DISCENDIAMO FORSE DAL NULLA?

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E’ il pensiero filosofico a far emergere la questione del nulla agli albori della civiltà occidentale.

ANTONIO CALICCHIO

Si registra, nel campo scientifico, una forma di “intollerante curiosità” nei confronti del pensiero filosofico. A torto o a ragione, questo ossimoro ha condotto la scienza a reputarsi capace di andare assai più a fondo rispetto alle questioni che sono appartenute sempre alla filosofia.

La scienza, infatti, si prefigge, ad es., di poter pervenire ad una teoria del Tutto. Ma siffatta teoria non può escludere quella del nulla: il Tutto è ciò oltre il quale rimane il nulla. Il fisico Krauss, col suo volume Un universo dal nulla, non ha mancato di creare vivaci dibattiti, nel settore sia scientifico, che filosofico. Perché c’è qualcosa e non il nulla? Egli asserisce che il nulla è concetto scientifico, non filosofico. Ma ciò è irrilevante: l’interrogativo resta, quale che sia la sua origine.

Si tratta di un interrogativo presente in numerosi settori scientifici e culturali; ma principalmente nella esistenza umana, che si fonda sul desiderio di vita e sul timore del nulla.

Secondo la teologia cristiana, il mondo è stato creato ex nihilo, nel senso che tutte le cose sono nulla, prima della loro creazione. In matematica, vi è lo zero fra i numeri, zero che è una forma di assenza, definita dai Greci oudén (nulla), così come forma di assenza è l’insieme vuoto. Nell’arte – e per arte intendo, qui, la poesia, la narrativa, la pittura, la scultura – la precarietà esistenziale e l’aspetto del nudo e del silenzio appaiono in maniera evidente. In musica, l’intersecarsi di suono e di silenzio stanno al centro.

Zero, assenza, vuoto, nudo, silenzio, costituiscono tutte forme connesse al problema del nulla. Ma anche in biologia, in storia, in fisica e, perfino, nel linguaggio corrente si dice che “ciò non c’è ancora” oppure “ciò non c’è più”, vale a dire che “ciò è ancora nulla” oppure “ciò è ormai nulla”.

E’ il pensiero filosofico a far emergere la questione del nulla agli albori della civiltà occidentale, come nihil absolutum, l’assolutamente altro dalla totalità degli enti.

Barnes, collega di Krauss, ha contestato le posizioni di quest’ultimo soprattutto in relazione all’idea che, ritenendosi l’universo provenire da uno stato privo di materia, di particelle, di spazio, di tempo, di leggi, esso e le cose che contiene promanino dal nulla. Analogamente allo spazio e al tempo. Ma Aristotele già si era pronunciato in questo senso: in principio delle cose, infatti, non vi è il nulla, ma vi è qualcosa, in quanto “le cose si generano da qualcosa a qualcosa”.

La domanda nasce spontanea: prima della creazione di una cosa, vi era qualcosa che esisteva di quella cosa? Certamente no, perché di quella cosa esisteva il nulla. Ma esisteva ciò che l’ha prodotta. Ergo, sostenere che le cose scaturiscono da qualcosa e che scaturiscono dal loro nulla non sono affermazioni incompatibili, poiché alla base del divenire vi è sì il loro essere nulla, ma non la nullità di tutte le cose.

Del resto, il nulla è causa di angoscia per l’uomo, che lo pensa e ne parla, sin dai primordi della filosofia. Il nulla, dunque, è, nel senso che ciò che non è, è. E siccome l’uomo ha a che fare dovunque col nulla, egli dovunque è assalito dall’angoscia, dato che l’angoscia più potente è quella di pensare che il nulla sia, sebbene grandi, belle e forti siano le cose concepite e realizzate nell’universo. Quale senso hanno nell’angoscia la felicità, il piacere, la salvezza? Diceva Orazio, infatti, “nemo sua sorte contentus”.

Ma questa non può essere una risposta filosoficamente definitiva. Né si può considerare che il termine nulla sia un termine insensato, dal momento che la parola insensato è sinonimo di nulla: si sarebbe, in tal caso, dinanzi ad una tautologia. Tuttavia, il discorso in ordine al nulla permane nella sua ambiguità, “giacché di esso è necessario dire: Nec tecum, nec sine te”, anche se “l’ultimo orizzonte ci rende liberi dalla minaccia e dall’assurdo del nulla”, come scriveva Severino.