze aziendali. Nel video si evidenziano le varie fasi che attraversa la persona. La prima, la comunicazione del taglio del personale: il licenziamento. La seconda fase: l’incredulità. Il lavoratore ha l’espressione nel viso che sembra dire “Ma è proprio vero?

È successo proprio a me?”; si percepisce l’incredulità e l’incertezza del futuro. La terza fase: la vergogna. Il lavoratore non dice nulla alla moglie e continua a fare la solita vita fingendo di andare e tornare dal lavoro. Quarta fase: la depressione.

Il lavoratore comunica alla moglie la perdita del lavoro, piange e si chiude in sé. L’ultima e quinta fase è la ripresa e la rimessa in gioco cercando di dare un senso alla nuova vita, occupandosi della casa e della moglie, nonchè di se stesso. Il video finisce con l’immagine di lui solo in casa dopo aver salutato la moglie che va a lavorare (inversione dei ruoli). “Ti chiedo scusa se non ho un lavoro”, “Ti chiedo scusa se non posso darti altro”.

Queste frasi sono significative. È importante differenziare il significato della perdita di lavoro nell’uomo e nella donna. Nei miei primissimi articoli ho spiegato quali sono le differenze tra l’uomo e la donna nel modo di vedere il mondo, nel modo di parlare, di comportarsi e di relazionarsi e quali sono i motivi di queste differenze.

Anche se nel mondo contemporaneo i ruoli maschili-femminili sono cambiati, per l’uomo la perdita improvvisa del lavoro può avere il significato di “non sono capace di mantenere una famiglia”, “non sono un uomo/mi sento un uomo a metà” (questi pensieri non sono spesso coscienti). La donna, nonostante le difficoltà, nonostante le sua stanchezza nel gestire il tempo suddividendolo tra attività lavorativa e gestione famigliare, dopo i primi momenti duri, riesce a reinventarsi. Il ruolo lavorativo è un ingrediente dell’identità personale.

L’identità può essere considerata come una foto panoramica in cui si evidenziano vari elementi, alcuni più importanti (in primo piano), altri meno importanti (nello sfondo, ecc.); inoltre lo stesso panorama (visto dallo stesso punto), cambia a seconda delle stagioni e negli anni. Così l’identità è formata da vari elementi che cambiano e si arricchiscono con la crescita.

Il bambino di un anno è soprattutto figlio e nipote, crescendo diventa figlio-nipote-amico-studente-ecc…L’adulto tendenzialmente si identifica con il suo essere moglie/marito, padre/madre. Alla domanda “Qual è il suo lavoro?” solitamente la persona risponde “Sono……idraulico/insegnante/avvocato/medico/attore/ecc…”.

Difficilmente la persona risponde “Faccio…l’idraulico/l’insegnante/l’avvocato/il medico/l’attore/ecc…”. Il Sono e il Faccio danno due prospettive diverse dell’identità lavorativa: “io sono avvocato” metto in primo piano il ruolo lavorativo; “faccio l’avvocato”: il ruolo lavorativo è uno degli elementi della mia identità, ma non il principale.

A seconda di quale importanza ha il lavoro della persona e a seconda di come è strutturata, a seconda dell’essere maschio o femmina, a seconda di altre variabili (esigenze economiche, età, ecc.) la perdita del lavoro può portare a reazioni psicologiche diverse.