“A Cerveteri abbiamo un grave problema di identità”

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Intervista a tutto campo su cultura, radici, arte e storia con il pittore Carlo Grechidi Giovanni Zucconi

Vi siete mai chiesti perché non esiste in commercio neanche un libro che approfondisca la storia contemporanea di Cerveteri? Diciamo a partire dal 1900? Di Ladispoli, per esempio, basta andare sui siti che vendono libri online e se ne trovano, anche di molto interessanti. Eppure ci sarebbero tanti temi da approfondire, tante domande a cui trovare una risposta. Una su tutte: perché Cerveteri, caso unico nel nostro comprensorio, e non solo, pur essendo una città di 40.000 abitanti, con una potenzialità immensa in termini di territorio e patrimonio storico-archeologico, è tragicamente priva di tutto? E’ un “non Paese”. Non è un caso che, pur essendo una delle 1073 località più importanti per il genere umano, avendo sul proprio territorio una delle più vaste aree archeologiche del mondo, quando devi spiegare dove abiti devi fare riferimento a Ladispoli, una sua ex frazione, sorta solo 130 anni fa da una comunità di pescatori e di lavoranti per il Principe Odescalchi. Cerveteri, la sorella maggiore della potente Roma, che ha accompagnata per mano nei suoi primi passi verso l’Impero millenario, non ha un luogo dove fruire o fare Cultura. Non ha un Teatro, una Pinacoteca, una sala per Convegni o Congressi, un Auditorium o un Palazzetto dello Sport. Ma nemmeno un Museo, come nella nostra vicina Tarquinia, degno delle centinaia di migliaia di reperti etruschi che il nostro territorio ha restituito negli ultimi 180 anni. Ritorno su questo tema per l’ennesima volta perché continuo ad assistere a un facile scarico di responsabilità da parte di tutti, con un altrettanto facile attribuzione delle colpe alla Politica, presente e passata. Ma è veramente così? Tutti hanno avuto cattive amministrazioni. Ladispoli o Tarquinia hanno sempre avuto solo buone Amministrazioni? Non credo. Eppure sono anni luce davanti a Cerveteri in moltissimi campi, ma soprattutto per quanto riguarda la disponibilità dei luoghi dedicati alla Cultura. Evidentemente ci deve essere qualcos’altro, oltre a una lunga lista di Sindaci poco attenti a certi temi. Sarà un caso che nelle Associazioni di volontariato archeologico che operano sul nostro territorio, un esempio che conosco bene, sono costituite, per la stragrande maggioranza, da persone di Ladispoli, di Roma, di Bracciano o da Cervetrani non doc, quelli che vengono comunemente chiamati “forestieri”? Sarà un caso che tutto quello che è stato trovato a Tarquinia, in scavi regolari, si trova nel suo Museo, mentre nel caso di Cerveteri i reperti più importanti li troviamo nel Museo Gregoriano, a Villa Giulia o al Louvre? Sarà un caso che sia stato costruito, tra l’indifferenza di tutti, un intero quartiere su una delle più antiche necropoli dell’antica Caere? Tornando alla domanda iniziale, quella sulla mancanza di un libro che analizzi la storia di Cerveteri, io una risposta a questa lacuna ce l’avrei, anche se è impertinente: nessuno ha scritto un libro che approfondisca questi temi perché le risposte sarebbero poco politicamente corrette, e si metterebbero in discussione delle icone ancora oggi intoccabili. Anche questa volta ci riprovo a impostare un ragionamento sulle origini dei mali storici di Cerveteri. Ci proverò stavolta parlando di arte con uno dei Senatori della Cultura di Cerveteri: Carlo Grechi. Un pittore che ha dato lustro alla nostra città con importanti mostre nazionali e internazionali, e che ha sempre partecipato attivamente a tutte le iniziative culturali importanti che il nostro territorio ha espresso negli ultimi decenni. Seguite fino in fondo questa intervista. Vi assicuro che molte risposte che ritenevate scontate, non vi appariranno più come tali. Purtroppo, per motivi di spazio, quello che leggerete è solo la sintesi della sintesi. Ma spero che sia comunque sufficiente a farvi un’idea più precisa sull’origine dei nostri mali storici.

Maestro, come si spiega che a Cerveteri manchi, diversamente da tutti i Paesi limitrofi, un qualsiasi luogo dedicato alla Cultura? Un Teatro, una pinacoteca, un auditorium. Nulla.

