La conquista della Personalità
A cura del Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta
Attualmente si ritiene che la personalità sia la risultante dell’interazione di aspetti innati (i tratti di personalità relativi al temperamento) e di aspetti acquisiti tramite le esperienze con le persone significative dell’infanzia.
Ora è molto probabile, e l’esperienza clinica ce lo dimostra, che i tratti più autentici della personalità individuale possano restare “inespressi” e dar luogo a nevrosi (infantili ed adulte) e sintomi psicologici. Ciò accade perché la situazione del bambino è caratterizzata dalla sua totale dipendenza dai genitori e dal bisogno di compiacerli ed essere accettato da loro. Nel lungo periodo di dipendenza che caratterizza la vita infantile, infatti, il bambino è portato ad uniformare se stesso a quello che egli ritiene che i genitori vorrebbero lui fosse; poiché essere diverso significherebbe (nella mente del bambino piccolo) esporsi al rischio di perdere il loro amore protettivo. In tal modo il bambino, da un lato può simulare di essere ciò che non è e dall’altro può rifiutare di essere ciò che invece in realtà è (e ciò può protrarsi poi nell’età adulta).
Era questa la posizione di Carl Gustav Jung, il quale riteneva che la personalità è geneticamente data e che la persona tende all’autorealizzazione di se stessa se non incontra ostacoli (anche inconsci ed autoimposti) alla sua espressione. Rimuovere tali ostacoli “autoimposti” era dunque per lui obiettivo specifico della psicoterapia. Oggi le nostre conoscenze su come si struttura la personalità sono certo più complesse, ma resta valida la norma sul modo di allevare i figli: accettarli come individui a se stanti, incoraggiando e tollerando le loro differenze dai genitori.
I figli sappiamo che crescono nella maniera migliore se sono amati per ciò che sono realmente e non per ciò che si ritenga debbano essere: ciò influisce sulla loro autostima e sulla capacità di creare legami affettivi soddisfacenti. Di contro i conflitti nevrotici che portano le persone a cercare un aiuto psicoterapeutico spesso sono proprio il risultato di una non accettazione: “Non so bene chi sono” è un vissuto molto comune di chi inizia una psicoterapia, mentre scoprire “chi si è” e trovare il coraggio per essere ciò che si è scoperto di sé è di norma uno degli esiti finali di un percorso terapeutico ben riuscito.
Parte del processo di maturazione e realizzazione di sé consiste dunque proprio nel liberarsi degli atteggiamenti introiettati per essere accettati e che non necessariamente appartengono alla persona in questione come parte integrante della sua personalità. Ne discende che, perché un bambino sviluppi in modo soddisfacente il suo senso di identità autentico, è necessario che i genitori non commettano l’errore di identificarsi con lui e pretendere da lui che gli assomigli il più possibile: in questo modo tali genitori non fanno altro che amare narcisisticamente se stessi e non i loro figli.
Tuttavia, non considerano come entità distinte i loro figli neanche quei genitori che pretendono che i figli siano diversi da loro nel senso di riuscire in più cose o diventare “migliori” di quanto non siano riusciti ad essere loro. In tal modo infatti proiettano sui figli le loro potenzialità non realizzate e vivendo, per così dire, nei loro figli, continuano a non vederli per quelli che realmente sono, non aiutandoli ad esprimere la loro personalità autentica e così ad autorealizzarsi.
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