IL COVID INSEGNI AD UNIRCI E A DIRE “NOI”

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solidarietà

Ciascuno si adoperi affinché la pandemia porti un cambiamento del nostro sentire aprendo alla speranza e contro la pigrizia

di Antonio Calicchio

Dacché il Covid-19 si è abbattuto sull’umanità, seminando angoscia, sofferenza e morte, si sente dire che “nulla sarà come prima”. Ci si chiede: è vero che nulla è come prima? Con tutti questi sacrifici e sofferenze abbiamo imparato ad essere “solidali tutti”?
Si ha la sensazione o il timore che tale espressione venga pronunciata sol perché ci si trova dinanzi a misure restrittive delle nostre abitudini, della nostra libertà. Ed infatti, si registrano ancora comportamenti di insofferenza, di intolleranza, di illegalità e, talvolta, pure di oltraggio alla dignità della persona.

Per alcuni, continua a prevalere l’io, mentre il virus, livellando tutti, invita all’unione, alla fondazione del “noi”, alla fratellanza nella condivisione del pericolo, nella ricerca di una necessaria sinergia senza cui non vi è vaccino che tenga, non vi è ospedale cha accolga e salvi, non vi è avvenire per alcuno. Il virus sta facendo comprendere la fragilità umana, per cui continua a seminare terrore, a far contare decine e centinaia di morti quotidianamente.
Il virus tenta di svalutare l’importanza della vita: pertanto, contro questo illogico ed inaccettabile tentativo occorre essere uniti non soltanto per lottare ed affermare la dignità e l’identità umana, ma anche, e soprattutto, per tutelare e difendere la sacralità della vita. Ed allora, ecco l’invito, che si converte in dovere dinanzi all’incombente pericolo virale, a rispettare le norme di sicurezza. E se le prescrizioni dettate devono essere osservate da ciascuno, allora chi è titolare di responsabilità governative, come, in particolare, il nuovo Esecutivo Draghi, è tenuto ad unire le forze, a ritrovare le giuste intese, ad agire per l’interesse generale, cooperando e integrandosi nella ricerca di soluzioni possibili e di provvedimenti necessari per il soddisfacimento dei diritti di tutti e di ognuno. D’altronde, deve salvaguardarsi primariamente la salute di ogni individuo, ma si è, altresì, obbligati a garantire a tutti lavoro e reddito, che rappresentano le precondizioni di una esistenza possibile e dignitosa.
Il rischio concreto è che, se non si muore di virus, allora si muore di fame e di miseria. A fronte di siffatta realtà, va notato che quel “nulla non sarà come prima” non è che manifestazione di una sconfitta in quanto permangono, ma in misura crescente, le ingiustizie, coi poveri in aumento, mentre i ricchi sono ancor più ricchi, mentre numerose famiglie piangono i loro morti ammazzati dal virus, col rammarico di non aver potuto porgere loro l’ultimo saluto o una carezza di addio. Si rifletta su quel “nulla non sarà come prima” e si dica che “nulla dovrà essere come prima”, sentendosi più comunità, facendo spazio a maggiore solidarietà, rispettando l’altro e ponendosi a servizio del bene di tutti. Ciascuno, per la sua parte ed in ragione del suo ruolo e dei suoi doveri, si adoperi affinché la pandemia apporti una reale trasformazione nel sentire comune, una concretezza così nell’agire e nell’esercizio del potere, come nel governo della comunità.

Si dimostri che la sofferenza e il dolore, insieme ai sacrifici e ai disagi, hanno reso le persone differenti, soggetti veri, più responsabili, più pronti ad intercettare e, per quanto possibile, a soddisfare le esigenze ed i diritti degli altri; a comprendere lo stato d’animo di coloro che sono costretti a chiedere aiuto. E così, si avrà più giustizia, più pace, più rispetto, più solidarietà, più lavoro, più salute, più bene comune, cogliendo ed accogliendo le attese dei genitori, rendendo più serena la vita degli anziani, condividendo le ansie e le aspirazioni legittime dei giovani. Ed allora, anche le morti saranno fonte, e diverranno generatrici, di vita nuova, in ciascuno e nella comunità.

Tuttavia, un ulteriore nemico da sconfiggere è costituito dalla pigrizia che vorrebbe relegarci in una sorta di oblio; pigrizia che là nasce dove viene meno la speranza, e la speranza che viene meno nella rinuncia evidenzia la fine dell’amore. Perché quando il cuore è desto ed ama, allora non vi è difficoltà che tenga, non vi è ostacolo che possa impedire di avanzare e di combattere: l’amore sollecita soluzioni coraggiose e creative inimmaginabili, pur di afferrare anche solamente un lembo di speranza. Viviamo tempi difficili in cui è richiesto un supplemento di speranza, un coraggio che traghetti l’angoscia al di là dell’ostacolo; è richiesto di resistere creando, di resistere sperando, di resistere amando. L’amore sa espandere i percorsi, sa vedere ciò che la pigrizia di coloro che non sperano più, di coloro che si sono abbandonati a loro stessi, non vedono.

La chiave che apre la storia è data dall’amore, e l’amore diviene coraggio quando la vita è dura, e il coraggio diviene speranza operosa che muta il corso della storia. La pandemia rappresenta l’occasione non voluta, né tantomeno cercata, ma l’occasione per una pedagogia del coraggio e della speranza, così da formare una generazione che possa rimanere con “la schiena dritta” nella vita.