“La storia è molto antica. A Cerveteri abbiamo un grave problema di identità. Altre città hanno avuto una continuità storica che ha fornito un’identità alla popolazione. Se vai a Urbino, Lucca o a Tarquinia, si percepisce la cultura e la continuità che stanno alla base di questa identità”.

Abbiamo preso il tema un po’ da lontano…

“Non direi. La continuità storica ha impatto anche sulla disponibilità delle infrastrutture pubbliche. In una qualsiasi altra città ci sono ambienti che possono essere utilizzati per fare cultura. Palazzi appartenuti a famiglie nobiliari o di ricchi borghesi, magari caduti in disuso, e recuperati per ospitare attività culturali. Tarquinia ne è un esempio. Tarquinia ha quel vantaggio che dicevo prima: ha una continuità sul territorio antica. Vai lì e capisci che stai in un territorio dove la città è rispettata, e i cittadini sono orgogliosi di essere di Tarquinia”.

Ed a Cerveteri?

“Quando sono arrivato a Cerveteri, a metà degli anni ’70, c’erano 10.000 abitanti. Ma quelli che abitavano qui, non erano di Cerveteri, ma neanche di Roma. Erano Marchigiani. Provenivano da un altro territorio. E hanno approcciato il territorio cerveterano semplicemente come una nuova loro proprietà. Da un punto di vista culturale e affettivo, erano più attaccati alla terra marchigiana che a questa. Cerveteri, per loro, era solo una terra di proprietà”.

Hanno ignorato la sua cultura?

“La cultura del luogo non l’hanno proprio riconosciuta come tale. Perché non era la loro, e non la conoscevano. Se io riconosco una cultura, la rispetto. Se invece il territorio è per me solo un modo per fare denaro, e per raggiungere il benessere che non avevo prima, io sto in qualche modo solo depredando e basta. Perché io non riconosco la sua cultura”.

Questo spiega che il Museo di Cerveteri è stato aperto solo nel 1967, mentre a Tarquinia già nel 1916?

“Certamente. Perché non interessava tutelare una cultura che non era la propria”.

Provo a riassumere. Se in qualche modo si interrompe la continuità di una cultura, come è successo a Cerveteri, avremo come risultato un distacco della popolazione dalla Cultura in generale. Questo può spiegare perché non si è mai sentita l’esigenza di un teatro, per esempio.

“E’ così. La Cultura di un paese è principalmente quella che esprime il paese stesso. Non c’è Cultura se senti solo Mozart o vedi solo Shakespeare. Il paese stesso deve esprimere la sua Cultura. E’ una vita che chiedo ai nostri artigiani di riprendere a realizzare i buccheri come gli Etruschi. Ma non copie di vecchi oggetti. Oggetti completamente nuovi, fatti con questa tecnica, che ci distingue da tutti gli altri paesi. Il bucchero è un’invenzione di Caere, ed è un’espressione caratteristica della nostra cultura. Ma dobbiamo realizzare oggetti nuovi, non limitarci a fare imitazioni del passato. Dobbiamo creare interpretazioni, non copie. Dobbiamo ricominciare a produrre Cultura tipica ceretana”.

Trovo la sua analisi corretta, ma incompleta. Nel 1920, prima delle migrazioni, a Tarquinia già c’era uno splendido museo e un teatro, tanto per fare degli esempi. A Cerveteri non c’era assolutamente nulla. Lawrence, come tutti sanno, nel 1927, fa una descrizione impietosa di Cerveteri nel suo “Paesi Etruschi”. Le faccio una domanda provocatoria. Non è che in questo ritardo storico di Cerveteri hanno le loro colpe anche i Principi Ruspoli?

“In quasi tutte le città, i nobili e la grande borghesia, hanno cominciato, ad un certo punto, ad avere l’esigenza di seguire le manifestazioni culturali, senza essere costretti di andare nei grandi centri. Hanno cominciato quindi, anche con atti di mecenatismo, a promuovere la costruzione di teatri o luoghi dedicati alla fruizione della cultura. E questo seguendo la regola che per essere degno di attenzione e di rispetto, devi fare qualcosa per la tua città”.

Ed a Cerveteri questo non è successo?

