Cervetrani a caccia dell’asparago selvatico

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asparago selvatico

di Angelo Alfani

Dopo la dannosa nevicata e le continue inzuppate invernali, germinale è arrivato, e con lui hanno fatto capoccella gli asparagi.

Ed i cervetrani, infischiandosene delle slinguazzate tra leghisti e grillisti, delle sorti dei piddisti e di quella frivola costellazione di associazioni e sigle di ‘sinistra’ che gli sta a lato o a fianco, sopra o sotto, dentro o contro non ci pensano manco un attimo a rinunciare alla voglia matta de annassene a sparici.

E’ una abitudine che tengono fin da regazzini.

Seguendo, passo passo, le orme dell’aspariciaro esperto, spesso il padre o lo zio, si sono tramandati la tradizione.

I primi vagiti dello spariaciaro cervetrano consistono in un zigzagare sconclusionato, quasi sempre tra i tumuli ed i tumuletti della Necropoli o lungo le rogare dei Rimissini, dopo aver terminato il pranzetto di Pasquetta, con abiti affatto adatti all’uopo; poi si fanno più accorti: guanti leggeri, giaccone dalle ampie saccocce, stivaloni di gomma, bastone lungo per smucinà ed allontanare gli inciampi, infrattandose nelle macchiette di roverelle, di pungitopo, spinosi biancospini, tappaculi e intricati roghi di more e rose canine. Sanno come perforarlo quell’intrigo, manco fossero cinghiali inseguiti da ‘na canizza con la bava alla bocca.

Col passare del tempo si abituano a muoversi non in fila indiana ma a raggera, lungo le spallete a solina, quelle coperte a tramontana, indirizzando l’occhio in basso: ‘Perché il problema non è dove stanno gli sparici, ma vedelli, senza sguerciasse’.

E, dopo averli individuati, spezzarli a lungo ‘senza carpirli me riccomanno’ e ammazzettalli con un giovane e flessibile ramo di ginestra e insaccoccialli a testa in giù. Se possibile cerca’ di non essere esagerati e lascia’ crescere quelli che sono appena sortiti alla luce.

I consigli generali, quelli della vulgata popolare, li digeriscono in fretta: andarci sul tardi per evitare la guazza, ma non tanto tardi ‘se no arrivi due’, non andare a sprecare tempo verso la Necropoli e zone limitrofe: una no-sparici zone, un’area in cui i guardiani, raccoglitori compulsivi, te li incartano su una foglia di rosmarino gli ‘sparici.

Ancor peggio se cominci a trovà le sgarufate tutto a torno alla sparicina dai rametti spezzati: “Altro che spinose, qui ce so passati i rumeni. Inutile addannaccese, mejo cambia’ zona” è la, non sempre vera, giaculatoria a cui si lasciano andare da più di un decennio gli spariaciari delusi.

Ma soprattutto hanno capito che bisogna smette d’annacce quando il caldo li ha già fatti spigare ed il rischio capoccioni di vipera e asprosordi è troppo elevato.

Oddio una vipera!’ si sente spesso urlare tra le macchie, ma quasi sempre  si tratta di un ragano o di una innocua  fienarola.

Le giornate negative terminano sempre con l’ammucchiare i pochi asparagi in un unico striminzito mazzetto che viene regalato al’ospite: ‘Tiè pialo, ’na frittatina te ce scappa! Giusto ‘na frittatina’.

Il venderli nei negozi è visto come un accidente, il comprarli una bestemmia: vanno trovati!

L’asparago, così come il carciofo, è un piatto da cuoche generose: lo scarto deve essere consistente, non sono ammesse le micragnose: “Ma sta frittata con che l’hanno fatta cà li zeppi?!”

La connessione con gli asparagi fa così parte della cultura cervetrana che due espressioni sono ancora oggi in uso: “Guarda quel seccardino come s’è fatto lungolungo tutto ‘n botto: pare ‘no sparicio!” e: “Fija mia è ora che vai a fatte li capelli da Pietro el parrucchiere: ci hai ‘na capoccia che me pare ‘na spariciara!”