“No. Perché Cerveteri non era una città. Per i Principi Ruspoli era solo un possedimento. Una città è fatta di persone appartenenti a classi sociali diverse in relazione tra di loro. Una città è fatta di cittadini, non di dipendenti. Ha degli spazi sociali e pubblici ben definiti, dove i cittadini si relazionano tra di loro e con la Cultura, per esempio. Questi luoghi erano stabiliti, e spesso costruiti, dai nobili e dai potentati che vivevano nella città. La classe dominante, in una città come Tarquinia, distingueva precisamente le sue proprietà dagli spazi sociali. I nobili, nelle loro proprietà, facevano naturalmente quello che volevano. Negli spazi pubblici, quando era possibile, cercavano di evidenziare, anche con gesti generosi, la loro potenza e la loro ricchezza. Ma Cerveteri non era Tarquinia. Cerveteri non era una città, ma una proprietà dei Ruspoli. Nasce come agglomerato urbano per i loro operai e i loro fattori. Non è Roma, dove il Principe Ruspoli doveva dare dimostrazione pubblica della sua potenza. A Cerveteri non doveva essere generoso, realizzando grandi opere. Cerveteri è sempre stata amministrata come si gestisce un terreno o la cucina di casa propria. A Cerveteri, al massimo, si confrontavano con il mezzadro. Che non aveva, in generale, interesse per l’Arte. A Roma, o in altre città, i nobili e i potentati facevano a gara a chi aveva il quadro o il palazzo più bello. E quando volevano ribadire la loro potenza, facevano costruire una fontana, una piazza o uno splendido palazzo. Perché era la loro posizione nella città che li obbligava a fare questo. Era un modo per dire “… io so io…”. In modo che tutto il popolo che girava intorno lo riconoscesse come un grande Signore. Ma questo non è necessario se tu sei semplicemente il padrone di tutto, come accadeva a Cerveteri”.

Se non c’era una città, ma solo un possedimento, non si poteva creare neanche un’identità culturale tra la popolazione di Cerveteri. Anche le aree archeologiche non erano sentite come un patrimonio culturale collettivo da difendere. Io ho da tempo sostengo che Cerveteri è diventata una citta di tombaroli per antonomasia anche per questo motivo

“E’ così. E negli anni del Fascismo e della guerra, le cose non migliorarono. Cominciarono ad arrivare famiglie da fuori. Gente che aveva bisogno di terra per una assoluta necessità di sopravvivenza. Per questo vivranno il nostro territorio in maniera assolutamente predatoria. Il nostro patrimonio archeologico, che emergeva dal terreno, non apparteneva alla loro cultura, alla loro storia. Con i coccetti presi dalle tombe ci facevano i pavimenti. Il Principe Ruspoli ha depredato tutto il possibile, regalando i reperti al Vaticano, ai Francesi o ad altri. Era roba sua, non del territorio. Non di Cerveteri o dei Cervetrani. Lui era il Principe, e a Cerveteri, nel suo possedimento, faceva come gli pare. Non ha pianificato una vera città. Non ne aveva bisogno. A cosa poteva servire un museo o un teatro? A Tarquinia già c’era da quasi 100 anni”.

Tutto questo ha impedito anche la formazione di un’identità culturale intorno alla nostra storia millenaria, e un senso di appartenenza alla nostra città?

“Sicuramente. Ma non era ancora finita. Su questa situazione si è innestata una nuova migrazione che ha fatto esplodere la popolazione da 10.000 abitanti a 40.000. A seguito della speculazione edilizia, con la conseguente esplosione demografica, sono arrivati a Cerveteri abitanti di Roma che non erano nemmeno Romani. Gente senza una cultura identitaria propria. Io so cosa vuole dire essere Romano. Io ho fatto il chierichetto a San Pietro in Vincoli. Sono cresciuto con Michelangelo negli occhi. Nella periferia ci abita gente che non sa neanche cosa sia Roma. I nuovi abitanti sono arrivati in un paese senza regole, senza una cultura identitaria forte, e si sono subito adeguati a questa mancanza. Inoltre, non è stato creato nuovo lavoro, ma solo nuove abitazioni. La gente non si era trasferita per vivere Cerveteri, ma solo per abitarci. Non è la stessa cosa. La Cultura, quando se ne ha bisogno, si può vivere a Roma a Ladispoli, a Civitavecchia o in qualche altro posto vicino. Cerveteri è solo un dormitorio”

Chiudiamo qui questa intervista, e questa breve analisi alla ricerca delle radici dei mali storici di Cerveteri. Molto altro ci sarebbe da dire. Speriamo che finalmente qualcuno, sollecitato da questo articolo, inizi a scrivere una storia di Cerveteri degna di questo nome. O la tiri fuori dal cassetto.